Formulare integratori probiotici efficaci

AAEAAQAAAAAAAAdQAAAAJDYzOTViM2ZiLTgwNmMtNDJlMi1iNjc1LTUxYmE0MzQwYWEzNANell’ambito degli integratori alimentari, quello dei probiotici è uno dei mercati più dinamici, che ad oggi rappresenta un terzo dell’intera categoria in Italia. In un rigido contesto normativo, la possibilità di comunicare l’efficacia di una formulazione e posizionare un integratore probiotico come prodotto con valore aggiunto rappresenta un’occasione importante anche per ampliare l’offerta a nuovi mercati e ambiti di applicazione.

Difficoltà nella formulazione

Con un 45% di nuovi prodotti lanciati a livello mondiale, le capsule rappresentano il formato di dosaggio più utilizzato per gli integratori probiotici. I probiotici sono ingredienti sensibili all’umidità e agli acidi. Da dieci anni Capsugel lavora per risolvere le difficoltà associate allo sviluppo di prodotti probiotici con una gamma di soluzioni che facilitano la formulazione di probiotici liofilizzati. Per esempio, una delle maggiori difficoltà è rappresentata dal mantenimento della stabilità per tutta la durata di conservazione, che potrebbe richiedere delle modifiche al contenuto d’acqua dell’eccipiente. Una soluzione al problema è scegliere una capsula rigida in ipromellosa (HPMC), l’alternativa vegetale alla gelatina. Infatti, le proprietà della pellicola di polimero HPMC permettono di ridurre il contenuto d’acqua a meno di 2,5, con valori di attività dell’acqua inferiori a 0,2. Diminuendo l’attività dell’acqua si riduce il rischio che questa venga assorbita dal probiotico attraverso l’involucro della capsula, aumentando così la durata di conservazione dell’integratore probiotico finale.

Affinché i probiotici raggiungano l’intestino nel dosaggio adeguato, è importante scegliere un formato con un’ottima resistenza agli acidi presenti nello stomaco. Le capsule DRcaps™ proteggono i probiotici durante il passaggio attraverso lo stomaco, eliminando il costo e la complessità di dover aggiungere delle proprietà di resistenza agli acidi.

capsula

La funzionalità di questa forma di dosaggio può inoltre essere utilizzata per ampliare l’offerta a nuovi mercati e ambiti di applicazione, grazie alla creazione di prodotti che siano in linea con le preferenze dei clienti. Per esempio, con l’orientamento verso una nutrizione maggiormente personalizzata vi è l’opportunità di mirare a gruppi specifici, come le persone con difficoltà a deglutire. Le capsule spargibili Coni-Snap® di Capsugel sono facili da aprire e consentono la somministrazione orale dei probiotici spargendone il contenuto nei cibi morbidi. Inoltre, le capsule possono essere formulate con un basso livello di eccipienti, una caratteristica particolarmente importante nelle applicazioni per neonati.

Per le campagne di marketing mirate a promuovere un’indicazione sulla salute, è possibile fornire capsule 2 in 1 che contengano probiotici e altre sostanze attive. DUOCAP™ di Capsugel, il sistema di rilascio brevettato di capsula nella capsula, consente il rilascio efficiente di probiotici ed è particolarmente efficace per combinare diverse formulazioni o per prodotti a duplice rilascio. Questa tecnologia crea una barriera interna, che evita l’assorbimento dell’acqua all’interno della capsula contenente il probiotico, ed è stata progettata per migliorare la stabilità e facilitare il rilascio ritardato. Tra le altre innovazioni introdotte vi è l’ultimo aggiornamento dell’offerta DUOCAP™ di Capsugel per prebiotici e probiotici.

Nella formulazione di integratori probiotici, lo sviluppo di un prodotto stabile ed efficiente è essenziale per garantire il successo sul mercato.

Per maggiori informazioni sulla vasta gamma di soluzioni Capsugel, realizzate solo con ingredienti vegetali secondo le tendenze “clean label”, visitate www.capsugel.com o rivolgetevi a un rappresentante Capsugel di zona.

Per informazioni
marketing.emea@capsugel.com
www.capsugel.com


			

Nutraceutici e integratori alimentari:

Nel nostro Paese abbiamo una domanda di salute in continuo aumento e il Servizio Sanitario Nazionale deve sostenere una spesa in costante crescita per garantire il benessere di tutti i cittadini. Molti farmaci cosiddetti innovativi sono stati commercializzati e molti altri lo saranno nel prossimo futuro, consentendo di raggiungere risultati clinici un tempo inimmaginabili.

