Minatori silenziosi

Minatori silenziosi

Piante per il recupero industriale
di metalli

Enrica Roccotiello

Dipartimento di Scienze della Terra, dell'Ambiente e della Vita, Università degli Studi di Genova
enrica.roccotiello@unige.it

In un famosissimo cartone di animazione degli anni ’80, Hayao Miyazaki affidava alla protagonista Nausicaä della Valle del Vento la capacità di studiare affascinata la giungla tossica che cresceva in un’avveniristica realtà post-apocalittica. La protagonista scopriva poi come tale foresta in realtà non facesse altro che captare e depurare il suolo contaminato dalle ingenti attività antropiche preesistenti. 

In realtà negli anni ’70 questo fenomeno era già noto grazie a un gruppo di appassionati botanici che misero a sistema numerose osservazioni relative alle metallofite (piante metallo-tolleranti), in grado di crescere su suoli incredibilmente ricchi di metalli, tali da determinare la tossicità in qualunque altro organismo non ben adattato a vivere in quei contesti. 

Tuttavia, tali piante erano già note fin dall’antichità, quando venivano impiegate per individuare giacimenti minerari, come citato da Georg Agricola nel De Re Metallica (1556). L’uso delle piante come indicatrici di giacimenti rappresenta, peraltro, una pratica attualmente presente nel cosiddetto Zambian copperbelt; la cintura di depositi di rame dell’Africa centrale dove Lamiacee, comunemente chiamate copper flower, quali ad esempio Ocimum centraliafricanum, sono utilizzate proprio per l’individuazione di giacimenti di rame (Fig.1).

Iperaccumulatori, phytoremediation e phytomining

Ma c’è di più. Alcune di queste metallofite, oltre a tollerare concentrazioni tossiche di elementi quali Cobalto, Cromo, Nichel, Rame, Oro, Argento, Manganese, Zinco, terre rare ecc., sono anche in grado di spostare attivamente tali elementi dal suolo alle porzioni epigee, concentrandoli nella frazione mietibile.

L’impiego di tali specie vegetali, note come iperaccumulatori, in siti contaminati da metalli, ha consentito la messa a punto di numerose tecniche di bonifica, meglio note come phytoremediation, che consentono un miglioramento delle condizioni dei substrati contaminati con recupero di metalli dal suolo. Tuttavia, nel rapporto costi-benefici, tale pratica, pur risultando sostenibile e piuttosto efficace, è lenta e a fine ciclo richiede comunque lo smaltimento della biomassa secca come rifiuto speciale. Da qui l’idea di impiegare questa pratica per il recupero di metalli che abbiano un valore economico per l’industria. Ecco allora nascere il phytomining, dove la fitoestrazione e la concentrazione alla frazione mietibile avvengono per metalli di interesse economico e industriale quali Oro, Argento, Nichel, per citarne solo alcuni, che possono essere captati da scarti di lavorazione industriale e materiali di risulta di attività estrattive. L’incenerimento della biomassa secca a elevatissime temperature consente l’arricchimento di metalli nelle ceneri, che diventano un vero e proprio biominerale e possono essere impiegate nelle più svariate applicazioni industriali come materie prime seconde. Senza contare che alcune specie impiegate per il phytomining posso essere utilizzate al posto di combustibili fossili consentendo la produzione di energia, oltre che il recupero di metalli dalle ceneri.

Il ruolo del microbiota rizosferico

Aspetto altrettanto cruciale è rivestito dalla fase di captazione dei metalli dal suolo, che richiede alcuni processi specifici che avvengono a livello di apparato radicale e rizosfera. In tale contesto, l’impiego di un pool di microorganismi batterici e fungini può giocare un ruolo chiave sia nell’alleviare lo stress da metallo sia nell’aumentare la captazione dello stesso da parte della pianta, con una partita che si gioca a tanti livelli e con diversi regni, dal suolo alla foglia (1). Non verrà esplorato in dettaglio questo affascinante aspetto delle interazioni pianta-suolo, ma basti sapere che il microbiota rizosferico è un elemento chiave su diversi livelli e compare in numerosi aspetti di progetti strategici per l’agricoltura, l’uso del suolo, la riduzione dei pesticidi e dei fertilizzanti, e il miglioramento delle colture.

