Tanoressia: mai abbastanza abbronzati

di Anna Marras

Psicologa, Dottore di Ricerca in Neuroscienze, Università degli Studi di Firenze
anna.marras.psicologa@gmail.com


Il termine colloquiale “tanoressia” è utilizzato per riferirsi alla dipendenza da abbronzatura, ovvero quel fenomeno di compulsione rispetto all’abbronzarsi, associato a un intenso desiderio di apparire abbronzati e alla difficoltà di interrompere tale comportamento. Nonostante i rischi dell’esposizione ai raggi UV (soprattutto artificiali) siano stati ampiamente documentati negli ultimi vent’anni, la prevalenza di questo fenomeno è altamente significativa, tanto da accomunarlo a una dipendenza comportamentale. Con queste ultime condivide, infatti, meccanismi neurobiologici, sintomi psicologici e psichiatrici, e opzioni di trattamento. Scopo di questa trattazione è fornire una visione d’insieme del fenomeno, dalle sue radici culturali ai meccanismi neurobiologici, fino a esaminarne le attuali concettualizzazioni e le opzioni di trattamento.

Tanorexia: never tan enough
A qualitative analysis of the phenomenon and new insights in the field of behavioral addictions

The term “tanorexia” is colloquially used to refer to an addictive attitude toward tanning behavior. Tanning addiction is characterized by a compulsion to tan driven by an intense desire to be tanned and accompanied by difficulties in quitting the behavior irrespective of negative consequences. Despite accumulating evidence regarding the risks of UVR exposure, the prevalence of tanning addiction is significant and reveals its similarities to other behavioral addictions. Neurobiological mechanisms, psychological and psychiatric symptoms and treatment options represent shared resemblances between those addictions. Aim of this paper is to provide an overview of the phenomenon, from its cultural roots, to neurobiological underpinnings and to examine current conceptualizations and treatment options.

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Life Cycle Assessment per quantificare la sostenibilità dei prodotti cosmetici

di Grazia Maria Cappucci1,2, Roberto Rosa1,2, Carla Villa3, Anna Maria Ferrari1,2

1Dipartimento di Scienze e Metodi dell’Ingegneria, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Reggio Emilia
2EN&TECH, Centro di Ricerca Interdipartimentale per la Ricerca Industriale ed il Trasferimento Tecnologico nel Settore delle Tecnologie Integrate per la Ricerca Sostenibile, della Conversione Efficiente dell’Energia, l’Efficienza Energetica degli Edifici, l’Illuminazione e la Domotica, Reggio Emilia
3DIFAR, Sezione di Chimica del Farmaco e del Prodotto Cosmetico, Genova
graziamaria.cappucci@unimore.it


La metodologia Life Cycle Assessment (LCA) è lo strumento più usato per valutare le performance ambientali di prodotti, processi e servizi, poiché l’identificazione e la quantificazione degli impatti ambientali viene eseguita secondo correlazioni scientifiche causa-effetto e la standardizzazione fornita dalle norme UNI EN ISO 14040:2006 e UNI EN ISO 14044:2006 garantisce risultati verificabili e riproducibili.
Nel presente lavoro vengono illustrati casi studio realizzati mediante l’applicazione della metodologia LCA su prodotti cosmetici, i cui risultati pongono l’attenzione su aspetti che il consumatore non è portato a considerare con facilità, a causa anche di un’informazione parziale che le industrie cosmetiche forniscono sui propri prodotti. Tra i principali risultati riportati vi è, innanzitutto, la grande incidenza degli ingredienti sugli impatti ambientali, a cui segue quella dovuta alle formulazioni, sotto l’aspetto dell’origine dei componenti.
Gli autori sottolineano alcune criticità negli studi considerati, prima fra tutte la mancanza di adozione di un metodo di valutazione del danno (endpoint), indispensabile per confrontare e valutare in maniera chiara e univoca le performance ambientali. Un ulteriore problema è legato alla scelta dei confini del sistema, che spesso non prendono in considerazione il ciclo di vita completo del prodotto.

Life Cycle Assessment to quantify the sustainability of cosmetic products
Case studies from the literature

The Life Cycle Assessment (LCA) methodology is the most widely used tool to assess the environmental performance of products, processes and services, since the identification and quantification of environmental impacts is carried out according to scientific cause-effect correlations and the standardisation provided by UNI EN ISO 14040:2006 and UNI EN ISO 14044:2006 guarantees verifiable and reproducible results.
The present work illustrates case studies carried out through the application of the LCA methodology on cosmetic products, the results of which draw attention to aspects that the consumer is not easily led to consider, also due to the partial information that cosmetic industries provide on their products.
Among the main results reported, there is, first of all, the great incidence of ingredients on environmental impacts, followed by that due to formulations, under the aspect of origin of components.
The authors underline some critical points in the studies considered, first and foremost the lack of adoption of an end-point damage assessment method, which is indispensable for comparing and assessing environmental performance in a clear and univocal manner.
A further problem is linked to the choice of system boundaries, which often do not take into account the complete life cycle of the product.

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Ottimizzazione di spray-drying di sericina estratta da Bombyx mori

di Andrea Milanesi1, Maurizio Rinaldi1, Lorena Segale1, Elia Bari2, Lorella Giovannelli1

1Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università del Piemonte Orientale
2Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università degli Studi di Pavia
andrea.milanesi@uniupo.it