Peraltro il sistema di sostenibilità ed in particolare di governance della spesa si sta rivelando inadeguato, proprio a causa dei farmaci innovativi e specialistici ad alto costo. Queste considerazioni, se da un lato trovano soluzioni parziali in alcune iniziative quali i fondi per i farmaci innovativi e gli innovativi oncologici, che da temporanei diventano strutturali, dall’altro richiedono un ripensamento profondo della governance, attraverso modelli e sistemi adeguati, che presentino elementi di dinamicità e flessibilità. Tutto ciò è ancora più evidente se si pensa all’invecchiamento della popolazione che va di pari passo con il sempre maggiore impatto che le malattie croniche hanno sul Servizio Sanitario. I dati ISTAT riportano al 1 gennaio 2016 una percentuale di ultrasessantacinquenni del 22% e tale percentuale è destinata ad aumentare: più del 30% nel 2050 (UN http://www.un.org/esa/population/publications/Repl MigED/Italy). Il Piano Nazionale della Cronicità, pubblicato dal Ministero della Salute a luglio 2016, evidenzia come la percentuale di persone che dichiara di avere almeno una malattia cronica è pari al 38%, il 48,7% delle persone dai 65 ai 74 anni si dichiara affetto da almeno due malattie croniche e questa percentuale sale al 68,1% in quelle dai 75 anni in su. In termini economici la cronicità incide per il 70% circa della spesa sanitaria (113,1 mld finanziamento SSN), escludendo naturalmente la spesa privata.

Il fenomeno della cronicità ha una significativa portata nel Sistema Sanitario ed è in progressiva crescita: si stima che circa il 70-80% delle risorse sanitarie nei paesi avanzati sia oggi speso per la gestione delle malattie croniche e che nel 2020 le stesse rappresenteranno l’80% di tutte le patologie nel mondo. (Piano Nazionale della Cronicità).

In tale contesto di grande criticità è necessaria una riflessione profonda e allo stesso tempo rapidamente operativa sull’opportunità di promuovere la salute attraverso processi e progetti di prevenzione, quale leva primaria per generare risparmio. Alcune iniziative sono state intraprese, come ad esempio il Piano Nazionale Vaccini con il relativo fondo di finanziamento, che rappresenta un valido strumento di efficienza per il SSN: basti pensare al rapporto fra il costo di una vaccinazione e i risparmi derivanti dalle malattie evitate. Pur se apprezzabili, tali iniziative dovrebbero essere estese ad un concetto di prevenzione più ampio che prenda in considerazione gli stili di vita, le abitudini alimentari, le malattie stagionali, le malattie croniche, l’invecchiamento, ecc. In relazione agli stili di vita e alle abitudini alimentari, basta ricordare la riduzione ormai nota dell’incidenza delle malattie cardiovascolari nei soggetti con un regime alimentare ricco di pesce; lo stesso dicasi per i soggetti che seguono una dieta sana, con un moderato consumo alcolico, che non fumano, che praticano attività fisica e non presentano adiposità addominale, nei quali si evidenzia una diminuzione del rischio di infarto rispetto ai soggetti che non presentano tali caratteristiche (1).

Forse in questo “spazio preventivo” potrebbero essere presi in considerazione anche i nutraceutici e/o gli integratori alimentari, fermo restando la necessità di un’attenta e rigorosa valutazione scientifica ed economica delle loro caratteristiche. I prodotti “salutistici” se da un lato evidenziano un trend in continua crescita (“Positivi i dati degli integratori (+7,1%), con risultati superiori all’andamento generale per vitamine, ginecologici-urologici e apparato circolatorio” (Pharmastar 20 luglio 2016)), dall’altro necessitano di una maggiore evidenza scientifica, che deriva prevalentemente da una rigorosa ricerca scientifico-clinica. Una review scientifica sull’integrazione alimentare è stata pubblicata, a giugno 2016, da Integratori Italia (AIIPA Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari), dove viene riportato lo stato dell’arte alla luce delle evidenze scientifiche.