Una nuova filiera con prospettive interessanti

Nei primi decenni del XXI secolo una nuova frontiera del mining si è delineata come decisiva, in conseguenza di una crescente richiesta di metalli considerati “critici” e cruciali da parte dell’industria, in considerazione della diminuzione delle risorse e di diversi fattori geopolitici. In parallelo, il crescente sfruttamento dei suoli e la loro contaminazione in relazione a una crescente attività antropica hanno complicato il panorama internazionale complessivo per quanto riguarda l’uso di terreni per la produzione agricola. A questo si aggiungono fattori avversi determinati da condizioni naturali, legati ad esempio, in alcune parti del globo, alla presenza di una roccia madre naturalmente ricca di metalli a concentrazioni ecotossiche e pertanto difficilmente coltivabile o poco fertile. Perché allora non applicare questa metodologia a suoli agricoli presenti su terreni metalliferi, o contaminati, ma potenzialmente coltivabili? La messa a sistema di queste applicazioni di bonifica ha dunque inaugurato il filone dell’agromining, che ha come duplice finalità sia il recupero di elementi di interesse industriale, sia la rifunzionalizzazione di suoli agricoli per aumentarne la fertilità e di conseguenza la produttività riducendo gli input di fertilizzanti (2). In pratica si tratta di coltivare in modo sequenziale piante iperaccumulatrici su suoli agricoli, con elevate concentrazioni di metalli per renderli maggiormente fruibili dall’agricoltura tradizionale; a seguire, i suoli vengono normalmente coltivati con colture di interesse alimentare. Tale pratica si inserisce in un contesto ormai fortemente condizionato dal cambiamento climatico e di un sistema agroalimentare volto a una produzione massiva di alimenti, dove l’accumulo di metalli nelle parti eduli delle piante è da evitare in modo categorico. Lo stesso dicasi per le piante che vengono poi impiegate per la produzione di fitoterapici o nutraceutici. Se anche in questo caso l’impatto dell’agromining non è nullo, tuttavia i benefici derivanti risultano numerosi: ad esempio la possibilità di maggior impiego dei terreni, e di conseguenza di occupazione, per le comunità rurali, specialmente nei Paesi in via di sviluppo; l’attrattività economica per l’industria; l’aumento della fertilità dei suoli e di conseguenza la miglior produzione di vegetali. Questa metodologia è di interesse strategico, se si pensa che nel mondo esistono circa 700 specie di piante iperaccumulatrici, decine delle quali decisamente promettenti per i raccolti “metallici” sia nel nostro emisfero (ad esempio Brassicacee come Noccaea caerulescens od Odontarrhena chalcidica, anche nota come Alyssum murale – Fig.2) sia nell’emisfero australe, che vanta diverse piante a portamento arbustivo come il Phyllanthus balgooyi (Fig.3) o addirittura arboree come la Pycnandra acuminata (Fig.4), in grado di contenere nelle propria biomassa secca rispettivamente il 10 e il 25% di Nichel. La possibilità di impiegare questi minatori vegetali ha grandi potenzialità applicative se si considera la possibile creazione di una filiera che consenta poi l’essicazione, l’incenerimento e il recupero dal biominerale così generato di elementi utili attraverso le normali tecniche estrattive idrometallurgiche. 

E le applicazioni? Oltre ai metalli preziosi quali Oro e Argento, anche altri come il Nichel hanno un interesse economico legato all’impiego di questo metallo nelle batterie e nella produzione di acciaio. Inoltre, le applicazioni potrebbero essere ulteriori se si pensa alla produzione di integratori alimentari a base, ad esempio, di Selenio o Zinco, solo per citarne alcuni. 

Resta una filiera appena iniziata e tutta da costruire, si vedano ad esempio i progetti Agromine e Agronickel (3,4) (Fig.5), ma in potenziale rapida espansione, con una legislazione che dovrà gestire e in parte adeguarsi a queste tecnologie emergenti.

Gallery
Bibliografia

1. Rosatto S, Cecchi G, Roccotiello E et al (2021) Frenemies: Interactions between Rhizospheric Bacteria and Fungi from Metalliferous Soils.
Life 11(4): 273
2. Van der Ent A, Baker AJM, Echevarria G et al (2018) Agromining: Farming for Metals. Extracting Unconventional Resources Using Plants.
Springer, Cham, p.312
3. Agronickel ERA NET FACCE surplus, projects.au.dk/faccesurplus/research-projects-1st-call/agronickel/
4. LIFE Agromine Project, Life Environment 2015, LIFE15 ENV/FR/000512, www.life-agromine.com
5. www.earth.com/plant-encyclopedia

