Cosmetici vegan: più dubbi che certezze

Non solo i cibi possono essere vegan, ma anche preparati cosmetici che non contengono prodotti di origine animale. Un altro settore della cosmesi in forte sviluppo sul mercato, ma del quale occorrerebbe chiarire meglio i principi.

Non si può certo asserire che siano del tutto chiare le idee su quello che, in cosmesi, può essere considerato naturale.  Le varie regolamentazioni, molto spesso diverse da stato a stato, le certificazioni Ecocert, NaTrue, BDIH ecc., i rapporti di enti e di associazioni sul cosmetico naturale e no non fanno che aumentare la confusione nella scelta del consumatore il quale, in mezzo a tante “etichette” non sa più quello che è vero e quello che non lo è.

Comunque la corsa alla produzione ed al consumo del cosmetico naturale non si ferma, anzi si evolve, si aprono altre prospettive. Ecco che il prodotto vegan appare sul mercato, in alcune nazioni si sta diffondendo con rapidità, in Germania, ad esempio. I cosmetici vegan rappresentano un nuovo settore dell’industria cosmetica di cui si prevede una vasta diffusione a breve termine. Così come i naturali, neppure i cosmetici vegan sono regolamentati. Per certuni esistono certificazioni, originate principalmente dalle industrie alimentari, ma che sono destinate a cambiare per adeguarsi a quelle cosmetiche. Per cui, almeno sino ad oggi quello che è vegan o non lo è rimane da chiarire. Di certo che nel preparato vegan l’uso di ingredienti di origine animale è assolutamente bandito, inaccettabile.

Ma il cosmetico vegan è da considerarsi un prodotto naturale o, meglio, un prodotto completamente naturale?  Anche relativamente a questo concetto, le opinioni sono sostanzialmente differenti. In Germania ad esempio, secondo quanto riferiscono gli estensori della relazione che stiamo recensendo, apparsa su un recente numero di SOFW Journal, i fabbricanti includono nelle formulazioni ingredienti che non sono certificati naturali da Ecocert (ad esempio siliconi o emulsionanti etossilati). Altri prodotti certamente di origine animale, come ad esempio la cera d’api, il miele, le proteine del latte, sembrano essere limitatamente accettate.
Il consumatore vegan, più di ogni altro, dovrebbe essere certamente quello che tende ad un stile di vita che rispetti l’ambiente. Per cui, per lui il preparato cosmetico dovrebbe essere un qualcosa realizzato con prodotti naturali e, soprattutto ecosostenibili, oltre che non di derivazione animale. E qui sorgono altri dubbi, ed altre contraddizioni.

Prodotti di derivazione animale, ma ecosostenibili sono ancora usati nell’industria cosmetica. Un esempio classico, la cera d’api, inclusa in preparati certificati naturali. Ebbene, in preparati vegan il suo uso è sconsigliato. È suggerito, ad esempio (se ne parla nella nota) l’impiego di cere vegetali che possono, per certe loro caratteristiche funzionali e organolettiche essere considerate valida alternativa alla cera d’api.

E ancora, sempre al fine di “sostenere l’ecosostenibile”, il consumatore vegan preferirebbe che l’impiego di oli minerali derivati dal petrolio fosse evitato ed usare, in alternativa un olio naturale, ad esempio di Ricino.

Nuovi indizi riferiscono anche della suggerita rimozione da preparati vegan di materie prime che, pur non potendosi dichiarare di origine animale, ad esempio la xanthan gum, sono state prodotte per fermentazione di microrganismi che sono stati nutriti con proteine da bianco d’uovo. Si è alla ricerca quindi, in questo caso, di soluzioni che prevedano l’impiego di prodotti, sia naturali, sia di sintesi, ma che non siano stati in contatto con bioprodotti animali.

Diciamolo con franchezza, sembra che in materia non tutto sia ancora perfettamente chiaro.

