Materiale di origine naturale! … ma è davvero sostenibile? (e sicuro?)

OPINION LEADER

A. Cavazza

Università di Parma

Materiale di origine naturale! … ma è davvero sostenibile? (e sicuro?)

Attraversiamo un momento storico in cui il tema della sostenibilità è al centro dell’interesse di tutti e coinvolge moltissimi aspetti della quotidianità. Relativamente al tema del packaging, l’attenzione per i materiali impiegati condiziona moltissimo il comportamento dei consumatori di fronte a una confezione da acquistare e le aziende fanno il possibile per andare incontro alle richieste di imballaggi innovativi con basso impatto ambientale.

Il marketing richiede nuove soluzioni di packaging che siano prima di tutto veicolo di messaggi di rispetto dell’ambiente. Molti prodotti quindi appaiono sul mercato in una nuova veste “green”, che è però a volte discutibile. Spesso il fine ultimo è, infatti, solo quello di attrarre l’attenzione del cliente con confezioni e claims che evocano la naturalità e la sostenibilità con richiami all’origine vegetale dei materiali e al rispetto per l’ambiente. Non dimentichiamo però che una delle funzioni fondamentali de packaging è quella di proteggere il prodotto e combatterne lo spreco. Stiamo andando in questa direzione? 

Proviamo a guardarci intorno con spirito critico e poniamoci qualche domanda.

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Sericina della seta

ARTICOLI

A. Candiani, G. Diana, A. Foglio Bonda, A. Milanesi, E. Bari, M. Sorlini, M. L. Torre, L. Segale

Uni Piemonte Orientale, Novara Pharmaexceed, Pavia
APTSol, Novara

Sericina della seta

Ingrediente innovativo da upcycling per gel igienizzante mani

In seguito all’emergenza sanitaria globale di COVID-19 dovuta a SARS-CoV-2, sono stati commercializzati moltissimi prodotti disinfettanti o cosmetici igienizzanti per le mani contenenti etanolo, che esercita azione disinfettante quando presente a elevate concentrazioni (≥80% v/v secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità) (1) ed è, ad oggi, in fase di revisione come attivo in prodotti biocidi per l’igiene umana e animale (2). Nonostante la rilevanza di questi prodotti per l’igiene personale, in generale, e, in particolare, nella situazione contingente, il loro uso frequente non solo nell’arco della giornata ma anche nel medio-lungo termine (settimane, mesi ecc.) può provocare secchezza e screpolature sulla cute, dermatiti o reazioni allergiche per via dell’alterazione del film idrolipidico della pelle, a seconda della sensibilità di ciascun utilizzatore (3-6). Per prevenire i sopracitati effetti collaterali, una soluzione potrebbe essere quella di arricchire le formulazioni “tradizionali” con ingredienti funzionali innovativi. Lo scopo di questo lavoro è stato quello di preparare un gel idroalcolico arricchito con sericina, una proteina della seta nota per avere proprietà idratanti, lenitive e un effetto antiossidante (7-9), tutte caratteristiche estremamente rilevanti per la pelle e ricercate dall’industria cosmetica. Nello specifico, sono state studiate sei formulazioni diverse tra loro per il tipo di viscosizzante impiegato, dal momento che questo eccipiente può influenzare oltre alle caratteristiche del prodotto finito, anche l’efficienza del processo produttivo, e può incidere sul livello di gradimento della preparazione da parte dell’utilizzatore finale.

I gel idroalcolici sono stati preparati utilizzando etanolo dal momento che in letteratura è riportato che, rispetto a isopropanolo e n-propanolo, è dotato di una maggiore tollerabilità cutanea (10).

La sericina derivante dalla seta (SS) impiegata in questo lavoro è un prodotto di scarto di un’industria tessile italiana (Artefil, Luisago). L’upcycling di sericina, oltre a evitare lo spreco di questa preziosa proteina, apporta un notevole valore aggiunto alla formulazione, soddisfacendo la crescente e incessante domanda di sostenibilità ambientale che oggigiorno è un aspetto fondamentale su cui l’industria punta molto.