Approccio Life Cycle Thinking nel settore nutrizionale

SOSTENIBILITÀ

Marco Bernasconi
Lucia Ferron

FLANAT Research Italia

Approccio Life Cycle Thinking
nel settore nutrizionale

Progetto CAMELINA

[…] l’approccio Life Cycle Thinking si rivela uno strumento prezioso per verificare soluzioni di circolarità a partire da ingredienti naturali e sostenibili. Non solo economia circolare, non solo bioeconomia, ma un approccio circolare alla bioeconomia: i benefici sono evidenti, oltre ad avere un quadro completo delle performance del processo è possibile monitorare gli effetti di eventuali cambi o provvedimenti finalizzati all’ottimizzazione e/o al miglioramento di una parte di esso. […]

Articolo integrale pubblicato su L’Integratore Nutrizionale 3/2022

 

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Sviluppo di un protocollo innovativo per valutare la stabilità di un estratto botanico

ARTICOLI

Lucia Ferron
Adele Papetti

Dipartimento di Scienze
del Farmaco, Università
degli Studi di Pavia

Sviluppo di un protocollo innovativo
per valutare la stabilità
di un estratto botanico

Allestimento per lo studio di stabilità accelerata
applicato al fitocomplesso di un estratto di mais pigmentato

Il tutolo di mais pigmentato è ricco in antocianine e flavonoli, responsabili delle proprietà salutistiche dell’estratto secco (ES) da esso ottenuto, che devono essere preservate e monitorate durante tutta la vita del prodotto. Al fine di valutare la stabilità dell’estratto allo stato solido, è stato sviluppato un innovativo protocollo di stress accelerato seguendo un programma di valutazione della stabilità accelerata (ASAP), basato sull’approccio dell’isoconversione. […]

Articolo integrale pubblicato su L’Integratore Nutrizionale 3/2022

 

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Ingredienti e prodotti

Ingredienti e prodotti

Davide Patroncini

Fagron Italia

Zeropollution®

Dalla natura una miscela di ingredienti ad attività antiossidante e antiaging

[…] una miscela brevettata di quattro estratti secchi di Lippia citriodora (foglie), Olea europea (foglie), Sophora japonica (fiori), Rosmarinus officinalis (foglie) standardizzata HPLC min. 6,8% in verbascoside, 4,5% in oleuropeina, 4,5% in diterpeni (intesi come somma di acido carnosico e canosolo), 3,7% in flavoni (espressi come quercetina). […]

Articolo integrale pubblicato su L’Integratore Nutrizionale 3/2022

 

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Editoriale IN3 • 2022

Editoriale IN3 • 2022

Tiziana Mennini

Direttore scientifico
de L'Integratore Nutrizionale

Gentili si nasce o si diventa?

A scuola di gentilezza

Cari Lettori, permettetemi un editoriale “fuori tema”, da leggere con leggerezza per rilassarci un po’ magari davanti a una tazza di tè. Sono rimasta molto colpita nel leggere recentemente su un giornale locale che, nel Vicentino, otto comuni hanno aderito al progetto di portare nelle scuole, a partire dalle primarie, l’insegnamento della gentilezza. Si, avete proprio capito bene, la gentilezza, quella qualità che nel mondo frenetico in cui viviamo sembra essere scomparsa. Infatti essere gentili sembra una cosa superata, d’altri tempi, fuori moda e controcorrente. Anche un testimonial come Papa Francesco aveva dedicato un intero capitolo dell’enciclica Fratelli tutti alla gentilezza, e suggerito in una udienza poche e buone istruzioni per l’uso, come le tre parole “Permesso?, Grazie, Scusa” che oggi quasi nessuno utilizza più. Nel progetto del Vicentino sono coinvolti 380 bambini, con una cinquantina di insegnanti, e il numero di istituti che hanno deciso di investire in gentilezza si va allargando. Ho anche scoperto che c’è un progetto nazionale “Costruiamo gentilezza” per portare nel territorio iniziative e attività che dessero un valore aggiunto alla comunità. In Italia, ad oggi, sono stati istituiti 157 “assessorati alla Gentilezza”, 15 dei quali sono in Veneto, una regione gentile per tradizione, a partire dal dialetto. Si studiano le parole gentili e i comportamenti da tenere a scuola, al supermercato, al ristorante, come rapportarsi con fratelli e nonni, e si impara anche come agire se ci trattano male. Cose che ai miei tempi venivano insegnate in famiglia, ma si sa, anche la famiglia oggi è cambiata e non ha tempo per curarsi di tutto. Il corso si avvale anche di un libro, dal titolo “Tutti a scuola, corso di gentilezza”. Buone norme di comportamento, strutturato in un vero e proprio percorso didattico. L’autrice è Angelica Montagna, di Bassano del Grappa, giornalista ed esperta di formazione. E i primi ad essere entusiasti di questo insegnamento sono proprio i bambini, che si adeguano felici alle buone maniere. Si ricomincia quindi dai bambini, sperando di arrivare, domani, agli adulti. Mi sembra davvero una bella iniziativa: in questo periodo in cui è richiesto un master o una specializzazione per fare qualunque cosa, perché non rendere obbligatorio un diploma in gentilezza, una specie di “Green pass” per migliorare i rapporti con gli altri?