La sericina è una proteina estratta dai bozzoli di Bombyx mori, la cui larva è nota come baco da seta. Negli ultimi anni questo prodotto, originariamente visto come scarto dell’industria tessile, ha suscitato un rinnovato interesse per le sue numerose attività biologiche e ha trovato largo impiego, in particolare in ambito biomedicale e cosmetico. In questo studio la sericina è stata estratta dai bozzoli attraverso la tecnica di degumming High Temperature High Pressure (HTHP) ed è stata essiccata in presenza di due coadiuvanti dell’essiccamento della proteina, il trealosio (TR) e la metil-β-ciclodestrina (MBCD), al fine di ottenere una polvere di impiego tricologico. Attraverso un disegno sperimentale (DoE), il disegno di miscela D-ottimale, è stato valutato l’impatto di un terzo componente, un derivato cationico della gomma di guar, l’idrossipropiltrimonio cloruro (CGG), sulle caratteristiche delle polveri di sericina essiccate in presenza di TR e MBCD. In particolare, sono state valutate la resa di processo, l’umidità residua (tramite analisi termogravimetrica, TGA) e le caratteristiche morfologiche (con microscopia ottica e a scansione elettronica, SEM). L’impiego di queste miscele ha migliorato significativamente il processo di essiccamento della proteina: il disegno sperimentale ha permesso di individuare le miscele migliori per l’ottenimento di polveri di sericina caratterizzate da buone rese e lavorabilità, oltre che da ridotta umidità residua rispetto alla proteina processata senza i coadiuvati dell’essiccamento. In particolare, la polvere derivante dalla soluzione di sericina e da 0,10% di CGG, 0,45% di TR e 0,45% di MBCD si è contraddistinta come quella caratterizzata da proprietà adatte alla produzione di materie prime per impiego tricologico.

Spray-drying optimization of sericin extracted from Bombyx mori
Application of experimental design in the study of mixtures of sericin and drying adjuvants

Sericin is a protein extracted from Bombyx mori silk cocoons. Over the last decade, this wastewater product of the textile industry has shown many interesting biological properties and has been widely used in the cosmetic and biomedical fields. In this study, sericin has been obtained via a High-Temperature High-Pressure degumming process and was dried in the presence of two selected drying agents, trehalose (TR) and methyl-β-cyclodextrin (MBCD), with the aim of obtaining a cosmetic powder. In addition to these two agents, a cosmetic grade cationic guar gum derivative, guar hydroxypropyltrimonium chloride (CGG), has been investigated in a D-optimal mixture design as a component to improve the process yield, the residual moisture and the morphological characteristics of the sericin powders. The obtained powders have been analyzed using thermogravimetric analysis (TGA), optical microscopy and scanning electron microscopy (SEM). The agents were able to significantly improve the drying process of the protein. Moreover, the use of a mixture design approach allowed to find the composition with the best yield, moisture content and handling properties compared to the protein alone. In particular, the co-spray-drying of sericin with 0,10% of CGG, 0,45% of MBCD and 0,45% of TR gave good process yields and furnished a powder with handling properties that were better than those of the other studied dried products. These characteristics seem to be appropriate and fruitful for the manufacturing of raw materials for hair products.

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Editoriale CT 4 • 2021

La lista si allunga

In memoria di Sharon, Victoria, Roberta, Tiziana, Teodora, Sonia, Ilenia, Piera, Luljeta, Lidia, Clara, Deborah, Rossella, Edith, Ornella, Dorina, Elena, Tina, Annamaria, Saman, Silvia, Emma, Ylenia, Angela, Tunde, Maria, Perera, Bruna, Alessandra, Sharon, Chiara, Ginetta e di tutte le donne vittime di femminicidio nei primi mesi del 2021, nella speranza che non si debbano più scrivere righe come queste.

Je suis une petite fleur des champs (On dit de moi, Christian Pacher, 2015)


È luglio, e con la mente direttamente protesa alle vacanze (o nostalgica di essere già tornata dietro la scrivania o sull’impianto) una notizia, sebbene attesa, ci ha fatto balzare dalla sedia: ECHA ha inserito 8 nuove sostanze chimiche in Candidate List, cioè nell’elenco delle sostanze estremamente preoccupanti (SVHC) per gli effetti sulle persone o sull’ambiente e candidate all’autorizzazione, ossia a essere inserite nell’allegato XIV del Regolamento REACH.
La lista sale così a 219 sostanze.
Ritengo utile ritagliare uno spazio per questa notizia e offrire un commento.
Consideriamo che l’inclusione di una sostanza in Candidate List è uno dei passi obbligati per giungere all’autorizzazione, che ha appunto lo scopo di assicurare che sostanze estremamente “problematiche”, le SVHC, siano adeguatamente controllate e progressivamente sostituite da sostanze o tecnologie alternative più sicure, laddove siano economicamente e tecnicamente fattibili. L’autorizzazione, intesa come strumento di sostituzione, è uno degli aspetti maggiormente innovativi del REACH1.
Per le sostanze soggette ad autorizzazione perché sono state “iscritte” in allegato XIV solo a motivo degli effetti che provocano sulla salute umana, potremmo dire sommariamente, gli usi in prodotti cosmetici sono derogati dall’obbligo di autorizzazione2.
Tuttavia, andiamo oltre: bisogna considerare che una sostanza quando arriva a questo punto dell’escalation non avrà vita semplice e duratura, sia in prodotti cosmetici che per altri impieghi, oltre a diventare di difficile approvvigionamento.
Quali sono gli obblighi che scaturiscono dall’inclusione in questa lista?
Iniziamo con il dire che gli obblighi entrano in vigore a partire dalla data di inclusione nella lista e riguardano le sostanze incluse nell’elenco da sole o in miscele e quando presenti in articoli.Per prima cosa citiamo le schede dati di sicurezza (SDS) per sostanze tal quali o in miscela: i fornitori di SVHC di Candidate List devono rendere disponibile ai clienti una SDS. Per SDS già precedentemente redatte per referenze a catalogo, la sezione 15.1 dovrà essere aggiornata proprio a fronte dell’inclusione della sostanza.
Passiamo agli articoli, elemento che non dobbiamo trascurare considerato che il packaging è un articolo ai sensi del REACH e tutti i nostri prodotti escono da casa nostra imballati.
Produttori o importatori devono notificare all’ECHA se i propri articoli contengono sostanze SVHC di Candidate List in quantità (globali) >1 t/anno per produttore o importatore e se la sostanza è contenuta in tali articoli in concentrazione >0,1% p/p.
Inoltre, i fornitori di articoli che contengono SVHC di Candidate List in concentrazione >0,1% p/p devono:
– fare una notifica all’ECHA con la loro immissione sul mercato UE; le informazioni sono nella banca dati SCIP in modo da consentire che siano note a gestori di rifiuti e consumatori;
– mettere a disposizione dei clienti informazioni sufficienti a consentirne l’uso sicuro.