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Editoriale Cosmetic Technology 5, 2022

Editoriale
Cosmetic technology 5, 2022

Anna Caldiroli

Direttore scientifico
di Cosmetic Technology

Lavoratori
e protezione solare

Siamo nel 1917 e immagino di scrivere questo editoriale del numero dedicato allo sport osservando il Maestro Carlo Carrà  intento a dipingere “La musa metafisica”: una statuaria e composta giocatrice di tennis – se fosse stata dipinta recentemente, forse giocherebbe a padel – dagli inconfondibili tratti metafisici. Un golfino a maniche lunghe chiuso sul davanti, una cintura e una gonnella. Attorno a lei, il chiaro-scuro e le ombre ci fanno perfettamente intuire il punto di arrivo della luce anche se la finestra visibile nella stanza è lontana e buia.  Pensandola come una sportiva (lavoratrice) potremmo concludere che la sua esposizione ai raggi UV sia piuttosto scarsa, ammesso che non conosciamo che tipo di tessuto è stato impiegato per realizzare i suoi abiti.

Facciamo un salto temporale di quasi 100 anni, arriviamo nel 2022: in un’estate caldissima e siccitosa. I vari telegiornali nazionali non mancano di ricordarci la temperatura del giorno, di bere acqua, di non uscire nelle ore più calde. La crisi energetica è fuori dalla porta, la difficoltà di approvvigionamento delle materie prime incalza e gli aeroporti in serie difficoltà organizzative. È luglio inoltrato: parto per le vacanze; sono in auto, guido o sono passeggero ed osservo. Tanti sono i cantieri che si snodano lungo le autostrade italiane. Tanti sono i lavoratori lungamente sotto il sole: mi trovo a pensare come, a differenza della tennista di Carrà, si proteggono dai danni del breve termine oppure, peggiori e silenti, quelli che impiegano più tempo a insediarsi e a maturare. Sono cute e occhi i principali organi bersaglio dell’esposizione sia nel breve sia nel lungo periodo1.

Mi domando quindi se, in tutte le circostanze che vanno oltre l’adozione di misure tecniche e organizzative (come la turnazione, la creazione di zone d’ombra ecc.) e si deve ricorrere alle misure di protezione individuale (quali berretti, occhiali e solari), quanto l’applicazione di un cosmetico nella pratica venga “presa sul serio” ed entri effettivamente a far parte della quotidianità lavorativa di sportivi, agricoltori, edili, manutentori ecc. che sono esposti alla radiazione UV? Sono sufficienti l’informazione e la formazione previste dal Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81) affinché i lavoratori siano a conoscenza dei rischi specifici cui sono esposti durante lo svolgimento dell’attività lavorativa e delle misure di prevenzione e protezione applicabili? Oppure è facile sfuggirvi per ragioni legate al discomfort che possono provocare alcuni prodotti, magari untuosi e dall’effetto lucido o cementizio, alla percezione che il solare non sia un vero e proprio scudo invisibile e protettivo da un cancerogeno ma più un vezzo oppure ancora perché percepito come un rischio minore, in particolare da chi è costantemente all’esterno? Infatti, sembra che i cosiddetti indoor workers siano maggiormente consapevoli della probabilità di danno che è in grado di provocare l’esposizione solare rispetto a chi sta fuori. Addirittura, da un’indagine risulta che oltre il 70% degli outdoor workers non applichi mai la protezione solare. Invece, gli indumenti protettivi sono stati trascurati da più del 30% dei lavoratori2. Alcuni sembrano anche essere inadeguati allo scopo3.

1Modenese A, Korpinen L, Gobba F. Solar Radiation Exposure and Outdoor Work: An Underestimated Occupational Risk. Int J Environ Res Public Health. 2018;15(10):2063.

2Gallo R, Guarneri F, Corazza M, et al. Role of occupational and recreational sun exposure as a risk factor for keratinocytic non-melanoma skin cancers: an Italian multicenter case-control study. Ital J Dermatol Venerol. 2021;156(6):692-702.