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L’Integratore Nutrizionale n°3/2022

L’Integratore Nutrizionale n°3/2022

Focus: healthy ageing

ARTICOLI
AGGIORNAMENTI
AZIENDE
ARTICOLI

OPINIONE • Come affrontare le sfide portate dalla guerra in Ucraina al sistema agroalimentare italiano
Gabriele Rotini (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa (CNA)) punta i riflettori sull’impennata dei prezzi di energia e materie prime dovuta alla guerra tra Russia e Ucraina e sul grande rischio del settore agroalimentare Made in Italy. Illustra le proposte dell’Unione Europea e quelle di CNA Agroalimentare, riassumendo quanto riportato all’audizione alla Camera dei Deputati a fine aprile aprile.

Alimentazione, stile di vita e sano invecchiamento
Elena Azzini e Angela Polito del CREA presentano una revisione critica delle evidenze su alimentazione e invecchiamento in salute, considerando la funzione cognitiva e quella immunitaria, che giocano, insieme all’attività fisica, un ruolo fondamentale sul mantenimento del benessere psicofisico.

Formulazioni a base di acido α-lipoico nel trattamento delle neuropatie e del dolore neuropatico
Il soggetto del lavoro di Manuela Bartolini e Lara Testai (Università di Pisa) è l’acido α-lipoico (ALA), uno dei più potenti antiossidanti presenti in natura. Per questo motivi, le ricerche degli ultimi anni hanno rivolto la loro attenzione verso ALA come un prezioso alleato per contrastare lo stress ossidativo e le patologie a esso correlate. Vengono riassunti dati di efficacia e sicurezza nelle neuropatie, anche quelle iatrogene indotte da farmaci chemioterapici.

Sviluppo di un protocollo innovativo per valutare la stabilità di un estratto botanico
Lucia Ferron e Adele Papetti (Università di Pavia) propongono per la prima volta l’applicazione della metodologia ASAP (stabilità predittiva accelerata) a un fitocomplesso, senza generare un pool di dati ingenti e di difficile gestione. Nell’esempio riportato il fitocompesso è un estratto di mais pigmentato, ricco in polifenoli.

AGGIORNAMENTI

LETTERATURA SCIENTIFICA – Da questo numero diamo il nostro benvenuto alla nuova curatrice della rubrica, Alessandra Baldi, Scientific and Regulatory advisor presso NuTRE (Nutraceutical Tailored Research Ecosystem), una nuova realtà che, forte delle consolidate competenze in ambito della ricerca scientifica e nel campo regolatorio, si pone al servizio delle aziende del settore nutraceutico e alimentare per lo sviluppo di prodotti innovativi). In questa rubrica di aggiornamento Alessandra Baldi ci presenta le novità della letteratura scientifica sugli integratori alimentari che possono contribuire a un invecchiamento in salute.

SOSTENIBILITA’ – Marco Bernasconi e Lucia Ferron (FLANAT Research Italia) presentano il l’applicazione dell’approccio Life Cycle Thinking ai progetti, finanziati da Regione Lombardia, sulla Camelina sativa, una pianta selezionata, oltre che per il suo olio ricco in acidi grassi, per la sua caratteristica facilità di adattarsi a qualsiasi terreno senza richiedere un grande apporto di acqua.
E’ descritta l’applicazione LCT, dalla valutazione e quantificazione dei carichi energetici e ambientali e dei potenziali impatti socioeconomici associati al processo lungo l’intero ciclo di vita, dall’acquisizione delle materie prime al suo fine vita.

BIOTECH – Federchimica Assobiotec e ENEA presentano il rapporto annuale sulle imprese di biotecnologia in Italia, che fotografa un settore in crescita, capace di reggere la crisi pandemica e votato dalla ricerca.

APPROFONDIMENTI FORMULATIVI – Assistiamo spesso all’uscita sul mercato di prodotti che, pur accattivanti per la presenza di determinati principi attivi e in dosaggio elevato, non rispettano i requisiti formulativi necessari ad assicurare la corretta assimilazione degli stessi. Andrea Fratter (Presidente SIFNut), in questo numero, ce ne illustra due esempi: Acido α-lipoico e L-glutatione

PIANTE E DERIVATI BOTANICI: Domenico Avenoso e Antonella Riva (INDENA) ci parlano di piante capaci di stimolare immunità e, in particolare, della quercetina le cui attività biologiche riportare in letteratura sono numerose: antiossidante, antinfiammatoria, immunomodulante, antivirale e senolitica; quindi, quale miglior candidata al titolo di “regina della resilienza”?