1Barbassa E (2016) Sostituzione delle sostanze estremamente preoccupanti nel REACH ed impatto sulle malattie professionali. Atti del IX seminario Contarp.
2Polci ML, Scimonelli L (2019) Regolamento cosmetici e regolamento REACH: chiarezza sull’interfaccia tra i due. Rapporti ISTISAN 19/24.

Pubblicato su Cosmetic Technology 4, 2021

Il nuovo regolamento sui dispositivi medici

Alessandra Iavello • Chemsafe, Colleretto Giacosa (TO), a.iavello@chemsafe-consulting.com
Irene Giovanetto • Chemsafe, Colleretto Giacosa (TO), i.giovanetto@chemsafe-consulting.com
Lola Frech • Chemsafe, Colleretto Giacosa (TO), l.frech@chemsafe-consulting.com


Introduzione
Il Regolamento (UE) 2017/745 relativo ai dispositivi medici, anche detto Medical Device Regulation (MDR), è entrato finalmente in vigore a tutti gli effetti il 26 maggio 2021. Questo articolo vuole mettere in luce le principali novità introdotte con il MDR, presentando le motivazioni di tali cambiamenti e le conseguenze che ne derivano per coloro che operano nel mondo dei dispositivi medici.
Il regolamento norma tutte le tipologie di dispositivi medici, compresi gli impiantabili attivi, escludendo solo i dispositivi medico-diagnostici in vitro (normati dal Regolamento europeo UE 2017/746 (IVDR)). Non solo, il regolamento si applica anche a quei prodotti che, pur non avendo una finalità medica, sono considerati affini ai dispositivi medici per contesto applicativo e per meccanismo di azione sul corpo umano. Tali dispositivi, tra i quali lenti a contatto e apparecchiature per liposuzione, sono elencati nell’allegato XVI del regolamento. La Commissione europea può aggiornare questo elenco in qualsiasi momento attraverso atti esecutivi.
Il MDR è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 5 maggio del 2017, dando il via alla fase transitoria necessaria ai fabbricanti per adeguarsi ai nuovi requisiti. Il periodo transitorio avrebbe dovuto concludersi il 26 maggio 2020, ma a causa della pandemia di COVID-19 il Consiglio europeo ha posticipato la sua totale attuazione di un anno esatto al 26 maggio 2021. In questo momento i quattro anni di transizione sono terminati e il MDR sostituisce a tutti gli effetti la Direttiva 93/42/CEE sui dispositivi medici (MDD) e la Direttiva 90/385/CEE sui dispositivi medici impiantabili attivi (AIMDD). Queste ultime rimarranno valide esclusivamente per i così detti “legacy devices”, ovvero quei dispositivi che sono coperti da un certificato valido in conformità alle direttive (MDD, AIMDD) e che continueranno a essere legalmente sul mercato in seguito alla data di applicazione del MDR (UE) 2017/745. Questa marcatura CE potrà però rimanere valida solo fino al 26 maggio 2024.
Il regolamento è un vero e proprio atto legislativo vincolante in tutte le sue parti. Ciò comporta che gli Stati membri dell’UE sono obbligati a rispettarlo per intero. Al contrario delle direttive, non sarà quindi necessario un provvedimento nazionale di recepimento, dato che il regolamento è immediatamente vincolante e obbligatorio verso tutti i soggetti pubblici o privati, tenuti al rispetto del diritto dell’UE.

Obiettivo del nuovo regolamento UE
Il regolamento è una revisione sostanziale delle precedenti direttive, allo scopo di stabilire un quadro normativo solido, trasparente, prevedibile e sostenibile per i dispositivi medici, che garantisca un livello elevato di sicurezza e di salute, sostenendo nel contempo l’innovazione. Entrambi i regolamenti (MDR e IVDR) prevedono un rafforzamento significativo delle norme che regolano gli aspetti della vigilanza e della sorveglianza post-commercializzazione durante l’intero ciclo di vita del prodotto.
Nello specifico, i principali obiettivi del nuovo MDR 2017/745 sono:
• appianare le divergenze nei vari sistemi regolatori nazionali tra i diversi Stati membri dell’Unione europea;
• potenziare il controllo sulle aziende da parte degli Organismi Notificati (ON);
• rafforzare la sorveglianza post market;
• identificare e tracciare meglio i dispositivi medici;
• far fronte alla rapida e necessaria immissione sul mercato dei prodotti più innovativi.

Di seguito evidenziamo le principali novità.

Classificazione e valutazione della conformità
Il nuovo regolamento impone delle regole di classificazione più severe rispetto alla MDD, comportando per alcuni dispositivi medici una possibile riclassificazione, specialmente per determinati tipi di prodotti come dispositivi medici a base di sostanze e software. A queste due categorie molto spesso veniva attribuita la classe di rischio più bassa (la classe I) cioè quella classe per la quale per immettere in commercio un dispositivo medico è sufficiente un’autodichiarazione da parte del fabbricante, senza richiedere l’intervento di un organismo notificato.
L’eventuale riclassificazione di un prodotto verso una classe di rischio superiore, significa dover disporre di maggiori risorse e nuovi adempimenti che non sempre rientrano nella disponibilità di piccole e medie imprese.