Questa review, cui hanno contribuito alcuni fra i maggiori esperti italiani in ambito nutrizione e salute, propone, attraverso l’analisi delle principali pubblicazioni scientifiche, alcune considerazioni e valutazioni sul ruolo degli integratori in aree quali la salute della donna, l’invecchiamento (alterazioni metaboliche e cerebrali), le malattie cardiovascolari, qualità e sicurezza degli integratori stessi. Il tentativo di riassumere le principali conoscenze scientifiche sul ruolo degli integratori dovrebbe però essere considerato come un primo passo verso la strutturazione di un percorso di ricerca scientifica, che possa, attraverso metodologie e sistemi accurati, assicurare nel tempo una validazione degli effetti clinici di queste sostanze su alcune patologie, in particolare quelle croniche e quelle legate all’invecchiamento. Ci sono infatti numerose indicazioni suggestive ed in alcuni casi evidenze relative all’efficacia ad esempio degli acidi grassi polinsaturi Omega-3 nella prevenzione cardiovascolare e tali sostanze sono presenti in commercio sia come integratori sia, soprattutto, come farmaci. Occorre però fare chiarezza su questo punto: è noto che gli acidi grassi polinsaturi possiedono una attività antiaritmica, antitrombotica, riducono i livelli di trigliceridi e proprio per queste caratteristiche sono in grado di ridurre gli eventi cardiaci. Se prendiamo in considerazione gli integratori a base di Omega-3 non sono disponibili studi che dimostrino l’efficacia di un’azione preventiva del rischio cardiovascolare; tali integratori contengono una quantità inferiore di Omega-3 rispetto ai farmaci (il cui contenuto in Omega-3 è superiore all’85%) ed eventualmente il loro utilizzo può essere indicato in quei soggetti, che per vari motivi, non hanno un apporto adeguato di tali sostanze, come ad esempio gli anziani. Ma anche in questo caso sarebbe opportuno adottare una dieta che consenta di ottimizzare i benefici derivanti dal consumo di pesce (ricco di acidi grassi polinsaturi), verdura, legumi, cereali integrali, frutta (secca), evitando il più possibile grassi e proteine di origine animale.

Differenti sono le considerazioni e le valutazioni per i farmaci a base di Omega-3: la loro indicazione terapeutica è frutto dei cosiddetti studi clinici controllati (Randomized Clinical Trial – RCT), la concentrazione di sostanza attiva è decisamente superiore rispetto a quella degli integratori e la loro autorizzazione all’immissione in commercio segue procedure rigorose; proprio per tale motivo per questa tipologia di farmaci ritroviamo fra le indicazioni anche la prevenzione secondaria nel paziente con pregresso infarto miocardico.

Detto ciò, possiamo pensare ad uno “spazio” per integratori e nutraceutici per generare risparmio, in particolare in campo “farmacoeconomico”?

Una prima considerazione ci deriva da un articolo di Alessandro Colombo (Presidente di Integratori Italia – AIIPA), pubblicato su Sanità 24, il 29 luglio 2016 dove viene riportato lo studio “Il risparmio sulla spesa sanitaria degli integratori alimentari di Omega 3 nell’Unione Europea” realizzato dall’istituto di ricerca e consulenza Frost & Sullivan e commissionato da Food Supplements Europe (Associazione europea alla quale aderisce Integratori Italia).

In questo studio sono stati valutati i potenziali benefici economici derivanti dall’uso di integratori alimentari di Omega-3 EPA+DHA, nei soggetti di età >55 anni, cioè con rischio elevato di sviluppare patologie cardiovascolari (157,6 milioni di persone nella popolazione europea – 31% del totale).

Sono stati identificati 18 studi randomizzati controllati dove veniva valutata la possibile correlazione fra l’assunzione di Omega-3 e la riduzione di un evento cardiovascolare.

I risultati della simulazione indicano che il consumo giornaliero di un integratore a base di 1,0 g di olio di pesce con Omega 3 negli over 55, si tradurrebbe in oltre 1,5 milioni di ricoveri per eventi cardiovascolari in meno in tutta l’Ue da adesso fino al 2020, generando un risparmio totale di 64,5 miliardi di euro per minori ospedalizzazioni pari a 12,9 miliardi l’anno per minori ospedalizzazioni (con un risparmio netto di circa 7,3 miliardi di euro/anno)………In Italia si tradurrebbe in un risparmio per minori ospedalizzazioni di oltre 1,3 miliardi di euro l’anno (oltre 720 milioni di risparmio netti/anno).