APPROFONDIMENTI NORMATIVI – L’annosa questione dell’Aloe e dei derivati dell’idrossiantracene. Una nuova valutazione di EFSA è attesa entro ottobre, e Rita Stefani (Fine Foods) ne illustra i dettagli.

NOVEL FOOD: Armando Antonelli (Hylobates) ci presenta i nuovi alimenti autorizzati nell’Unione Europea nel secondo bimestre del 2022.

AZIENDE

MERCATO – Euromonitor International presenta le “opportunità d’oro” per la Silver Generation, riportando i risultati del loro sondaggio del 2021 Voice of the Consumer: Health and Nutrition

Questi argomenti e tante altre NOTIZIE ti aspettano su questo numero... BUONA LETTURA!

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Recupero dei by-products nella filiera della frutta secca

Recupero dei by-products nella filiera della frutta secca

Cristina Danna

Università degli Studi di Genova
cristina.danna@edu.unige.it

L’esigenza del recupero delle biomasse di scarto derivanti dalla filiera agricola apre nuove prospettive di studio di forte interesse applicativo e di innovazione. Un caso emblematico di by-products, sottoprodotti, è quello rappresentato dalle biomasse di scarto derivanti dall’attività di produzione e lavorazione della frutta secca. Dal Nord al Sud Italia sono molteplici le specie coltivate e inserite nel mercato nazionale e internazionale. In questo breve articolo verranno presentati alcuni esempi di coltivazioni di frutta secca, le quali rappresentano i capisaldi di produzione, dal potenziale ancora maggiore se sviluppate nell’ottica dell’economia circolare. I principali scarti della produzione e della lavorazione della frutta secca sono rappresentati dal legno di potatura, dai gusci legnosi e dai tegumenti; molteplici sono gli utilizzi innovativi offerti da questi scarti, oggetto di studio della comunità scientifica. L’uso efficace dei sottoprodotti agricoli è sicuramente una grande sfida nella gestione dei rifiuti e la conversione di questi ultimi in risorse rappresenta un goal importante per la società moderna. I nuovi campi di studio riguardano sia la ricerca di nuovi materiali sia la ricerca relativa ai composti bioattivi recuperabili dagli scarti, obiettivo cardine per l’innovazione nei botanicals.