La sorveglianza post-commercializzazione e l’introduzione di EUDAMED
Se nella precedente direttiva la documentazione tecnica era focalizzata sugli aspetti di progettazione e realizzazione del dispositivo, il regolamento vuole includere in tale documentazione anche tutte le attività di convalida del prodotto e del processo produttivo, e le attività con risvolti clinici, tra cui la valutazione clinica e il piano di follow-up clinico post-commercializzazione.
Il concetto alla base è che i prodotti devono soddisfare i requisiti normativi non solo al momento dell’immissione sul mercato, ma anche durante l’intero ciclo di vita del prodotto.
Il regolamento obbliga ogni fabbricante a organizzare un sistema di sorveglianza post-commercializzazione (PMS) che comprenda attività reattive (quali ad esempio attività di vigilanza, gestione dei reclami, revisione e analisi di dati clinici di letteratura e database) e attività proattive (questionari/interviste agli utilizzatori, studi clinici, studi clinici di post-market clinical follow-up (PMCF)), imponendo così di verificare il comportamento clinico del dispositivo medico, anche nelle sue reali condizioni di utilizzo.
Il MDR stabilisce che siano resi disponibili pubblicamente sia un documento riassuntivo dei dati di sicurezza e performance clinica sia i risultati delle indagini cliniche condotte con il dispositivo medico.
Lo strumento utilizzato per rendere disponibili anche al cittadino i dati clinici dei dispositivi medici sarà la banca dati EUDAMED (European Databank on Medical Devices).
L’obiettivo di EUDAMED è migliorare la trasparenza, raccogliendo ed elaborando le informazioni riguardanti i dispositivi medici presenti sul mercato, i relativi certificati emessi dagli organismi notificati, le indagini cliniche condotte con i dispositivi, i ruoli degli operatori economici che fanno parte della filiera del dispositivo, la vigilanza e la sorveglianza. Tutte queste informazioni saranno contenute in EUDAMED attraverso la suddivisione in 6 moduli interconnessi, ma l’obbligo di utilizzo della banca dati partirà solo quando tutti i suoi moduli saranno disponibili. Attualmente è disponibile solo il modulo di registrazione per gli operatori economici.
Il nuovo strumento introdotto dal regolamento per soddisfare la tracciabilità del dispositivo medico è il codice unico identificativo UDI (Unique Device Identification): una serie di caratteri numerici o alfanumerici che dovranno essere riportati sull’etichetta del dispositivo e su tutti i livelli esterni di confezionamento e nella dichiarazione di conformità UE. Il codice UDI permetterà, a livello europeo, la continua identificazione e tracciabilità del dispositivo durante l’intero ciclo di vita (1).

La persona responsabile del rispetto della normativa
Il regolamento richiede che il fabbricante garantisca che la supervisione e il controllo della fabbricazione dei dispositivi medici, nonché le attività di vigilanza e sorveglianza post-commercializzazione a essi relative, vengano effettuati all’interno dell’organizzazione da una Persona Responsabile (PR) del rispetto della normativa in possesso di requisiti minimi di qualificazione (art.15 del MDR) (2).
La PR dovrà possedere le competenze necessarie per supportare il fabbricante per tutti gli aspetti riguardanti la conformità normativa. Tale figura può essere interna o esterna, in relazione alla dimensione dell’impresa (3).

Sistema di gestione per la qualità
Il MDR esplicita l’obbligo del fabbricante di operare secondo un sistema di gestione per la qualità (art.10 del MDR) che sia conforme al regolamento e proporzionato alla classe di rischio e alla tipologia di dispositivo. Nonostante sia un vantaggio essere certificati secondo la norma ISO 13485 (Medical devices – Quality management systems – Requirements for regulatory purposes), tale certificazione non è obbligatoria e non garantisce l’automatica conformità al MDR (2).
Il sistema di gestione della qualità riguarda tutte le parti e gli elementi dell’organizzazione del fabbricante che si occupano della qualità di processi, procedure e dispositivi. Esso disciplina la struttura, le competenze, le procedure, i processi e le risorse gestionali richiesti per attuare i principi e le azioni necessari a conseguire il rispetto delle disposizioni del regolamento.

Conclusione
Il MDR vuole essere una soluzione contemporanea e uniforme per la gestione della qualità e il rilascio sul mercato europeo di dispositivi medici.
Sebbene le implementazioni richieste dal nuovo regolamento siano sviluppate al fine di garantire la qualità e la sicurezza dei dispositivi medici, al contempo possono rappresentare degli ostacoli per le piccole e medie imprese, le quali, proprio per adempiere alle nuove richieste, si potrebbero trovare a dover stravolgere l’intero processo produttivo.
Inoltre, è importante considerare che a oggi gli organismi notificati certificati secondo il MDR sono 20, un numero esiguo rispetto ai più di 50 certificati secondo la direttiva. Questo aspetto comporta la dilatazione dei tempi richiesti per ottenere la certificazione e per poter immettere sul mercato un dispositivo medico. Tale ritardo, così come riportato anche dalle diverse associazioni di settore, avrà un impatto negativo, in particolare sulla possibilità di rendere disponibili dispositivi medici innovativi.
Nonostante l’ampliamento del periodo di transizione dovuto al particolare momento storico che stiamo affrontando e al mancato completamento di importanti attività (ad esempio Eudamed, numero degli ON), il MDR porta con sé molte innovazioni che cercano di tenere il passo con lo sviluppo tecnologico, ma che al contempo cercano di sopperire alle criticità emerse durante l’applicazione negli ultimi due decenni delle direttive.

Bibliografia
1. MDCG 2021-1 Guidance on harmonised administrative practices and alternative technical solutions until EUDAMED is fully functional, https://ec.europa.eu/health/sites/health/files/md_sector/docs/2021-1_guidance-administrative-practices_en.pdf
2. Regolamento UE 2017/745, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=CELEX:32017R0745
3. MDCG 2019-7 Guidance on Article 15 of the Medical Device Regulation (MDR), https://ec.europa.eu/health/sites/health/files/md_sector/docs/md_mdcg_2019_7_guidance_art15_mdr_ivdr_en.pdf

Articolo pubblicato su Cosmetic Technology 3, 2021

Sotto sotto… c’è sempre l’infiammazione

di AIDECO, Associazione Italiana Dermatologia e Cosmetologiainfo@aideco.orgwww.aideco.org