Anche in questo caso è opportuna una riflessione e il riferimento alla letteratura ci aiuta.

Il primo concetto è che i risultati sopra citati sono, necessariamente, legati ad una simulazione; inoltre, come riportato precedentemente, sebbene siano presenti in commercio numerose preparazioni di integratori alimentari contenenti Omega-3, non sono disponibili studi che ne dimostrino l’efficacia nella prevenzione cardiovascolare.

Di contro numerosi studi hanno dimostrato come le diete ricche di Omega-3, agenti antiossidanti e fibre, siano in grado di esercitare un effetto protettivo sugli eventi cardiovascolari come pure, a titolo di esempio, il consumo di noci è strettamente correlato non solo alla riduzione del rischio cardiovascolare, ma anche alla riduzione della possibilità di sviluppare diabete di tipo 2 (2).

Alla luce di questo quadro risulta opportuno, anzi necessario, avviare e realizzare eventuali valutazioni economiche (sul potenziale risparmio della spesa), partendo da basi scientifiche, che tengano conto del reale effetto della sostanza, nel caso specifico, sia in prevenzione primaria, sia in prevenzione secondaria. A puro titolo di esempio, basti ricordare come l’utilizzo di dosi terapeutiche di Omega-3 nei pazienti con scompenso cardiaco, sia in grado di ridurre sia la mortalità in generale, sia i ricoveri ospedalieri (3).

In Italia e negli altri Paesi occidentali lo scompenso cardiaco cronico costituisce il motivo più frequente di ricovero nei soggetti con più di 65 anni. In generale, è la causa del maggior numero di giornate di degenza in ospedale, rappresentando un costo estremamente elevato per il Servizio Sanitario Nazionale.

Applicare una terapia con Omega-3 a tutti i pazienti con scompenso cardiaco, potrebbe comportare un risparmio per il Servizio Sanitario di oltre settantacinque milioni di euro. Ovviamente queste sono inferenze, sono conti indiretti, però un’applicazione ampia di un trattamento che riduce le ospedalizzazioni, comporta un miglioramento della qualità di vita ….e come conseguenza importante per il Sistema Sanitario Nazionale, comporta una riduzione dei costi (4).

Ulteriori conferme ci vengono da un recente studio (5) che ha evidenziato come alte dosi di farmaci Omega-3, somministrate nel post infarto, sono associate ad un positivo rimodellamento del muscolo cardiaco. Non è certamente facile realizzare le valutazioni economiche in questo ambito, ma è chiaro che emerge sempre di più la necessità di affrontare il problema cercando di realizzarle, in modo da poter fornire agli stakeholder, alla comunità scientifica, agli operatori tutti del settore e alla popolazione dati certi sui costi e, conseguentemente, sui potenziali risparmi della spesa. Investire in salute è un ottimo investimento da un punto di vista economico, ma finanziariamente non lo è soprattutto quando le risorse non ci sono. L’obiettivo non deve, pertanto, essere la limitazione della spesa in assoluto, bensì il tentativo di ottimizzare l’impiego delle risorse destinate alla sanità in generale.

In tale contesto il sistema di governance della spesa sanitaria ha bisogno di processi e modelli adeguati che consentano da un lato di garantire il diritto alla migliore terapia per il paziente e, dall’altro, oltre al riconoscimento degli investimenti alla base dell’innovazione, anche e soprattutto, la possibilità di promuovere la salute attraverso processi e progetti di prevenzione, quale leva primaria per generare risparmio.

Gli “spazi” della prevenzione e dell’invecchiamento e delle malattie croniche potrebbero essere adatti alle caratteristiche di alcuni prodotti nutraceutici e/o integratori?

La strada per confermarlo è ancora molto lunga e deve necessariamente passare attraverso una solida metodologia di ricerca, come pure una attenta e rigorosa valutazione scientifica delle loro caratteristiche. Solo allora sarà possibile applicare i modelli “farmacoeconomici” per stabilire la reale portata del potenziale risparmio derivante da un corretto utilizzo.