3Miligi L, Benvenuti A, Legittimo P et al. Rischio da radiazione solare ultravioletta nei lavoratori outdoor: piano mirato della Regione Toscana [Solar ultraviolet radiation risk in outdoor workers: a specific project of Tuscany Region (Italy)]. Epidemiol Prev. 2013;37(1):51-59.

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Concrete wellness

ARTICOLI

C. Minelle, A. Ratti

Bregaglio

Concrete wellness

Da archetipo a trend cosmetico

Il coolhunting è un innovativo strumento di marketing che, basandosi sull’osservazione del contesto socioculturale, permette di tradurre i risultati delle ricerche in trend futuri. Nell’articolo si spiega come dall’analisi dell’archetipo e metatrend dell’albero sia stato possibile individuare un’applicazione cosmetica di tendenza: i prodotti stick per il viso. 

 

Concrete wellness
From archetype to cosmetic trend
Coolhunting is an innovative marketing tool. It observes socio-cultural contexts making it possible to translate research results into future trends. The article explains how an up to the minute cosmetic application (stick skincare products for the face) has been developed, thanks to an analysis of the archetype and metatrend of the tree.

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Effetti della luce blu sulla pigmentazione e l’ossidazione della pelle in un modello ex vivo

ARTICOLI

M. Massironi, C. Girardi, F. Benato, D. Stuhlmann

Symrise

Effetti della luce blu sulla pigmentazione e l’ossidazione della pelle in un modello ex vivo

Valutazione dell’attività dell’L-Carnosina

Questo studio mira a valutare gli effetti della luce blu (Blue light, BL) utilizzando un modello di pelle ex vivo, e a testare l’efficacia della L-Carnosina nel proteggere la pelle dagli effetti della BL. Biopsie di pelle umana (ottenute da chirurgia plastica addominale) sono state trattate topicamente con L-Carnosina ed esposte a BL (80 e 120 J/cm2). L’effetto della BL sull’ossidazione e la pigmentazione è stato quantificato valutando le specie reattive dell’ossigeno (ROS) e la proteina Melanoma antigen recongnized by T cells 1 (Melan-A), che si trova sulla superficie dei melanociti. La valutazione dei ROS è stata eseguita con il metodo della diclorofluoresceina diacetato (DCFH-DA), mentre l’induzione della pigmentazione è stata valutata misurando la quantità di cellule Melan-A positive nello strato basale.

Si è osservato che BL aumenta in modo statisticamente significativo e dose-dipendente la produzione di ROS. Inoltre, è stato osservato un aumento statisticamente significativo di cellule Melan-A positive con la dose di 120 J/cm2 di BL. La L-Carnosina mostra un notevole effetto antiossidante riducendo sia i ROS sia le cellule Melan-A positive. L’aumento dei livelli di ROS, così come l’effetto pro-pigmentante, ci porta a concludere che la BL esercita un effetto pro-ossidativo sulla pelle. La L-Carnosina sembra fornire un’importante protezione dagli effetti della BL riducendo sia i ROS che le cellule Melan-A positive, potrebbe quindi essere considerata una soluzione valida per diminuire gli effetti negativi delle radiazioni della BL sulla pelle.

Effects of blue light on skin pigmentation and oxidation in an ex vivo model
Evaluation of the activity of L-Carnosine
This study aims to evaluate the effects of blue light (BL) using an ex vivo skin model, and to test the effectiveness of L-Carnosine in protecting the skin from the effects of BL. Human skin biopsies (obtained from abdominal plastic surgery) were topically treated with L-Carnosine and exposed to BL (80 and 120 J/cm2). The effect of BL on oxidation and pigmentation was quantified by evaluating reactive oxygen species (ROS) and the protein Melanoma antigen recongnized by T cells 1 (Melan-A), which is found on the surface of melanocytes. ROS evaluation was performed with the dichlorofluorescein diacetate (DCFH-DA) method, while induction of pigmentation was evaluated by measuring the amount of positive Melan-A cells in the basal layer.