Propria anche dell’immunità innata, cioè del complesso di difese immunitarie con cui si nasce, l’infiammazione (o flogosi) si può considerare come il più importante meccanismo di difesa dell’organismo e viene messo in atto ogni volta che un agente patogeno (qualcosa in grado di danneggiare cellule e tessuti), sia esso di ordine fisico, chimico o biologico, lo aggredisce.
Infatti, con l’infiammazione l’organismo tenta di eliminare la causa che lo ha danneggiato e di ripristinare lo stato di salute del tessuto/organo leso. Questo avviene attraverso una complessa sequela di eventi, ciascuno mirato a un compito specifico, ad esempio localizzare ed eliminare un microorganismo patogeno, rimuovere i detriti dei tessuti che si sono alterati, aumentare la circolazione sanguigna consentendo una diffusione dai vasi di fluidi, proteine e cellule del sangue come i globuli bianchi.
Le cellule del sangue che raggiungono la sede dell’evento patogeno sono di diverso tipo e comprendono neutrofili, basofili, eosinofili, ecc. che si uniscono alle cellule con funzioni immunitarie già presenti nei tessuti, come gli istiociti e i mastociti. Un vero “esercito” pronto a dare battaglia contro l’aggressore.
Il liquido che si accumula nella zona lesa contiene i tanti diversi fattori plasmatici, dagli anticorpi alle sostanze stimolanti la ricrescita dei tessuti, mentre le cellule coinvolte rilasceranno sostanze di varia natura che hanno tanti compiti diversi: da quello di segnalare alle altre cellule del sistema immunitario dove intervenire a quello di aumentare la vasodilatazione ritardando il flusso del sangue in quella zona, a quello di aggredire con sostanze, anche enzimatiche, l’agente patogeno e, se possibile, digerirlo per rimuoverlo definitivamente come fanno i macrofagi.
L’infiammazione era stata già ben definita dai Latini che avevano identificato i suoi cinque principali segni o sintomi: calor, rubor, tumor, dolor, functio laesa, cioè “calore”, rossore” (eritema), “rigonfiamento”, “dolore” e “alterazione funzionale”.
Un tipico esempio di infiammazione sono le punture di zanzara: attorno alla sede della puntura si sviluppa una zona calda, arrossata e leggermente edematosa, spesso molto pruriginosa. Questo accade proprio per confinare e combattere l’azione delle sostanze irritanti inoculate dalla zanzara.
Parimenti accade dopo un trauma che ha causato la liberazione dei mediatori chimici dell’infiammazione o per l’aggressione di batteri, ad esempio alle tonsille.
Se questa risposta infiammatoria si spegne in genere in pochi giorni (infiammazione acuta), con il risolversi della causa che l’ha determinata, altre volte l’infiammazione dura più a lungo, anche troppo a lungo.
In questi casi, a causa di molteplici e diversi fattori come il perdurare di un’infezione, una manifestazione allergica cronica (asma allergica), un trauma importante con danneggiamento dei tessuti e altre cause ancora, l’infiammazione dura di più (infiammazione cronica) e i danni che ne derivano superano i benefici che essa comporta.
Inoltre, a volte, il nostro sistema immunitario reagisce contro sostanze proprie dell’organismo scambiandole per sostanze estranee potenzialmente dannose (antigeni), come avviene durante il decorso di molte malattie, per questo definite “autoimmuni”.
Validi esempi di malattie autoimmuni sono il Lupus Eritematoso Sistemico (LES), il diabete di tipo I, la celiachia, la dermatomiosite, la tiroidite di Hashimoto, la miastenia gravis, la sclerosi multipla, l’artrite reumatoide e altre ancora.
In queste patologie, il sistema immunitario, fatto di anticorpi circolanti e di cellule specifiche (i linfociti) presenti nel sangue, aggredisce gli antigeni, ovvero le sostanze considerate estranee riscontrate nelle cellule e nei tessuti dei diversi organi e apparati, i quali possono quindi essere localizzati nei vasi sanguigni, nelle ghiandole, nei muscoli o in altre strutture organiche.
Anche in questo tipo di malattie, la “nota costante” è un’infiammazione cronica che di per sé, insieme al danneggiamento specifico indotto dalle cellule immunitarie, rappresenta il sintomo dominante e che deve essere curato per evitare che le sostanze responsabili dell’infiammazione continuino a danneggiare gravemente le componenti interessate dell’organismo (1).
La compromissione del sistema immunitario e un suo sbilanciamento nella produzione di fattori come le citochine infiammatorie, le chemochine pro-infiammatorie, le molecole di adesione e le molecole co-stimolatrici che mediano la risposta immunitaria, entra poi in tante altre malattie, come ad esempio nella psoriasi. […]

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Acne del tronco

di Greta Ubiali, Silvia Romagnoli – Ricerca e Sviluppo OFI-Procemsa Group • s.romagnoli@ofi.it


Back acne
Cosmetics come to aid
Moderate back acne extends to the shoulders, chest and back, persists even beyond adolescence and the most common long-term effects are post-inflammatory pigmentation and scars. It is a disease hidden by the patient because it isn’t often brought to the attention of the dermatologist. Well-designed ad hoc cosmetic products can improve the signs and symptoms of acne-like disorders or skin rashes and assist pharmacological treatments that are often aggressive for the patient’s skin. A suitable cosmetic matrix must be designed to provide immediate moisturizing and soothing action, to maintain a balanced skin microbiome and to keep under control the thinning of the lipid barrier and the altered composition of fatty acids.

L’acne moderata del tronco si estende su spalle, torace e dorso; persiste anche oltre l’età adolescenziale e i più comuni effetti a lungo termine sono costituiti da pigmentazione post-infiammatoria e cicatrici. È una patologia nascosta dal paziente perché spesso non viene portata all’attenzione del dermatologo. Prodotti cosmetici ad hoc ben concepiti possono contribuire al miglioramento dei segni e dei sintomi dei disturbi acneiformi o rush cutanei, e coadiuvare i trattamenti farmacologici che spesso risultano aggressivi per la cute del paziente. Un’idonea matrice cosmetica deve essere progettata per fornire immediata azione idratante e lenitiva, mantenimento di un equilibrato microbioma cutaneo, tenuta sotto controllo dell’assottigliamento della barriera lipidica e dell’alterata composizione di acidi grassi.

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Acido azelaico

di Marilisa Franchini, CEO M 2.0 • marilisa@beautycology.it


Azelaic Acid
A multipurpose ingredient: useful in case of rosacea, acne and melasma

Azelaic acid is a natural derived ingredient that has numerous pharmacological uses in dermatology. Its anti-inflammatory and anti-oxidant properties are thought to correlate with its efficacy in papulopustular rosacea and acne vulgaris, amongst other cutaneous conditions. It is also shown to competitively inhibit tyrosinase and therefore is used in hyperpigmentary disorders including melasma. The main reported side-effects of azelaic acid in the reported studies were minor transient stinging, burning or itching sensation.
It is insoluble in water at high concentrations and provides poor cosmetic properties to formulations, for this reason a new molecule was invented: potassium azeloyl diglycinate (PAD).
It exhibits very high water solubility, high specific activity at low concentration, and the presence of glycine helps skin restoring, nonetheless, the studies on PAD are still not so many and so we need more scientific literature before replacing azelaic acid for its dermatological uses.