da Erboristeria Domani 5 – 2016

La natura lascia il segno

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Schermata 2016-10-06 alle 10.35.55NATRUE è l’Associazione Internazionale per la Cosmesi Naturale e Biologica, e la prima domanda che rivolgiamo a Francesca Morgante, Label & Communication Manager NATRUE è proprio rappresentata da quali sono i principali obiettivi e quale ruolo caratterizza l’associazione e la distingue dagli altri organismi di certificazione oggi presenti sul mercato: “Il fatto di essere un’associazione senza scopo di lucro ci differenzia dalla maggior parte degli enti che promuovono standard di certificazione per la cosmesi naturale e bio. Infatti gli standard sono generalmente gestiti da enti di certificazione che definiscono il disciplinare e allo stesso tempo ne verificano la conformità.
NATRUE invece definisce e aggiorna l’omonimo standard ma delega a enti terzi ed indipendenti i controlli. Questo doppio sistema garantisce al consumatore una ulteriore tutela. Da una parte NATRUE si fa garante dell’integrità dello standard, dall’altra gli enti di certificazione si occupano di quello per cui sono preposti, la verifica di conformità. Oltre a questo, la scelta operativa di collocare la nostra sede a Bruxelles” – continua Francesca Morgante – “vuol dire per NATRUE dare voce al settore dell’autentica cosmesi naturale e biologica, e tramite le attività di advocacy a livello europeo ed internazionale promuovere la cultura della cosmesi bio e difenderne l’autenticità.

Un settore in continua affermazione e crescita

Il prossimo anno la vostra associazione compirà 10 anni di attività. Come giudicate i traguardi raggiunti e le trasformazioni avvenute nello scenario della cosmesi naturale e biologica in questi dieci anni?
Per quanto riguarda NATRUE in questi 10 anni abbiamo promosso uno standard di certificazione che ha avuto il merito di conquistare la fiducia di un numero sempre crescente di aziende e di consumatori, afferma Francesca Morgante, riferendo i dati sullo stato dell’associazione: ad oggi i marchi certificati NATRUE sono oltre 200 per un totale di quasi 5000 prodotti presenti sui mercati internazionali. L’associazione stessa è cresciuta e conta oltre 50 aziende socie attive nei vari gruppi di lavoro interni. Se 10 anni fa NATRUE è nata dalla visione di lungo periodo dei pionieri della cosmesi bio, tra cui Weleda, Dr. Hauschka, Lavera e Primavera, oggi la nostra struttura è in grado di partecipare a tutti i processi decisionali che impattano il settore”.

Lo sviluppo conseguito da questo settore in questi dieci anni ha sorpreso anche voi?
Se 10 anni fa si parlava di un settore di nicchia ora non più così”, è la prima considerazione di Morgante. “L’interesse dei consumatori è cresciuto enormemente e anche la consapevolezza. Da un recente studio commissionato da NATRUE a GfK è emerso che oltre il 60% dei consumatori europei di cosmesi naturale e bio si fida dei marchi di certificazione; questo a mio avviso significa che è stato fatto generalmente un buon lavoro”.

Passi comuni n Europa?

Schermata 2016-10-06 alle 10.36.23Riguardo allo scenario europeo, ci si è interrogati a lungo sulla eventualità che potesse intervenire un atto normativo riguardo la cosmesi naturale e biologica: dall’osservatorio di NATRUE e alla luce della conoscenza e dei rapporti che avete aperti con le istituzioni comunitarie, qual è la valutazione dell’associazione a questo riguardo? È questa una eventualità prevedibile nel prossimo futuro, oppure l’identità del cosmetico naturale dipenderà ancora a lungo da forme di autoregolamentazione delle imprese più virtuose?
Dal punto di vista regolatorio non bisogna dimenticare che ogni prodotto cosmetico sul mercato europeo fa riferimento alla legislazione europea, per cui anche i cosmetici naturali e biologici sono strettamente regolati e garantiscono al consumatore efficacia e sicurezza. I termini “naturale” e “biologico” qualificano il prodotto agli occhi del consumatore e rientrano come molti altri claims nell’articolo 20 della sopracitata legislazione che ne definisce i criteri generici di appropriatezza”, precisa Francesca Morgante.
Le istituzioni europee ad oggi non sembrano voler ulteriormente normare un settore che come spiegato gode già di una legislazione stringente. Inoltre varie iniziative a livello internazionale, tra cui la discussione di una norma ISO per la cosmesi naturale e biologica, hanno indotto il legislatore comunitario e non procedere con ulteriori iniziative”, ci informa la nostra interlocutrice, che non manca però di aggiungere che, “vista ad oggi la debolezza in termini di contenuti della norma ISO di cui proprio quest’anno ha visto la luce la prima parte (Part 1 – ISO 16128-1:2016 definitions for ingredients,) riteniamo che il settore continuerà ad avere bisogno di standard rigorosi come quello NATRUE per rinforzare ulteriormente la fiducia dei consumatori e continuare a crescere”.
A maggiore ragione quindi, sarebbe utile arrivare ad una unificazione degli standard oggi presenti sul mercato?
Penso che prima di cercare a tutti i costi un’unificazione degli standard bisogna chiedersi cosa questo comporterebbe in termini di qualità dello standard stesso. Se ad oggi la maggior parte degli standard è più o meno concorde su quali siano gli ingredienti da escludere in un prodotto cosmetico naturale, permangono ancore sostanziali differenze su come un prodotto naturale vada formulato. NATRUE per esempio definisce i livelli di ingredienti naturali garantiti nella formulazione per categoria di prodotti (es. shampoo, crema, olio, make up etc.), e allo stesso tempo limita l’utilizzo di sostanze di derivazione naturale che hanno quindi subito processi di lavorazione più complessi”, è la considerazione preliminare di Morgante rispetto alla possibilità di uno standard unico. Ma il problema è visto dall’associazione anche da un punto di vista più generale, che considera l’approccio strategico che realmente caratterizza le imprese che si affacciano al mercato in crescita della cosmesi naturale: “NATRUE offre una definizione coerente di quello che è un prodotto cosmetico e va oltre il singolo prodotto. Infatti la stessa linea di prodotti lanciata sul mercato da un brand deve poter essere certificata nella sua stragrande maggioranza. Su 10 prodotti almeno 8 devono essere certificati per offrire al consumatore una vera cosmesi naturale e non solamente qualche referenza civetta che faccia pensare a un impegno maggiore di quello reale. Per le aziende che sostengono NATRUE questi sono valori non negoziabili, sono il DNA delle aziende stesse, che seppur con le loro storie differenti sono riuscite tramite il lavoro comune nell’Associazione a trovare una mission condivisa”, conclude Francesca Morgante.