Le noci

La nocicoltura rappresenta un caposaldo della tradizione colturale italiana delle zone montane e collinari, diffusa solitamente dai 500 fino ai 1200 metri di altitudine. 
Juglans regia L., il Noce, è un albero appartenente alla famiglia delle Juglandaceae, dalle origini asiatiche, nella regione dell’attuale Uzbekistan. Introdotto in Europa già in antichità dai Greci e diffuso poi in tutto l’Impero in età romana. Il nome Juglans (da Iupiter “Giove” e da glans “ghianda”, “ghianda di Giove”) testimonia l’importanza e le proprietà attribuite al frutto. In Italia sono 4 mila gli ettari dedicati alla nocicoltura, per una produzione di circa 12 mila tonnellate. Vista la forte richiesta interna, che si attesta intorno alle 50 mila tonnellate, importazioni di noci vedono a capo del mercato gli USA, il Cile, la Francia e la Germania; da queste, circa 6 mila tonnellate sono gli scarti derivanti dalla produzione di noci sgusciate. Gli usi tradizionalmente noti del Noce come pianta alimentare, medicinale, tintoria e di uso artigianale vengono oggigiorno implementati da conoscenze e ricerche atte ad approcciare i bisogni e problemi della modernità. In quest’ottica si inserisce il discorso del recupero delle biomasse scartate in fase produttiva. 
Da un punto di vista morfologico, il frutto di Noce è composto da quattro parti principali: il nocciolo (embrione), la buccia (tegumento), il guscio e il mallo (Fig.1). 
Una review pubblicata recentemente (2020) da Ali Jahanban-Esfahlan (1) e collaboratori analizza la possibilità di un utilizzo del guscio del frutto come prezioso materiale vegetale bio-assorbente, impiegabile nella rimozione di materiali pericolosi. La porzione di guscio del frutto della noce è uno scarto agricolo lignocellulosico composto da cellulosa (17,74%), emicellulosa (36,06%) e lignina (36,90%). Negli ultimi anni il guscio di Noce è stato ampiamente studiato come bio-assorbente vegetale naturale e inerte. Vengono esplorate le potenziali applicazioni dei sottoprodotti derivati dai gusci di Noce per l’efficacia nella rimozione di vari materiali nocivi, tra cui metalli pesanti, sintetici, oli, ecc. Il materiale assorbente è stato in grado di assorbire dalle acque reflue 11 ioni di metalli pesanti: rame (Cu2+), cromo (Cr6+), arsenico (As3+), cadmio (Cd2+), piombo (Pb2+), cesio (Cs+), nichel (Ni2+), zinco (Zn2+), manganese (Mn2+), ferro (Fe2+) e mercurio (Hg2+). Questo agro-rifiuto ricco di cellulosa rappresenta anche il materiale adatto per lo sviluppo commerciale di packaging biodegradabile. Dingyuan Zheng e collaboratori (2) hanno utilizzato il guscio di Noce come materia prima per la produzione di cellulosa purificata. La tecnica di produzione prevede molteplici trattamenti, tra cui quelli alcalini e di sbiancamento. 
La produzione di materiali cellulosici a partire da materiali di scarto si inserisce in una logica di economia circolare, e ancora una volta l’obiettivo è convertire le biomasse di scarto in risorse e beni preziosi e necessari.
Recentemente è stato oggetto di studi anche un’altra parte del frutto, il mallo verde di Noce. Vanessa Vieira (3) e collaboratori ne hanno studiato l’estratto idroalcolico come fonte di composti bioattivi, dalle proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e antibatteriche, volendo anche in questo caso valorizzare una biomassa generalmente scartata che potrebbe invece contribuire allo sviluppo di nuovi botanicals. Un ulteriore recente studio di Raffaele Romano e collaboratori (4), sempre relativo allo studio del mallo, si è focalizzato sull’estratto in CO2 supercritica. Nonostante il costo elevato, dovuto alla complessità dei macchinari, questa estrazione consente un minor impatto ambientale, in quanto il solvente utilizzato non lascia tracce e può essere recuperato e riutilizzato per ulteriori estrazioni. Gli estratti sono stati caratterizzati in termini di contenuto totale di polifenoli, con attività antiossidante e antifungina. Il mallo verde di Noce rappresenta, dunque, un’importante fonte economica di composti bioattivi che ne suggeriscono l’utilizzo per i packaging attivi nell’industria alimentare.

Figura 1
Le nocciole

Corylus avellana L., il Nocciolo, è un albero appartenente alla famiglia delle Betulaceae. Originario dell’Asia minore, si trova ampiamente spontaneo e coltivato in Italia fino a un’altitudine di 1300 m. Il nome scientifico della specie deriva dal greco κόρυς (córys) “elmo”, probabilmente a ricordo della forma della cupula, involucro fogliaceo che attornia il frutto; avellana è invece riferito alla città di Abella, nome latino di Avella Vecchia (Campania), anticamente rinomata per le nocciole. L’Italia è uno dei maggiori produttori a livello mondiale, secondo dopo la Turchia, con circa 86 mila ettari dedicati alla corilicoltura e una produzione di circa 110 mila tonnellate all’anno. Ricordiamo per importanza la Nocciola di Giffoni Igp, la Nocciola delle Langhe Igp e la Nocciola romana Dop.
La valorizzazione dei sottoprodotti delle nocciole (Fig.2) dà un importante contributo per l’isolamento e la purificazione di molecole bioattive che possono essere utilizzate sia per scopi medicinali che industriali.
Recentemente, Sandra Cabo e collaboratori (5) hanno studiato le cupule delle nocciole come fonte di polifenoli antiossidanti. L’estratto dalle maggiori attività antiossidanti è quello in metanolo, tuttavia nello studio vengono riportate ulteriori modalità di estrazione meno impattanti dal punto di vista ambientale, quale ad esempio l’estrazione con acqua, presentata come un’alternativa affidabile e sicura. 
Alessandro Di Michele e collaboratori (6) hanno invece studiato gli estratti dei gusci delle nocciole, isolando anche in questo caso agenti antiossidanti e antibatterici. L’acido gallico è risultato essere il composto fenolico più abbondante e a seguire l’acido clorogenico, rutina e acido protocatecuico.
Gli scarti delle nocciole sono inoltre utilizzabili come materia prima per l’industria della carta. A titolo esemplare, il progetto EcoPaper coordinato dalla Ferrero ha permesso di creare un packaging più sostenibile ed economico a partire dalle biomasse di scarto. 
Si stima che dai residui produttivi, bucce delle fave di cacao e gusci e cuticole di nocciole, inseriti per il 10% nel prodotto finale, vengano prodotte 1,5 milioni di tonnellate di carta annui.