L’acido azelaico (AA) è un ingrediente di derivazione naturale, con diversi utilizzi farmacologici in campo dermatologico. Le sue proprietà antinfiammatorie e antiossidanti si pensa siano correlate alla sua efficacia nella rosacea papulo-pustolosa e nell’acne volgare, oltre che in altre condizioni cutanee. Si è dimostrato in grado di inibire in modo efficiente la tirosinasi e per questo è utilizzato in casi di iperpigmentazione che includono anche il melasma. L’effetto indesiderato dell’AA più riportato negli studi è una sensazione pungente (stinging) leggera e transitoria, bruciore e sensazione di prurito.
È insolubile in acqua ad alte concentrazioni e apporta delle qualità cosmetiche poco piacevoli alle formulazioni, per questo motivo è stata introdotta una nuova molecola, il Potassium Azeloyl Diglycinate (PAD), che ha un’alta solubilità, vanta un’alta attività anche a basse concentrazioni e la presenza di glicina aiuta la pelle a ripristinarsi. D’altra parte, gli studi sul PAD sono ancora pochi e abbiamo bisogno di una maggiore letteratura prima di poter rimpiazzare l’AA nei suoi usi dermatologici. […]

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EDITORIALE • CT 3, 2021

“Here I am, on the road again
There I am, up on the stage
There I go playin’ the star again
There I go, turn the page”.
Turn the page, Metallica

Anche oggi vi porto in bicicletta. Questa volta niente bike sharing. Saltiamo in sella a una bicicletta da sciura (da signora) nera, con il cestino. Perché è importante curare i particolari e osservarne il risultato. E il cestino è un particolare che fa la differenza: il peso dello zaino si sposta dalle spalle alla bicicletta. È come passare la propria fatica a qualcun altro. Il cestino (o le borse laterali, per i più moderni) è un ottimo collaboratore dal quale non ti puoi separare.
La prospettiva cambia: si passa dal presente del pedalare affaticati a essere protesi al futuro; dei veri esploratori urbani, pronti a osservare. Oggi non faremo un viaggio nella storia: incontriamo la modernità e la semplicità di Milano vista un sabato qualunque di primavera. Una città che in questo momento si è spogliata. Non è meta turistica, non è sede di quei grandi eventi che riempiono gli hotel fino a chilometri di distanza. È una città che aspetta.
Parto da casa. Il sole è timido, la giornata è ventosa… farò fatica ma non sarà certo il vento a fermarmi: circondata dalle persone giuste si va. In poco più di una decina di minuti sono ai piedi del Bosco Verticale. Attraversando Isola su una pista ciclabile, incrocio diverse persone: qualcuno sfreccia veloce, qualcuno passeggia lento. Nella lista delle positività di questo “tempo di attesa” aggiungo: “(Forse) è aumentato il numero delle persone in bicicletta…e con i monopattini, va bene!”.
Nei pressi di quella che l’altr’anno è stata allestita a spiaggia (perché a Milano il mare, per ora, non c’è ma per il resto ci si attrezza) non mancano i gruppetti di ragazz*. Una mamma con una bambina nel passeggino. I bambini sui giochi. Coppie di signori anziani passeggiano lenti, a braccetto, con un ritmo di chi osserva i cambiamenti. Tutti fuori: è come se le persone avessero fame d’aria.
Naso in su a guardare i palazzi e la vegetazione in verticale. Non ho ancora capito se sia un concetto di vegetazione che mi appaga oppure no. Forse io arrivo a concepirla orizzontale. In effetti, la Biblioteca degli alberi mi è più familiare. Radici ben salde sprofondate nella terra, il prato curato soffice su cui qualcuno si è messo scalzo, erba tagliata da poco. Alle spalle di una storica trattoria del quartiere, una casa di ringhiera detta “Vecchia Milano”. Porticine e finestre corrono lungo ballatoi carichi di gerani dai colori ipnotici.
Dopo una sosta si riparte. Un passaggio dietro al Palazzo della Regione con le sue fontane a raso. Qui a terra, tra i palazzi alti, il vento non si avverte se non per la temperatura e una meravigliosa pioggia di petali di fiori rosa che vengono trasportati via leggeri dai rami gonfi. In un attimo siamo in piazza Carbonari, poi gira di qua e di là, passiamo tra le casette igloo di via Lepanto. Poco più avanti un altissimo glicine discreto e possente, aggrovigliato ai balconi di alcune villette nei dintorni del Villaggio dei Giornalisti; i cedri del Libano svettano maestosi da alcuni giardini condominiali; le siepi di alloro a proteggere l’intimità domestica.
Le architetture che incontro non so collocarle precisamente nel tempo e allora facciamo un gioco: “Somiglia a …?”. Qualcuna è appuntita come una casa del Nord, una sembra uno chalet di montagna, un’altra una villa Liberty dai colori delicati e dalle decorazioni ripassate di recente. Sbirciamo i giardini (nessuno con 7 nani e Biancaneve, noto).
“Ma adesso dove siamo?”. Passiamo la Collina dei Ciliegi, poi la Manifattura Tabacchi ora Museo Interattivo del Cinema (“Oh! Quando riaprono veniamo!”, “Sì, veramente”, “Non ci sono mai stata”. Sono queste le promesse che ci si scambia: faremo cose che non c’è stato il tempo di fare perché è con il senno del poi che rivalutiamo quanto c’è stato prima).

Olea Europaea

di Floriana Sergio • CEO & Founder Farmaflo, floriana@farmaflo.it


Premessa
I capelli da sempre sono considerati simbolo di bellezza e diventano elemento caratterizzante dell’individuo che, ricorrendo a trattamenti cosmetici per variarne stato e colore o semplicemente a contatto con agenti inquinanti, talvolta ne compromette la magnificenza (1).
Nasce dunque l’esigenza di prodotti in grado di ripristinare e mantenere nel tempo una chioma sana, luminosa e dal colore pieno.