Bibliografia

1. Åkesson A, Larsson SC, Discacciati A, Wolk A (2014) Low-risk diet and lifestyle habits in the primary prevention of myocardial infarction in men: a population-based prospective cohort study. J Am Coll Cardiol 64 (13):1299-1306

2. Bao Y, Han J, Hu FB, Giovannucci EL, Stampfer MJ et al (2013) Association of Nut Consumption with Total and Cause-Specific Mortality. N Engl J Med 369(21):2001-2011

3. Tavazzi L, Maggioni AP, Marchioli R, Barlera S, Franzosi MG et al (2008) Effect of n-3 polyunsaturated fatty acids in patients with chronic heart failure (the GISSI-HF trial): a randomised, double-blind, placebo-controlled trial. Lancet 372(9645):1223-1230

4. Maggioni AP, Il Portale della Salute, Post-Infarto.it

5. Heydari B, Abdullah S, Pottala JV, Shah R, Abbasi S et al (2016) Effect of Omega-3 Acid Ethyl Esters on Left Ventricular Remodeling After Acute Myocardial Infarction: The Omega-Remodel Randomized Clinical Trial. Circulation 134(5):378-391

Reazioni avverse di integratori alimentari a base di piante

Anche se gli integratori alimentari a base di piante (plant food supplement: PFS) sono sempre più popolari e ampiamente disponibili, le informazioni sui loro potenziali rischi sono scarse. Le reazioni avverse collegate al consumo di PFS sono state riportate da diversi Autori, ma la maggior parte delle pubblicazioni sono case report che descrivono un evento acuto specifico, oppure recensioni di casi in una particolare area clinica (cardiovascolare, gastrointestinale, ecc.). Un importante limite delle informazioni riportate finora nella letteratura scientifica è la mancanza di valutazione di causalità; infatti l’associazione tra l’assunzione di uno specifico derivato botanico e l’evento clinico è raramente dimostrata utilizzando biomarker o con sospensione e successiva riesposizione (dechallenge/rechallenge).

Inoltre, il consumo di PFS è di solito stimato sulla base dei dati di mercato e l’import/export di materie prime. Tuttavia, poiché le piante sono utilizzate sia nel campo alimentare che in altre tipologie di prodottii, l’estrapolazione al consumo di PFS è piuttosto difficile. I dati sull’uso di integratori alimentari segnalati dai consumatori sono molto limitati e normalmente includono solo quei prodotti che contengono vitamine e minerali, mentre altri dati disponibili provengono da studi relativi alla medicina complementare/tradizionale.

Allo scopo di fornire nuovi dati sull’utilizzo di PFS, è stata effettuata un’indagine tra i consumatori nel 2011-2012, nell’ambito del progetto PlantLIBRA, finanziato dal Settimo programma quadro della Comunità Europea (1). Recentemente, i ricercatori che hanno pubblicato un nuovo lavoro scientifico (2) in cui vengono descritte le reazioni avverse auto-riferite dai consumatori coinvolti nell’indagine. Gli autori hanno inoltre valutato criticamente la plausibilità dei sintomi riportati utilizzando i dati provenienti dalla letteratura e dallo studio PlantLIBRA sulla rilevazione dei centri antiveleno. Quest’ultimo è uno studio retrospettivo multicentrico di dati provenienti da centri antiveleno europei e brasiliani, riguardanti casi di eventi avversi causati da piante consumate come alimento o come ingredienti di integratori alimentari, raccolti tra il 2006 e il 2010 (3).

L’indagine tra i consumatori PlantLIBRA è stata condotto in sei paesi europei (Finlandia, Germania, Italia, Romania, Spagna e Regno Unito), ed i partecipanti sono stati reclutati in quattro città in ogni paese, per un totale di 2359 adulti. I prodotti da considerare nel sondaggio erano chiaramente definiti: potevano essere inclusi solo gli integratori alimentari con ingredienti vegetali, escludendo farmaci tradizionali, tisane e succhi di frutta. Ottantadue dei soggetti arruolati (3,5%) hanno riferito eventi avversi dopo il consumo di 87 PFS. Sono state osservate differenze tra i Paesi: il numero di consumatori che hanno segnalato effetti indesiderati variava tra il 5 e il 6% del totale degli intervistati in Finlandia, Germania e Spagna, mentre erano meno numerosi in Romania (2%), Italia (1%) e Regno Unito (0,3%). Non ci sono state differenze significative per sesso o età.