Figura 2
I pistacchi

Pistacia vera L., il Pistacchio, è un albero appartenente alla famiglia delle Anacardaceae. Originario dell’Asia minore, si è diffuso nel bacino del Mediterraneo in età greco-romana. Pistacia, dal greco πιστάκη (pistáke) “pistacchio”, deriva dal vocabolo persiano pistáh, che significa “ricco di farina”. La coltivazione e produzione del Pistacchio in Italia è principalmente diffusa in coltivazioni che non superano gli 800 m di altitudine in Sicilia nella varietà Bianca di Bronte, il famoso Pistacchio che gode denominazione di origine protetta (Dop) ed è un Presidio Slow Food. Si stima che la produzione italiana ammonti a circa 3400 tonnellate, mentre le importazioni siano di circa 10.000 tonnellate.
Anche il Pistacchio, come nei casi precedentemente citati per altra frutta secca, vede nella sua filiera di produzione e trasformazione diversi scarti, principalmente guscio legnoso e “buccia” (Fig.3). 
Queste biomasse inutilizzate hanno attirato l’interesse scientifico nella ricerca di fonti alternative di composti bioattivi, aumentando il valore della produzione del Pistacchio. Un recente studio condotto da Antonella Smeriglio e collaboratori (7) ha dimostrato, mediante saggi in vitro e in vivo, gli effetti antiossidanti e inibitori della biosintesi della melanina di un estratto in metanolo di tegumenti di Pistacchio. I risultati suggeriscono che il tegumento di Pistacchio maturo può essere considerato come una promettente fonte di agenti antiossidanti e sbiancanti per lo sviluppo di nuovi prodotti utili nella prevenzione di disturbi della pigmentazione nell’uomo e/o per migliorare la qualità degli alimenti, aprendo nuove possibilità in campo nutraceutico e farmaceutico.
L’ulteriore lavoro di Nunzio Cardullo e collaboratori (8) riporta la valutazione dei gusci di Pistacchio, un sottoprodotto di scarso valore economico, come promettente fonte di polifenoli antiossidanti. Gli autori hanno proposto e ottimizzato una procedura di estrazione ecosostenibile con etanolo sotto irradiazione a microonde, e un metodo di frazionamento facilmente riproducibile e scalabile, adatto per applicazioni industriali. I risultati hanno evidenziato che la metodologia proposta può essere un modo efficace per recuperare i composti fenolici bioattivi dal guscio duro del Pistacchio, rendendo questo sottoprodotto una promettente fonte di composti con potenziali applicazioni nei settori alimentare e sanitario.

Figura 3
Conclusioni

È importante comprendere appieno il valore dei sottoprodotti derivanti dalla filiera produttiva della frutta secca e determinare la fattibilità tecnica e i metodi da utilizzare nel riciclo. Il problema che molti operatori del settore devono affrontare è quello di trovare macchinari e metodi idonei alla lavorazione di tali sottoprodotti, in grado di garantire il recupero di importanti molecole e composti bioattivi ancora presenti. Fondamentale risulta quindi, nella logica dell’economia circolare relativa al settore agricolo, inserire punti di raccolta dei sottoprodotti agricoli, connessi a sedi di lavorazione provviste dei macchinari adeguati, che alimentino nuovi cicli produttivi. Ancora una volta, da prodotti generalmente considerati di scarto può derivare un valore aggiunto. I riscontri positivi riguardano sia il mondo agricolo sia il mondo dell’impresa innovativa, attenta alla tutela dell’ambiente e delle sue risorse, e al benessere dei consumatori.

Bibliografia

1. Jahanban-Esfahlan A, Jahanban-Esfahlan R, Tabibiazar M et al (2020) Recent advances in the use of walnut (Juglans regia L.) shell as a valuable plant-based bio-sorbent for the removal of hazardous materials. RSC Advances 10(12):7026-7047
2. Zheng D, Zhang Y, Guo Y et al (2019) Isolation and Characterization of Nanocellulose with a Novel Shape from Walnut (Juglans Regia L.) Shell Agricultural Waste. Polymers (Basel) 11(7):1130
3. Vieira V, Pereira C, Abreu RMV et al (2020) Hydroethanolic extract of Juglans regia L. green husks: A source of bioactive phytochemicals. Food Chem Toxicol 137:111189
4. Romano R, Aiello A, Meca G et al (2021) Recovery of bioactive compounds from walnut (Juglans regia L.) green husk by supercritical carbon dioxide extraction. Int J Food Sci Technol 56(9):4658-4668
5. Cabo S, Aires A, Carvalho R et al (2021) Corylus avellana L. Husks an Underutilized Waste but a Valuable Source of Polyphenols. Waste and Biomass Valorization 12:3629-3644
6. Di Michele A, Pagano C, Allegrini A et al (2021) Hazelnut Shells as Source of Active Ingredients: Extracts Preparation and Characterization. Molecules 26(21),  doi:10.3390/molecules26216607 
7. Smeriglio A, D’Angelo V, Denaro M et al (2021) The Hull of Ripe Pistachio Nuts (Pistacia vera L.) as a Source of New Promising Melanogenesis Inhibitors. Plant Foods Hum Nutr 76(1):111-117
8. Cardullo N, Leanza M, Muccilli V et al (2021) Valorization of Agri-Food Waste from Pistachio Hard Shells: Extraction of Polyphenols as Natural Antioxidants. Resources 10(5), doi:10.3390/resources10050045