Introduzione
Anche i capelli, come la pelle, sono esposti a fonti di stress che ne pregiudicano la bellezza e la salute.
Stress termico, chimico, particolato inquinante, fumo di sigaretta ed esposizione a UV e blue ray aggrediscono il capello compromettendone la struttura: aumento del crespo, doppie punte, perdita di volume e colore spento sono i segni più comuni (2).
I prodotti cosmetici per la cura e lo styling del capello devono diventare quindi sempre più funzionali per intervenire e riportare la situazione nello stato di normalità.
Due le strategie a disposizione del formulatore:
– evitare il contatto dell’inquinante con la superficie del capello;
– usare principi attivi in grado di interagire con la struttura danneggiata, ripristinando l’equilibrio chimico qualora non sia andato troppo oltre.

Struttura del capello
Il capello si presenta come un fusto rivestito da un’epicuticola in cui cellule appiattite e adese legano molecole di acido 18-metileicosanoico (18-MEA) (Fig.1), sostanza grassa che conferisce idrofobicità ed evita l’attrito con gli altri capelli.
Quando le cuticole sono integre, ben adese e ricoperte dal 18-MEA, la chioma è luminosa e fluente (3).
Sotto l’epicuticola si trova la corteccia composta da cellule allungate contenenti fibrille intrecciate costituite da eliche di cheratina, al cui interno è presente la melanina responsabile del colore.
Spostandosi ancora verso l’interno troviamo tracce di midollo.
Dall’integrità di corteccia e midollo dipendono le caratteristiche fisiche strutturali dei capelli come forza, resistenza e volume.
Gli agenti stressogeni, tra cui, lo ricordiamo, troviamo la luce blu emessa dai dispositivi elettronici e da alcuni tipi di lampade, aggrediscono in primo luogo il legame F del 18-MEA con le cellule della cuticola, determinandone la rottura.
Senza lo strato lipidico il capello diventa crespo, secco, e le cellule della cuticola aggredite dall’umidità e dagli altri agenti iniziano a sollevarsi e a sfaldarsi lasciando scoperti tratti di corteccia.
Se la situazione non viene ripristinata, le reazioni ossidative procedono verso l’interno interessando le proteine della corteccia e la melanina, pigmento responsabile del colore.
L’abbondanza nelle cellule, ma anche la presenza nella loro struttura di cromofori come aminoacidi aromatici che assorbono nella regione 250-320 nm, rende le strutture proteiche particolarmente sensibili ai processi di ossidazione. Istidina, metionina e cisteina sono particolarmente reattive nei confronti dell’ossigeno singoletto. Anche a pH fisiologico si possono verificare molteplici effetti che includono le ossidazioni delle catene laterali, la frammentazione, la dimerizzazione/aggregazione, cambiamenti conformazionali e inattivazione enzimatica.
La reazione dell’ossigeno singoletto con le proteine può determinare molteplici effetti che includono le ossidazioni delle catene laterali, la frammentazione, la dimerizzazione/aggregazione, cambiamenti conformazionali e inattivazione enzimatica.
Questi processi prendono il nome di reazioni di carbonilazione, perché dall’ossidazione delle catene laterali degli aminoacidi si forma un gruppo C=O.
Nel capello la proteina più importante coinvolta nella carbonilazione è la cheratina, indispensabile per conferire robustezza e bellezza.
La chioma, che già ha perso la lucentezza, morbidezza e pettinabilità, si presenta fragile e con un colore spento e poco intenso quando anche la struttura proteica viene aggredita.

Le strategie
Nell’introduzione ho accennato alle due possibili strategie a disposizione del formulatore.
La prima consiste nell’usare agenti filmogeni che evitano il contatto tra gli stressor e il capello.
Scegliendo questa strada si cerca di abbassare il rischio di contatto tra l’agente ossidante e il capello.
La durata d’azione è molto limitata nel tempo perché le sostanze, non formando dei legami stabili con la cuticola, perdono con il passare dei giorni la loro azione filmogena; in più, non avendo alcuna capacità nel ridurre i livelli di stress ossidativo, non promuovono i fisiologici processi di riparazione.
La seconda più innovativa consiste, invece, nel rifornire alla struttura le risorse necessarie per neutralizzare gli inquinanti e riparare il danno già causato.
Ci soffermeremo sulla seconda strategia trattando una sostanza attiva di derivazione naturale.
Questa scelta perché, se è vero che in passato il formulatore doveva rispondere alla richiesta di effetti immediatamente visibili, negli ultimi anni l’evoluzione del consumatore cosmetico da “homo economicus e aestheticus” a “cittadino consapevole” lo spinge a volgere lo sguardo al mondo naturale e soprattutto alla nicchia delle materie prime coinvolte nel circolo virtuoso dell’upcycling.
Il confronto, infatti, è sempre più spesso con un utente non più individualista ma orientato al bene della collettività, e l’uso di queste materie prime permette di chiudere il cerchio produttivo contribuendo alla riduzione dell’impatto degli scarti di altri settori industriali (4).

Dall’oleificio al laboratorio cosmetico
Dalla Sicilia alla Liguria l’Italia è caratterizzata da coltivazioni di alberi d’ulivo, i cui frutti sono prevalentemente destinati al comparto dell’agrifood.
I benefici dell’olio d’oliva sono noti già dai tempi degli antichi Romani che lo usavano per i massaggi dopo i trattamenti termali per donare splendore alla pelle mantenendola elastica, liscia e morbida al tatto.

Botanica
L’olivo (Olea europaea L.) appartiene alla famiglia delle Oleaceae ed è un albero o arbusto sempreverde di 4-8 m di altezza, tipico della flora mediterranea ma caratterizzato da una grande capacità di adattarsi agli ambienti più diversi (Fig.2). È una pianta molto longeva e può superare i mille anni di vita in condizioni climatiche favorevoli; inoltre è dotata della facoltà di rigenerare la chioma anche da un tronco danneggiato, malato o tagliato (5).
Il frutto, l’oliva, viene raccolto da ottobre a dicembre per essere inserito sul mercato alimentare tal quale o dopo apposita spremitura, al fine di ottenere l’olio contenuto (Fig.2).