Il consumatore, soggetto e interlocutore decisivo

Qual è oggi la capacità del pubblico, nei diversi paesi europei in cui l’associazione opera, di cogliere l’importanza della certificazione e di distinguere tra un prodotto che è garantito da un sistema complesso di controlli rispetto a uno “sedicente” naturale?
Se, come accennavo prima, il consumatore di cosmesi naturale e biologica comprende la differenza tra un prodotto certificato e uno sprovvisto di certificazione, più difficile è analizzare le differenze tra i vari standard”, premette Francesca Morgante. “Sempre dallo studio GfK emerge che oltre l’85% delle persone intervistate comprende esserci una differenza tra un cosmetico naturale e uno biologico, tuttavia solo 1/3 è in grado di spiegarla. Se quindi possiamo affermare che negli anni passati si sono poste le basi per far comprendere a grandi linee che cosa si intenda per cosmesi naturale e biologica, la sfida adesso è quella di andare più nel dettaglio con i consumatori di oggi, che sono alla continua ricerca di informazioni di qualità, e allo stesso tempo aiutare i “nuovi” consumatori a non cadere nelle trappole del greenwashing”.

Quali sono i nuovi consumatori? C’è una nuova generazione che ricerca il naturale anche in questo genere di consumi?
Quando parlo di nuovi consumatori mi riferisco soprattutto al target di età 25-34 anni che sempre secondo l’analisi di GFK sono coloro che, più di altre fasce di età, considerano la cosmesi bio come parte del loro “naturale” stile di vita che comprende alimentazione sana, esercizio e attenzione alla sostenibilità in senso lato”, conferma Francesca Morgante.

Schermata 2016-10-06 alle 10.36.35Ma, restando sul punto di vista del consumatore, va detto che il prodotto cosmetico naturale è oggi “vestito” da un numero spesso elevato di simboli vari. NATRUE cosa ritiene sia possibile fare per accrescere l’efficacia e la percezione dei marchi che hanno una reale valenza di garanzia?
Il sistema NATRUE ha messo, direi per la prima volta, lo standard al centro e l’ente di certificazione in secondo piano, quanto meno agli occhi del consumatore.
Noi non certifichiamo direttamente, e gli enti di certificazione con cui collaboriamo sono ad oggi più di 10 a livello mondiale. Inoltre nel nostro sistema un ente terzo (IOAS) è incaricato da NATRUE di verificare, in cicli di audit quadriennali, la competenza dell’organismo di certificazione a operare secondo lo standard NATRUE. Questo processo si chiama accreditamento. Tuttavia non crea ulteriore frammentazione perché sul prodotto non solo non appare il logo di IOAS ma molto spesso neanche quello dell’ente di certificazione. Sul prodotto c’è solo il logo NATRUE che guida il consumatore nelle sue scelte di acquisto”, ricorda Morgante.