Le molteplici funzionalità del Carrubo

Le molteplici funzionalità del Carrubo

Da specie antica utilizzata nella dieta
alla possibile valorizzazione nutraceutica
dei sottoprodotti

Massimiliano Brugaletta

Agronomo, presidente associazione CAREX,
vicepresidente Distretto Frutta Secca di Sicilia
massibruga@gmail.com

Parole chiave

Variabilità Carrubo
Locust Bean Gum (LBG)
Ciclitolo

Doltendix®

Doltendix®

Per il benessere dei tendini

I tendini sono costituiti da tessuto connettivo denso, la cui natura fibroelastica consente l’interazione tra muscoli e ossa, rendendo possibile il movimento. Sono composti prevalentemente da fibre collagene di tipo I, che conferiscono la forza necessaria per far fronte a carichi elevati. Se sottoposti ad alcune condizioni, quali sovraccarico, movimenti scorretti e allenamento, possono subire lesioni e andare incontro a degenerazione.

DOLTENDIX®

Un integratore alimentare
a base di peptidi bioattivi
da collagene, astaxantina, trans-resveratrolo
e vitamina C, formulato
per il benessere dei tendini.

ASTAXANTINA
Carotenoide rosso ottenuto da microalghe (Haematococcus pluvialis) ad azione antiossidante.

TRANS-RESVERATROLO
Polifenolo non flavonoide presente in molte varietà botaniche.

BIO-PEPTIDI DA COLLAGENE TENDOFORTE®
Miscela brevettata di peptidi bioattivi di collagene altamente caratterizzati dal punto di vista chimico e altamente specifici. 

VITAMINA C
La vitamina C contribuisce alla normale formazione del collagene per la normale funzione delle cartilagini.

Collagene di origine bovina (TENDOFORTE®); maltodestrina; vitamina C (acido L-ascorbico); aromi; correttore di acidità: acido citrico; astaxantina (AstaReal®), amido modificato; colorante: rosso di barbabietola; trans-resveratrolo (Veri•Sperse®); antiagglomerante: biossido di silicio; edulcorante: sucralosio.

Si consiglia l’assunzione di 2 buste al giorno di DOLTENDIX®, disperdendole ciascuna in un bicchiere d’acqua (circa 250 ml) a temperatura ambiente.

TABELLA NUTRIZIONALE
Apporto nutrienti:
VALORI NUTRIZIONALI
(*) VNR: Valori Nutritivi di Riferimento ai sensi del Reg. UE 1169/2011
Componenti
per dose (2 buste)
% VNR/dose (*)
Collagene (TENDOFORTE®)
5000 mg
Astaxantina (AstaReal®)
8 mg
Vitamina C
500 mg
625
Trans-resveratrolo (Veri•Sperse®)
150 mg

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Non ci accontentiamo di meno dell’eccellenza
— Kolinpharma —

Approfondimenti normativi

Approfondimenti normativi

Valeria Pullini

Avvocato

Rita Stefani

Scientific and Regulatory Advisor,
Fine Foods & Pharmaceuticals

Siamo lieti di ospitare in queste pagine due interventi del Centro Studi sul Diritto e le Scienze dell’Agricoltura, alimentazione e ambiente (CeDiSa, www.cedisa.info), nato dall’iniziativa di cinque atenei italiani, decisi a creare uno strumento di dialogo costante fra le scienze e il diritto dell’agricoltura, alimentazione e ambiente. Ringraziamo il direttore, Vito Rubino, e i due membri del Comitato Scientifico di CeDiSa e docenti del Corso di Alta Formazione in Legislazione Alimentare (CAFLA), Valeria Pullini e Rita Stefani, che hanno accettato di scrivere per noi su due argomenti di scottante attualità.

Articolo integrale pubblicato su L’Integratore Nutrizionale 2/2022

 

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