Chimica
Dal punto di vista chimico si distingue la parte saponificabile, costituita da acidi grassi e trigliceridi a media lunghezza, tra cui prevale l’acido oleico, e la frazione insaponificabile (Fig.3) costituita da polifenoli, carotenoidi, clorofille, steroli, alcoli di- e triterpenici e composti minori.
Il processo di spremitura dà origine all’olio d’oliva e alla sansa, sottoprodotto di matrice solido-liquida a elevato contenuto di umidità contenente le parti di polpa, buccia e nocciolino scartate.
L’elevata acidità non permette il suo riutilizzo in agricoltura, ma studi scientifici hanno evidenziato che circa il 98% dei composti fenolici rimane all’interno dei sottoprodotti, il che ne ha reso un interessante caso studio per il mondo cosmetico e per quello nutraceutico. Così la sansa, insieme alle acque di vegetazione, viene rilavorata per estrarre i due polifenoli attivi: tirosolo e idrossitirosolo (Fig.4) (6).
Tirosolo (p-idrossifeniletanolo o p-HPEA) e idrossitirosolo (o 3,4-diidrossifeniletanolo o 3,4-DHPEA) sono alcoli fenolici che, grazie alla loro particolare struttura, sono capaci di intercettare i radicali liberi degli agenti inquinanti, neutralizzandoli con l’azione antiossidante (7).
Si è calcolato che l’indice ORAC (Oxygen Radical Absorbance Capacity) della miscela si aggira intorno ai 70.000 µmolTE/g.
Per fare un paragone la vitamina C ha un indice ORAC di 1450 µmolTE/g e la vitamina E di 1,25 µmolTE/g.
L’Olea Europaea Fruit Extract, nome INCI che identifica la materia prima contenente i due polifenoli, agisce su tre fronti:
– previene la denaturazione delle proteine proteggendo il DNA cellulare;
– aumenta le difese antiossidanti intracellulari;
– neutralizza i radicali liberi.

Alcune osservazioni condotte su ciocche di capelli naturali hanno evidenziato come siano efficaci nel diminuire la carbonilazione proteica dovuta all’esposizione allo stress termico (230°C).
Nello studio si è visto che il campione placebo, sottoposto allo stesso stress, ha sviluppato circa il 111,6% di proteine carbonilate contro il 59,2% di quello trattato con tirosolo e idrossitirosolo.
All’analisi microscopica le cuticole del campione trattato e stressato apparivano adese, appiattite e addirittura rinforzate rispetto quelle del campione di controllo e del campione trattato con placebo, in cui le cellule erano state addirittura parzialmente distrutte.
Risultati simili si sono ottenuti negli studi sperimentali che testavano l’azione degli UV su ciocche precedentemente trattate con metalli pesanti.

Formulazione
Dal punto di vista formulativo si ha a disposizione una materia prima versatile utile tanto per la skin care, perché le proprietà trattate hanno un riscontro positivo anche sulla pelle, quanto per l’hair care.
Fisicamente questi estratti si presentano in forma secca da disperdere in acqua in rapporto 1:3; non richiedono un range di pH particolare, se non quelli a cui si lavora per i prodotti skin care e hair care destinati alla routine quotidiana (5,5-6,5); sono efficaci già a basse concentrazioni d’uso (0,5-1%), e questo particolare li rende particolarmente indicati per aumentare l’efficacia e l’attività della formulazione senza incidere troppo sui costi.
Nei prodotti per l’hair care, questi estratti diventano un valido supporto per creare una routine anti-pollution che inizia con la detersione e finisce con lo styling, passando per il conditioner e il siero protettivo urban detox.

Conclusioni
Da sempre l’uomo e la donna usano il loro corpo per esprimere se stessi e comunicare con l’ambiente che li circonda (8).
I gesti quotidiani, prima sconnessi e quasi casuali, adesso vengono organizzati in veri e propri rituali, beauty routine, che prevedono l’uso di più prodotti cosmetici.
Le aziende cosmetiche rivestono un ruolo importantissimo nell’accompagnare il consumatore sulla strada dell’uso consapevole.
Con l’avvento del processo di upcycling anche nel settore cosmetico, il formulatore ha a disposizione nuove materie prime attive ad alta efficacia in grado di agire sul fronte prevenzione e dove non si arriva in tempo riparando il danno prodotto da inquinamento, esposizione a UV e luce blu.
Il loro utilizzo rappresenta una nuova possibilità per le aziende che vogliono abbandonare i vecchi concetti muovendosi sulla strada della sostenibilità, parlando anche al consumatore più attento che cerca un prodotto naturale che oltre a fare bene ai suoi capelli apporti un contributo concreto all’ambiente.

Bibliografia
1. Ahluwalia J, Fabi SG (2019) The psycological and aesthetic impact of age-related hair changes in females.
J Cosmet Dermatol 18(4):1161-1169
2. Sinclair RD (2007) Healthy Hair: What Is it?
J Investing Dermatol Symp Prog 12(2):2-5
3. Kobayashi E (2012) Hair Conditioning Ingredients Developed with Focusing on Hair Surface Structure.
SOFW J 138(1-2)
4. Lori M, Volpi F (2007) Scegliere il “bene”. Indagine sul consumo responsabile. Franco Angeli, Milano.
5. Maugini E, Maleci Bini L, Mariotti Lippi M (1996) Manuale di botanica farmaceutica. Piccin, Padova.
6. D’Angelo S, Ingrosso D, Migliardi V et al (2005) Hydroxytyrosol, a natural antioxidant from olive oil, prevents protein damage induced by long-wave ultraviolet radiation in melanoma cells.
Free Radic Biol Med 38(7):908-919
7. Avola R, Graziano ACE, Panuzzo G et al (2019) Hydroxytyrosol from olive oil fruits prevents blue-light-damage in human keratinocytes and fribloblasts.
J.Cell Physiol 234(6):9065-9076
8. Fabris G (2003) Il nuovo consumatore: verso il postmoderno. Franco Angeli, Milano.

Articolo pubblicato su Cosmetic Technology 2, 2021