I casi erano auto-riportati, di conseguenza la causalità non è stata classificata sulla base di prove cliniche ma utilizzando la frequenza e il peso degli effetti avversi descritti in pubblicazioni scientifiche: 52 su 87 casi sono stati definiti possibili (59,8%) e quattro come probabili (4,6%). L’associazione non è stata confermata per 28 casi. L’interazione con farmaci convenzionali è stata considerata possibile in tre casi. La maggior parte degli eventi avversi riguardava il tratto gastrointestinale (60%), il sistema nervoso (17%) e cardiovascolare (4,6%).

Il numero totale di ingredienti botanici contenuti nei PFS per i quali sono stati riportati eventi avversi era 72. Nella maggior parte dei casi (46%), i PFS contenevano un solo ingrediente. Quaranta (55,6%) dei 72 ingredienti a base di piante sono stati associati a un singolo evento avverso, e l’80% dei PFS con eventi avversi conteneva due o più ingredienti.

Considerando le piante più diffuse associate a effetti avversi, 14 sono state associate a 68 effetti indesiderati riportati, pari al 47,2% degli eventi totali. In particolare, otto eventi avversi sono stati attribuiti a Valeriana officinalis (sette dei quali in Spagna), sette a Camellia sinensis (tè), sei a Ginkgo biloba e sei a Paullinia cupana (guaranà).
Gli elenchi di piante più segnalate dai centri antiveleno e dall’indagine dei consumatori erano simili, condividendo cinque su 13 piante; tra queste Valeriana officinalis e Camellia sinensis occupano le prime due posizioni. Inoltre, una posizione simile nella classifica era occupata da Paullinia cupana (sesta posizione), Panax ginseng (nona) e Cynara scolymus (undicesima).

Sulla base di questi risultati, gli Autori concludono che effetti avversi gravi a seguito del consumo di PFS sono piuttosto rari (sebbene possibili). Gli eventi avversi lievi e moderati sono più frequenti e comunemente non richiedono supporto clinico. Inoltre, i dati riportati confermano che alcune piante sono più frequentemente associate ad effetti avversi che altre. Queste informazioni potrebbero aiutare i medici di famiglia e altri operatori sanitari ad essere consapevoli delle possibili conseguenze dell’uso di PFS, e potrebbero anche essere utilizzate per educare il pubblico sui possibili eventi avversi associati con il consumo di integratori alimentari a base di piante.

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da L’Integratore Nutrizionale 4 – 2016

Caratterizzazione di nanomateriali in matrici alimentari

Le nanotecnologie offrono grandi prospettive di innovazione per l’industria del settore agroalimentare. La nanoscala, infatti, conferisce ai materiali proprietà chimico-fisiche peculiari da cui possono derivare vantaggi, quali una maggiore reattività chimico/biologica che ne consente l’impiego nella produzione, nel processamento e nella conservazione degli alimenti, nella realizzazione di additivi ed ingredienti, e nello sviluppo di materiali innovativi a contatto con il cibo.

La maggior parte dei nanomateriali utilizzati nel settore agroalimentare sono inorganici (Tab.1), con metalli e ossidi metallici presenti nel 55% delle applicazioni, e nanotubi, fullereni ed argille impiegati nel 12% dei casi (1). I nanomateriali a base organica, come ad esempio micelle, liposomi o dendrimeri, vengono per lo più utilizzati per incapsulare e veicolare additivi, nutrienti o farmaci e rappresentano il 26% delle applicazioni. Vi sono infine i materiali nanocompositi, costituiti da strutture inorganiche come le argille, la cui superficie viene modificata o funzionalizzata con componenti organiche o polimeriche modificate o funzionalizzate con componenti nanometriche per ottimizzarne le proprietà barriera o conferirvi attività antimicrobiche, e che costituiscono circa il 7% delle applicazioni.

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A ciascuna tipologia di nanomateriale e modalità di utilizzo corrisponde uno scenario di esposizione per il consumatore, che può essere diretto nel caso di ingredienti e/o additivi costituiti da nanomateriali, o indiretto nel caso di nanoparticelle rilasciate negli alimenti dal materiale di confezionamento (2). Per entrambe le tipologie di esposizione, diretta e indiretta, è importante valutare la natura chimica, la quantità (esposizione) ed il comportamento del nanomateriale nell’alimento o nei simulanti alimentari. Come sottolinea la European Food Safety Authority (EFSA) nelle sue linee guida per la valutazione dell’esposizione ai nanomateriali (3), non è sufficiente caratterizzarli nella loro forma di materia prima in quanto a contatto con matrici biologiche potrebbero subire sostanziali trasformazioni chimico-fisiche che ne alterano l’impatto biologico. La capacità di identificare, quantificare e caratterizzare i nanomateriali negli alimenti e nei simulanti alimentari diventa quindi un requisito fondamentale per ottimizzarne l’efficacia, riducendo i rischi connessi al loro utilizzo in accordo con Raccomandazioni e Normative, come i Regolamenti (EU) n.1169/2011 e n.2283/2015 (4,5).