We observed that BL statistically significantly and dose-dependently increases ROS production. Furthermore, a statistically significant increase in Melan-A positive cells was observed with the dose of 120 J/cm2 of BL. L-Carnosine shows a remarkable antioxidant effect by reducing both ROS and Melan-A positive cells. The increase in ROS levels, as well as the pro-pigmenting effect, leads us to conclude that BL exerts a pro-oxidative effect on the skin. L-Carnosine seems to provide important protection from the effects of BL by reducing both ROS and Melan-A positive cells, so it could be considered a valid solution to reduce the negative effects of BL radiation on the skin.

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Ciclodestrine

ARTICOLI

Annalisa Branca

R&D cosmetic formulator
Stubborn Cosmetics

Ciclodestrine

Ingredienti versatili e dalle molteplici applicazioni

Le ciclodestrine (CD) sono oligosaccaridi ciclici composte da unità di glucosio.
Le più comuni sono le ciclodestrine α, β e γ, formate rispettivamente da 6, 7, e 8 unità di glucosio.
Le CD possono essere prodotte in modo relativamente economico da materiali come l’amido, attraverso protocolli di green chemistry. Pertanto, sono considerate degli ingredienti di derivazione naturale. Studi tossicologici hanno dimostrato la loro sicurezza nell’utilizzo sia cosmetico sia alimentare.
La loro storia inizia nel 1891, quando Villiers studia dei peculiari cristalli che si rivelano essere stabili in condizioni di idrolisi acida e che non posseggono proprietà riducenti.
Dopo più di cento anni, le CD sono ancora di importante interesse.
La loro struttura toroidale a tronco di cono gli consente di formare complessi di inclusione con molecole-ospiti (guest). Ciò le rende particolarmente utili nello stabilizzare gli ospiti contro l’ossidazione e la luce e nell’aumentarne la solubilità e la biodisponibilità.
Le CD hanno largo impiego anche nella loro forma non complessata. Infatti, per esempio, quando non complessate sono in grado di sequestrare i cattivi odori.
Il costo relativamente contenuto e la loro versatilità hanno permesso alle CD e ai loro derivati, di trovare spazio in molteplici settori, in particolare nella cosmesi.

Ciclodextrins
Versatile ingredients with multiple applications
Cyclodextrins are cyclic oligosaccharides made of glucose units. The most common are the α-, β- and γ-cyclodextrins, that comprise 6,7, and 8 glucose units respectively.
They can be manufactured inexpensively starting from simple raw materials like starch, according to green chemistry protocols. Hence, they are classified as naturally derived ingredients. Furthermore, toxicology studies showed they are safe in both the cosmetic and food use.
Their story begins in 1891, when Villiers studies some peculiar crystals which proved stable under acid hydrolysis conditions, and did not possess reducing properties. After more than a hundred years, CDs are still of great interest. Their truncated cone and toroidal structure allow CDs to form inclusion complexes with guest molecules. This makes them particularly useful in stabilizing the guests against oxidation and light, and in increasing their solubility in water and bioavailability. CDs are also widely used in their non-complexed form. In fact, for example, when they are free, they are able to trap body odor. The relatively low cost and versatility have allowed CDs, and their derivatives, to find space in many sectors; in particular, they allow various interesting uses in cosmetics.

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Ecodesign di prodotti solari: quali sfide?

OPINION LEADER

Alessandra Semenzato

Direttore scientifico Unired
Docente Università degli Studi
di Padova

Ecodesign di prodotti solari: quali sfide?

Sviluppare prodotti cosmetici secondo criteri di ecodesign è la sfida della cosmesi moderna. Come tutto il mondo produttivo, anche il nostro settore è infatti chiamato a prendere consapevolezza delle ricadute ambientali associate non solo al ciclo di produzione ma anche al ciclo di vita dei prodotti e a trovare nuove soluzioni che siano in grado di immettere sul mercato cosmetici formulati in un’ottica di sostenibilità, evitando ogni forma di greenwashing. 

Formulare in ecodesign significa progettare un prodotto secondo criteri ambientali che tengano in considerazione parallelamente contenuto e contenitore. La costruzione di un prodotto in ecodesign non può prescindere infatti dai materiali che compongono il packaging, che ne determinano l’impatto ambientale nella sua fase di fine vita. 