Il fattore prezzo per il cosmetico naturale rappresenta anche una garanzia di naturalità?
Il fattore prezzo non è di per sé una garanzia di naturalità. Il prezzo di un prodotto è determinato da molteplici fattori tra cui economie di scale, distribuzione, posizionamento di brand e anche ovviamente qualità della formulazione. Bisogna inoltre chiarire che “qualità” in una formulazione fa riferimento alla ricerca degli ingredienti, agli investimenti in ricerca e sviluppo e alla complessità della formulazione stessa. Prodotti autenticamente naturali e certificati possono anche avere un prezzo medio-basso frutto di formulazioni semplici, ma non per questo meno naturali. Allo stesso modo quei brand del naturale, che fanno della continua ricerca il loro punto di forza, avranno ingredienti differenti e che richiedono un costo maggiore. La variabilità di prezzo della cosmesi naturale va ricercata anche nello sviluppo del mercato stesso. La Germania, che è leader europeo del settore, ha visto una “democratizzazione” dei prezzi della cosmesi naturale che variano oggi da pochi euro a centinaia di euro, esattamente come accade per i brand del convenzionale”.

Il ruolo degli operatori professionali

Infine, un punto importante per i nostri lettori: come giudica il ruolo degli operatori professionali, che hanno compiuto uno specifico percorso formativo, nella distribuzione del cosmetico naturale e biologico?
Sebbene ormai viviamo in un mondo che fa dell’informazione tra pari un must, penso ancora che il ruolo degli operatori del settore possa essere fondamentale, ma in maniera differente rispetto al passato”, considera Francesca Morgante, e aggiunge “che anche l’operatore specializzato deve informarsi in maniera specifica e puntuale. Molto spesso anche a noi di NATRUE vengono poste domande molto pertinenti ed interessanti che dimostrano una conoscenza crescente dei consumatori”.

Ma l’intermediazione di un operatore professionale può costituire una garanzia per le scelte del consumatore?
Quello che deve far riflettere è che il consumatore di cosmesi naturale è sempre più multicanale. La cosmesi naturale e biologica non è più solo venduta tramite i canali tradizionali. I supermercati e internet giocano un ruolo molto importante e rappresentano una sfida per gli altri canali di distribuzione. Non è più un luogo fisico ad accreditare un prodotto come “naturale”, ma la reputazione del brand stesso e anche la certificazione. La capacità dell’operatore specializzato di indirizzare ogni consumatore verso il prodotto che meglio risponda alle sue necessità facendogli così avere una prima esperienza positiva con la cosmesi naturale, può essere la chiave per mantenere un vantaggio competitivo. La cosmesi naturale e biologica agisce in maniera diversa da quella convenzionale: profumazioni, texture e utilizzo sono spesso molto differenti. Questo mondo va fatto scoprire con passione e professionalità, caratteristiche essenziali per un operatore di punto vendita”.

Un mercato che oltre a crescere, si sta trasformando. Considerazioni utili, sulle quali siamo certi molti nostri lettori vorranno ritornare.

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Spazio fitoterapia

Le proprietà antimicrobiche degli estratti da foglie di Olivo (Olea europaea L.) sono ben consolidate nella medicina tradizionale mediterranea e non solo, ma confermate dalla moderna ricerca scientifica.

Numerosi studi hanno investigato circa le proprietà antimicrobiche dei principi attivi ricavati dalle foglie della pianta, valutando l’estratto in toto, e singolarmente i suoi più importanti metaboliti secondari con test sia in vitro, sia in vivo, nei confronti di classici inquinanti come Escherichia coli o Staphylococcus aureus.

Interessante notare che test sono stati eseguiti non solo utilizzando i derivati dell’Olivo presi individualmente o in loro miscela, ma anche in associazione a farmaci, e a veri e propri antibiotici quali ampicillina.

Si è così stabilito che luteolin-7-O-glucoside ed altri derivati secondari sviluppano attività nei confronti dei citati ceppi batterici, in particolare nei confronti di S.aureus.

Ma si è pure potuto verificare che un energico effetto antimicrobico è sviluppabile anche da acido caffeico, verbascoside, oleoeuropeina, altri importanti ingredienti attivi degli estratti da foglie della pianta, nonché dall’olio stesso, quando utilizzati in associazione ad ampicillina. In particolare una pronunciata attività sinergica si è visto che si sviluppa tra ampicillina e idrossitirosolo, un fenolo-derivato che, nella sua forma esterificata (oleoeuropeina) è contenuto nell’olio di Oliva, ma anche nelle foglie.

Pertanto, se questi attivi dell’olio di Oliva possono non essere, parlando in generale, antimicrobici energici in confronto ad altri a più pronunciata attività, il loro uso in abbinamento a farmaci specifici (antibiotici) potrebbe rappresentare una utile strategia ai fini dell’ottenimento di preparati a più marcata attività antibatterica (8).

da Erboristeria Domani n°398