Essendo i nanomateriali definiti sulla base di un criterio dimensionale (2), determinarne le dimensioni è un requisito imprescindibile per la loro identificazione. Come riportato in Tabella 2, il concetto di “dimensioni” di un nanomateriale o nanoparticella ha diverse accezioni, tutte ugualmente adottabili, a cui corrispondono tecniche analitiche specifiche (6). In un contesto normativo dove un nanomateriale viene definito come …un materiale naturale, accidentale o prodotto intenzionalmente, contenente particelle libere o strutturate in aggregati/agglomerati con il 50% o più delle particelle aventi una distribuzione dimensionale compresa tra 1 nm e 100 nm. In alcuni casi e per ragioni di sicurezza la soglia del 50% può essere abbassata ad un valore compreso tra 1 e 50%, le tecniche di riferimento per la determinazione della distribuzione dimensionale di una popolazione di oggetti nanometrici sono la microscopia elettronica a trasmissione (TEM) e a scansione (SEM), che consentono di valutarne la morfologia, il diametro geometrico e la frequenza relativa di particelle che ricade nella definizione.

Il comportamento di un nanomateriale in matrici complesse come quelle alimentari è determinato da una grande varietà di caratteristiche chimico-fisiche che si influenzano reciprocamente, tra cui dimensioni e distribuzione dimensionale, morfologia, stato di aggregazione/agglomerazione, struttura cristallina, concentrazione e quantità totali, composizione chimica interna e superficiale, carica ed area superficiali (7). Se da un lato la scelta della proprietà di interesse condiziona la scelta della tecnica analitica per la sua determinazione (Tab.2), dall’altro il numero e l’interdipendenza delle proprietà impone l’integrazione di più approcci per ottenere informazioni adeguatamente complete. È altrettanto importante sottolineare che ciascuna tecnica per la caratterizzazione dei nanomateriali presenta limitazioni specifiche, spesso determinate dal modo in cui le componenti della matrice interferiscono con la proprietà misurata. Per questo motivo è a maggior ragione utile, quando possibile, utilizzare due o più tecniche per determinare una singola proprietà, in modo da consolidarne reciprocamente il risultato.

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Queste considerazioni contribuiscono a rendere la caratterizzazione dei nanomateriali in matrici di interesse agroalimentare una frontiera anche per la ricerca, oltre che operativamente complessa e dispendiosa. L’adozione di approcci sperimentali standardizzati e strutturati, ad esempio organizzando le prove su basi gerarchiche e sequenziali, può aiutare sensibilmente ad ottimizzare il processo analitico, e a renderlo più accessibile ad un ambito rutinario.

Molti approcci analitici per la determinazione di nanomateriali in matrici e simulanti alimentari richiedono campioni liquidi, e pertanto un’estrazione preliminare dei nanomateriali dalle matrici solide o semi-solide. Tra queste tecniche, il dynamic light scattering (DLS) fornisce una misura del diametro idrodinamico di una popolazione di nanoparticelle, garantendo una buona precisione in un ampio intervallo dimensionale. Rapido ed economico, ma poco sensibile e inadatto a materiali polidispersi, il DLS è generalmente utilizzato per effettuare screening preliminari. Sulla stessa definizione di dimensione idrodinamica si basano le tecniche per la separazione su base dimensionale di nanoparticelle in sospensione, quali la field flow fractionation (FFF) e la cromatografia
idrodinamica (HDC). Rispetto al DLS, queste tecniche sono potenzialmente più sensibili per le basse concentrazioni e più affidabili per nanomateriali eterogenei e polidispersi, ma richiedono accoppiamento con opportuni rivelatori quali multiangle light scattering (MALS), spettroscopia di assorbimento o fluorescenza, spettrometria di massa o di emissione atomica al plasma accoppiato induttivamente (ICP-MS e ICP-AES, solo per materiali inorganici). Il detector ICP-MS, utilizzato individualmente in modalità single-particle (sp), consente invece di ricavare le dimensioni di nanoparticelle inorganiche come diametro sferico equivalente alla massa. La diffrazione a raggi X (XRD) e la sua derivata small angle X-ray scattering (SAXS) sono altre tecniche ampiamente utilizzate per la caratterizzazione dimensionale di nanomateriali (solamente cristallini nel caso della XRD). La ridotta sensibilità le rende più adatte all’analisi diretta delle materie prime o dei materiali nanocompositi, anziché di campioni alimentari reali, in cui la concentrazione degli analiti è generalmente molto bassa.