L’obiettivo da raggiungere non è affatto scontato per nessuna categoria di cosmetici ma non c’è dubbio che l’asticella da superare sia posizionata ancora più in alto quando parliamo di prodotti solari, ovvero di una categoria di prodotti che hanno un ruolo specifico nella prevenzione della nostra salute e che presenta dei vincoli normativi specifici sia in termini di scelta degli ingredienti attivi (lista filtri del Regolamento sui prodotti cosmetici) che di misurazione dell’efficacia (ISO solari). 

La questione ambientale e le problematiche dell’impatto dei solari nell’ecosistema barriera corallina è emersa già da alcuni anni: i principali imputati dei danni ambientali sono filtri solari di vecchia generazione, come Oxybenzone (Benzophenone-3) e Octinoxate (Ethylhexyl Methoxycinnamate), sospettati di essere dei potenti interferenti endocrini, che sono stati vietati in alcuni stati USA. In Europa, dove a differenza degli Stati Uniti la lista dei filtri ammessi include anche molecole di ultima generazione ad ampio spettro più performanti, rinunciare a queste molecole e definirsi ocean friendly è stato semplice, anche se non è questa la corretta modalità per affrontare la sfida della sostenibilità.

Per vincerla dobbiamo allargare lo sguardo e abituarci ad aggiungere un ulteriore criterio di valutazione per selezionare le materie prime con cui formuliamo i nostri prodotti: non più solo funzionalità, SPF, aspetti applicativi/sensoriali e costi ma anche impatto ambientale, dobbiamo quindi abituarci a ragionare in termini di LCA (Life Cycle Assessment) di prodotto e di materia prima. 

Per un design formulativo sostenibile è infatti necessario considerare che ogni fase del ciclo di vita del prodotto ha una ricaduta sull’ambiente: è stato calcolato che la fase di design che comprende il sourcing delle materie prime è la fase che incide maggiormente (16%) mentre le altre fasi (manufacturing, distribution, consumer use e post consumer use) pesano più o meno in parti uguali (13-14%).

Evidentemente, la fase consumer use per i prodotti leave-on è quasi trascurabile e quindi il peso della fase di design e della scelta delle materie prime (CO2, estrazione, sintesi) risulta ancora più determinante. 

Per i prodotti rinse-off, invece, ciò che incide in modo più pesante è proprio la fase di utilizzo da parte dei consumatori e il fine vita che coinvolgono sia l’uso dell’acqua durante il lavaggio sia le implicazioni dei residui nelle acque di scarico (biodegradabilità, ecotossicità).

E nel caso di un prodotto solare? Pur essendo un prodotto leave-on la fase di utilizzo impatta in modo pesante sul mondo marino, quindi, anche criteri come biodegradabilità ed ecotossicità diventano prioritari. 

L’ecodesign formulativo di un solare non può quindi prescindere da un’attenta analisi delle materie prime utilizzate: il sistema filtrante che deve garantire la protezione, la scelta di oli ed emulsionanti e quella dei polimeri.  

La selezione dei filtri è cruciale per la protezione solare perché nei prodotti ad alto SPF (30, 50, 50+) la loro concentrazione rappresenta il 30 % degli ingredienti del prodotto. 

Non disponiamo ancora di dati sufficientemente esaustivi sull’impatto ambientale deli filtri solari ma dai primi studi sembra chiaro che le molecole di ultima generazione con caratteristiche broad spectrum rappresentino una scelta più ecofriendly: dal momento che garantiscono migliori performance in termini di protezione solare, sono quindi utilizzabili a concentrazioni più limitate rispetto alle classiche molecole organiche di prima e seconda generazione (1). Molto spesso, quando si tratta di sostenibilità, a livello marketing i filtri UV detti fisici vengono presentati come prima scelta perché considerati “naturali”. Tuttavia, proprio per la loro natura chimica (inorganica, appunto), per questa categoria di filtri (come l’ossido di zinco) non si applicano i criteri di biodegradabilità e le loro concentrazioni nell’ambiente marino potrebbero aumentare nel tempo con potenziali effetti acuti e cronici su un gran numero di specie presenti appunto nell’ambiente marino.

