Gabriella Ferraris • Avvocato in Milano – avv.gabriella.ferraris@gmail.com
Oggetto di un’ingiunzione di desistenza di qualche anno fa del Comitato di Controllo dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria fu un claim riportato nella pubblicità di un cosmetico che affermava “la prima colorazione con etichetta ambientale, buona con te, buona con l’ambiente”, fondato su uno studio LCA di due diverse tinture per capelli.
Nel provvedimento si dichiarava che il claim in questione contravveniva la ratio e il disposto dell’art.12 del Codice di Autodisciplina che vieta il ricorso a claim generici, sostenendo che una comunicazione commerciale che intendesse prospettare un beneficio ambientale avrebbe dovuto “consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell’attività pubblicizzati i benefici vantati si riferiscono”.
Nell’ingiunzione si metteva anche in evidenza il fatto che “la sensibilità verso i problemi ambientali è oggi molto elevata e le virtù ecologiche decantate da un’impresa o da un prodotto possono influenzare le scelte di acquisto del consumatore medio. Ne consegue che non è conforme a un’esigenza di effettiva tutela dell’ambiente che i vanti ambientali divengano frasi di uso comune, prive di concreto significato ai fini della caratterizzazione e della differenziazione dei prodotti”.
Aggiungo che il metodo LCA, utilizzato per la valutazione ambientale del prodotto reclamizzato (con LCA si intende Life-Cycle Assessment, metodo strutturato e standardizzato a livello internazionale che permette di quantificare i potenziali impatti sull’ambiente e sulla salute umana associati a un bene o servizio, a partire dal rispettivo consumo di risorse e dalle emissioni di due prodotti), è un metodo e non “Il metodo”, e che quindi, anche se i claim relativi ai cosmetici pubblicizzati fossero stati più circonstanziati, l’informazione fornita al consumatore non sarebbe stata davvero utile perché non avrebbe potuto essere posta alla base di una seria comparazione rispetto a informazioni fornite su altri prodotti ottenute applicando diverse metodologie.
Esistono infatti tanti diversi metodi per valutare l’impatto ambientale di un prodotto e tanti tipi di dichiarazioni rilasciate da organizzazioni diverse, alcune riconosciute in certi stati e altre ammesse da altri. Insomma, una situazione molto eterogenea e confusa.
Si è ripresa questa decisione, pur non molto recente, perché tratta una questione che oggi è di grande attualità ed è oggetto di un’iniziativa intesa a proporre un regolamento europeo denominato Legislative proposal on substantiating green claims, attualmente in fase di pubblica consultazione.
Questo provvedimento si inserisce nel piano europeo chiamato European Green Deal, il cui ambizioso obiettivo è che l’Europa diventi il leader del sistema di economia circolare e che entro il 2050 il territorio europeo diventi neutrale dal punto di vista dell’impatto sul clima.
Per raggiungere il risultato sono stati identificati diversi tipi di iniziative: da un lato cercare di promuovere la messa sul mercato di prodotti sostenibili, cioè prodotti adatti a un’economia circolare neutra ed efficiente dal punto di vista delle risorse; dall’altro dare ai consumatori, attraverso una revisione dei diritti dei consumatori previsti dalla normativa europea, strumenti per partecipare attivamente alla transizione verde.
In questo contesto, poiché da un lato c’è un grande interesse all’ingresso sul mercato di prodotti e servizi davvero “verdi”, e dall’altro c’è la possibilità che i consumatori, che basano le loro scelte d’acquisto dei prodotti e servizi sulle informazioni fornite dal produttore, possano avere un peso non indifferente nel promuovere la diffusione di prodotti sostenibili, è stato ritenuto fondamentale che tutte le informazioni ambientali fornite sui prodotti debbano essere affidabili, comparabili e verificabili.
Il procedimento è stato lungo; la Commissione si è mossa con una serie di iniziative a partire dal 2013, per giungere oggi a una proposta di regolamento che ha lo scopo di consentire alle aziende che vogliano utilizzare dichiarazioni riguardo l’impatto ambientale dei loro prodotti di utilizzare metodologie standard. In altre parole, con la nuova proposta di regolamento la Commissione chiede alle aziende di fondare i claim verdi relativi all’impronta ambientale su criteri uniformi.
Questi metodi sono diretti a misurare le prestazioni ambientali di un prodotto o di un’organizzazione lungo tutta la catena del valore, dall’estrazione delle materie prime fino alla fine della vita, utilizzando precise categorie di impatto ambientale.
La metodologia proposta è denominata Product Environmental Footprint (PEF) ed è stata sviluppata dal Joint Research Centre dell’Unione europea sulla base di metodi esistenti e ampiamente testati e utilizzati, con l’obiettivo di definire una metodologia comune a livello europeo per il calcolo degli impatti ambientali di un prodotto o per categorie di prodotti (Product Environmental Footprint Category Rules, PEFCR).
Si tratta di un cambio sostanziale di prospettiva; fino ad oggi le dichiarazioni ecologiche utilizzate dai vari produttori hanno potuto essere valutate solo sotto l’aspetto della loro ingannevolezza e vietate solo quando ritenute in grado di indurre in errore i consumatori.
Secondo gli studi effettuati dalla Commissione, un regolamento di questo tipo potrebbe avere riflessi favorevoli sull’ambiente, sui consumatori, sull’economia, dal punto di vista sociale e della semplificazione amministrativa.
Come anticipato, la proposta di regolamento è attualmente in fase di pubblica consultazione, ciò significa che gli operatori dei settori interessati possono far sentire la loro voce ed esprimere una valutazione sull’opportunità o meno della disciplina.
Si tratta di una disciplina ad applicazione orizzontale e cioè che non riguarda solo i cosmetici, ma ritengo che potrebbe avere un grande impatto in questo settore, dove il ricorso alle dichiarazioni green è molto diffuso. Dover fare riferimento a un metodo specifico può essere un vincolo “pesante”, ma certo può garantire un confronto concorrenziale più leale. Non si vuol dire che le dichiarazioni cui attualmente si fa ricorso per certificare il proprio grado di impronta ecologica siano meno affidabili, è però certo che il confronto tra dichiarazioni che si basano su criteri diversi non è agevole.
Articolo pubblicato su Cosmetic Technology 4, 2020