L’efficacia di un prodotto solare oltre che dalla tipologia di sistema filtrante utilizzato è strettamente dipendente dalla presenza di polimeri che permettono di creare film uniformi capaci sia di migliorare la resistenza al lavaggio che di implementare il cammino ottico della luce, agendo da booster di SPF.

Se in un futuro non poi così lontano i polimeri a base di acrilati, molto utilizzati nei prodotti solari allo scopo di migliorare la resistenza all’acqua e come booster di SPF, fossero identificati come microplastiche e sottoposti a restrizione come già accaduto per i derivati del nylon o del PMMA, questo inciderebbe sull’operatività poiché diverrebbero non più utilizzabili nelle formulazioni cosmetiche.

A questo proposito, vale la pena di ricordare che se è vero che tutte le plastiche sono polimeri, non è vero che tutti i polimeri sono plastiche. L’obiettivo di utilizzare nuovi materiali polimerici biodegradabili e non ecotossici che siano in grado di garantire le performance di water resistance e booster. 

Per quanto riguarda i sistemi emulsionanti e gli oli emollienti è necessario privilegiare molecole anche di sintesi o semi-sintesi ma preparate utilizzando criteri di green chemistry capaci di coniugare in modo ottimale una bassa impronta CO2 e biodegradabilità con proprietà funzionali e sensoriali elevate. Fortunatamente esiste un’ampia scelta di sistemi con cui preparare sia emulsioni acqua in olio che olio in acqua con fasi lipidiche caratterizzate da proprietà solventi molto importanti per la solubilizzazione dei filtri. 

Sostenibilità è anche saper rinunciare a ciò che non è strettamente necessario. Formulare in ecodesign vuol dire quindi realizzare prodotti semplici, utilizzando quegli ingredienti necessari a garantire aspetti sensoriali e funzionali e di stabilità del prodotto in modo da semplificare anche la fase di produzione. 

Questo stesso criterio deve essere applicato anche al packaging poiché solo i packaging monomateriale possono essere facilmente riciclabili, come flaconi e tubi che a differenza di pompe spray non richiedono l’uso di polimeri di diversa natura chimica.

Oggi i consumatori chiedono sempre di più ai cosmetici che acquistano, ricercando la sostenibilità a 360 gradi, non solo in termini di impatto ambientale e biodegradabilità, ma anche di sicurezza. In quest’ottica, è necessario un approccio più olistico, ponendo particolare attenzione alla qualità delle materie prime utilizzate e formulando prodotti solari con ingredienti che abbiano un elevato grado di dermo-affinità, adatti a tutti i tipi di pelle, anche le più sensibili. Tutto questo senza tralasciare gli aspetti sensoriali di scorrevolezza e di texture, che rendono il prodotto piacevole da applicare, in modo tale che il consumatore sia più propenso alle applicazioni ripetute nell’arco della giornata, elemento indispensabile per assicurare l’efficacia protettiva.

Biliografia

  1. Pawlowski S, Herzog B, Sohn M et al. EcoSun Pass: A tool to evaluate the ecofriendliness of UV filters used in sunscreen products. Int J Cosmet Sci. 2021;43: 201-210.

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Solari Mineral Only

ARTICOLI

Mattia Battistin* Alessandro Bonetto** Stefano Manfredini*** et al

*Kalis Srl
**Università Ca' Foscari Venezia
***Università di Ferrara

Solari Mineral Only

Estratto di semi di Pongamia come innovativo booster SPF per la protezione solare 100% minerale

Oltre agli indiscutibili effetti positivi dell’esposizione solare per la salute umana, i raggi UV sono stati ampiamente studiati per aspetti tossicologici legati a dosi eccessive di UVB e UVA, che coinvolgono scottature solari, invecchiamento cutaneo, danni al DNA delle cellule cutanee e cancerogenesi. La protezione solare aiuta a prevenire queste problematiche sia a breve, sia a lungo termine. Anche nei prodotti solari la tendenza oggigiorno è quella di utilizzare materie prime naturali per una maggior sicurezza per il consumatore finale ma anche per una migliore compatibilità con l’ambiente, soprattutto per l’ecosistema marino. In questo lavoro è stata indagata l’attività dell’estratto di semi di Pongamia (pongamolo) come booster di protezione solare per il filtro minerale ZnO. I risultati ottenuti hanno dimostrato come l’aggiunta di pongamolo in emulsione permetta di ottenere un importante effetto booster (confermato dal test in vivo) già a basse concentrazioni. Questo approccio si inserisce in un percorso volto a formulare creme solari completamente naturali pensate per un consumatore molto consapevole e attento alla scelta dei prodotti cosmetici acquistati e si inserisce nel trend della sempre più ricercata green beauty.

Mineral Only Solar
Pongamia seed extract as an innovative SPF booster for 100% mineral sun protection
In addition to the indisputable positive effects of sun exposure for human health, UV rays have been extensively studied for toxicological aspects related to excessive doses of UVB and UVA, involving sunburn, skin aging, damage to skin cells DNA and carcinogenesis. Natural or synthetic sunscreen helps prevent these problems both in the short and long term. Even in solar products, the trend nowadays is to use natural raw materials for greater safety for the final consumer but also for better compatibility with the environment, especially for the marine ecosystem. In this work the activity of Pongamia seed extract (Pongamol) as a sun protection booster for the ZnO mineral filter was investigated. The results obtained showed how the addition of Pongamol in emulsion allows to obtain an important booster effect (confirmed by the in vivo test) already at low concentrations. This approach is part of a path aimed at formulating completely natural suncreams thought at a consumer who is very aware and attentive to the choice of cosmetic products purchased, and is part of the trend of increasingly sought – after green beauty.

Articolo integrale in uscita sul numero 4 di Cosmetic Technology

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Soluzioni di packaging per prodotti cosmetici contenenti filtri solari organici

ARTICOLI

Marcello Valdameri Antonella Cavazza Claudio Corradini

Art Cosmetics
Università di Parma

Soluzioni di packaging per prodotti cosmetici contenenti filtri solari organici

Qualità e sicurezza di un prodotto dipendono anche dal packaging

Le creme solari svolgono un ruolo cruciale nella prevenzione del cancro della pelle e nella protezione contro il fotoinvecchiamento. Tuttavia, la natura lipofila dei filtri organici favorisce l’interazione con alcuni materiali plastici costituenti dei contenitori. Inoltre, le alte temperature e la presenza di ingredienti volatili possono provocare la permeazione del filtro al packaging in cui è contenuto il cosmetico.

In questo studio sono state comparate due tipologie di packaging, uno in polietilene e uno in polietilene additivato con uno strato barriera in etilene vinil alcol, EVOH. Inoltre, in via del tutto sperimentale, è stato preso in considerazione un coating totalmente biodegradabile sviluppato dall’Università di Parma.

Su campioni conservati a 25 e 40 °C è stato monitorato l’andamento della stabilità dei conservanti, della sostanza volatile e del filtro chimico attraverso analisi HPLC-DAD e FTIR. Nei tubi in polietilene conservati a 40 °C si è riscontrata permeazione delle sostanze analizzate e un calo del 12% del filtro organico, mentre nei flaconi in polietilene rivestiti con il materiale biodegradabile la perdita è significativamente ridotta. 

Packaging solutions for cosmetic products containing organic sunscreens
Product quality and safety are also packaging-dependent

Sun creams are an important “tool” for preventing skin injuries and protecting from photo-ageing. However, lipophilic substances occurring in the formulation, together with volatile compounds, can interact with the plastic materials of packaging, and, at high temperature can lead to permeation through the container.

This study is focused on the comparison between the behavior of two different packaging, a first one made of polyethylene, and a second one of the same material covered by a barrier of ethylene vinyl alcohol (EVOH). In addition, an innovative biodegradable coating developed by the University of Parma has been considered.

Samples were stored at 25 and 40 °C, and the stability of ingredients present in the formulation was analyzed by HPLC-DAD and FTIR. In polyethylene tubes stored at 40 °C a permeation of some components, and a decrease of 12% of the solar screen was observed. The decrease of solar screen in coated tubes was significantly reduced

Articolo integrale in uscita sul numero 4 di Cosmetic Technology

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Editoriale CT 4 • 2022

Editoriale
Cosmetic technology 4, 2022

Anna Caldiroli

Direttore scientifico
di Cosmetic Technology

Houston, abbiamo
un problema, anzi due

Nel numero dedicato alla “tintarella” mi è sembrato doveroso coinvolgere una Regina nota per il suo candore, le cui abitudini di makeup non le hanno permesso di mantenere il suo viso in buono stato: Regina Elisabetta I Tudor.

Cambiano le epoche ma il concetto di dover corrispondere a dei canoni imposti resta fortemente affermato così come l’inseguimento di una (apparente) perfezione: lei inseguiva il bianco assoluto e, noi oggi, l’abbronzatura a tutti i costi, per cui a volte si rischia la pelle, nel vero senso della parola!

Andando oltre i colori bianco latte, marrone bronzo, evitando il rosso peperone, quali sono le preoccupazioni del nostro tempo?

Ne intravedo almeno due: gli effetti del riscaldamento globale sulla salute e quelli dei cosmetici sull’ambiente. Un vero e proprio cane che si morde la coda. Uno studio del 20101 spiega come un aumento della temperatura influenzi il comportamento delle persone: incoraggia a trascorrere più tempo all’aperto aumentando così l’esposizione ai raggi solari.

Se da una parte questo adattamento comportamentale può avere benefici (es. sintesi della vitamina D) parimenti può essere legato a un aumento dell’incidenza di cancro e di scottature solari, indipendentemente dal fatto che in natura questi eventi siano “fisiologici”. Da considerare anche come la riduzione dello strato di ozono incida sulla salute umana: si è maggiormente esposti ai raggi UVB che, senza uno “schermo”, raggiungono con più facilità la superficie terreste e i cui effetti sono ben noti (cancro della pelle con meccanismo dose-dipendente).

Con un salto di un decennio2 è stato valutato come il riscaldamento climatico e altre variabili, tra cui temperatura, umidità, raggi UV e inquinamento atmosferico, influenzino il microbioma cutaneo e, quindi, la salute della pelle, incidendo su epidemiologia e gravità dei disturbi cutanei.

Se attraverso una generalizzata ed efficace opera di informazione fossimo in grado diffondere la necessità d’impiego di una protezione solare – lo dico brutalmente – potremmo abbattere i costi sanitari derivati dall’insorgere di queste patologie. Rovescio della medaglia, l’incremento dell’uso di solari potrebbe avere delle ripercussioni sull’ambiente e l’allerta è molto alta verso i filtri UV. Sotto la lente di ingrandimento sono finiti i filtri organici, tuttavia, anche gli inorganici sembrano avere delle “gatte da pelare” sia in termini di classificazioni armonizzate (lo ZnO per l’ambiente e il TiO2 con la sua recente classificazione come Carc 2 per via inalatoria, in base alla dimensione particellare) e, in modo più ampio, per gli effetti sull’ambiente di entrambi se in forma nanostrutturata.

In alcuni casi, sembra che le norme sui prodotti per la protezione solare non siano al passo con le scoperte scientifiche che vengono divulgate e, di conseguenza, lo scetticismo diffonde tra la popolazione oltre a una non opportuna informazione che conduce a un generale riduzione d’uso. Per prevenire questo, bisogna lavorare sulla formulazione di prodotti contemporaneamente sicuri per uomo e ambiente e che non abbiano effetti di lungo termine dovuti al loro accumulo3.

1Fabbrocini G, Triassi M, Mauriello MC et al. Epidemiology of Skin Cancer: Role of Some Environmental Factors. Cancers. 2010;2:1980-1989.
2Isler MF, Coates SJ, Boos MD. Climate change, the cutaneous microbiome and skin disease: implications for a warming world. Int J Dermatol. 2022.
3Fivenson D, Sabzevari N, Qiblawi S et al, Review. Sunscreens: UV filters to protect us: Part 2-Increasing awareness of UV filters and their potential toxicities to us and our environment. Int J Womens Dermatol. 2021;7:45-69.

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