Tra le tecniche separative si possono annoverare anche la centrifugal particle sedimentation (CPS) e l’ultracentrifugazione analitica (AUC), che abbinate ad un rivelatore spettrofotometrico forniscono una misura del diametro di sedimentazione di nanoparticelle in sospensione.

Verificare la presenza di un nanomateriale in matrici alimentari, e successivamente determinarne la concentrazione e composizione chimica, è di fondamentale importanza per valutazioni tossicologiche e di ottimizzazione di prodotto/processo. Molte delle tecniche utili a stimare le dimensioni dei nanomateriali consentono anche di ottenere informazioni quantitative, poiché la distribuzione dimensionale si esprime facendo riferimento ad un numero o ad una massa di particelle, o ad un’intensità di segnale. È il caso del DLS e delle tecniche separative, mentre le tecniche di microscopia non sono adatte a valutazioni quantitative. Tra i rivelatori accoppiabili (on-line) o combinabili (off-line) con le tecniche separative, gli strumenti ICP-AES e ancor più ICP-MS offrono la maggiore sensibilità assoluta e precisione nella quantificazione dei nanomateriali inorganici, ricavate misurando la massa degli elementi metallici o semimetallici che li costituiscono. La particle induced X-ray emission (PIXE) e l’ablazione laser (LA)–ICP-MS sono tecniche di imaging particolarmente sensibili per la determinazione di concentrazioni elementari, che in più permettono l’analisi diretta di campioni solidi anche senza particolari preparazioni. Tuttavia, utilizzate da sole sono poco affidabili per campioni reali in quanto non discriminano specie diverse di uno stesso elemento, come ad esempio nanoparticolata e non nanoparticolata. Anche detector basati sulla rifrattometria differenziale (DRI) o sulla spettroscopia UV-vis possono essere accoppiati/combinati con tecniche separative per ottenere dati quantitativi, con sensibilità inferiori alle precedenti, ma offrono il vantaggio di essere applicabili ai nanomateriali sia inorganici che organici.

La composizione chimica di un nanomateriale nella matrice alimentare è un’altra proprietà che consente di verificare la sua corretta identificazione, e di tracciare eventuali trasformazioni nelle matrici alimentari. Tecniche quantitative come ICP-AES/MS e PIXE effettuano misure elemento-specifiche su base spettrale, eventualmente multielementari, e quindi forniscono dati diretti sulla composizione chimica elementare. Tuttavia, con questi rivelatori la certezza di associare univocamente le specie determinate ad un nanomateriale di interesse, senza interferenze della matrice, può essere garantita solo dalla combinazione con una tecnica separativa di provata efficienza per l’applicazione in oggetto.

Diversamente, accoppiando uno spettrometro energy dispersive X-ray (EDS, anche noto come EDX o EDAX) a strumenti di microscopia elettronica a trasmissione (TEM) o scansione (SEM), è possibile ottenere direttamente la composizione elementare (semi-quantitativa) di singoli oggetti nanometrici, anche all’interno di una matrice complessa. L’identificazione di un nanomateriale organico in matrici alimentari è altresì difficile in quanto le sue componenti caratteristiche sono simili a quelle intrinseche della matrice. Per questo motivo, sebbene una grande varietà di tecniche analitiche sia teoricamente utilizzabile per questa determinazione (Tab.2), la loro applicazione spesso non può prescindere da complesse procedure di estrazione e purificazione, risultanti in potenzialmente significative alterazioni degli analiti, e formazione di artefatti analitici.

Sebbene ulteriore ricerca sia necessaria per superare i limiti di molte delle tecniche presentate, le potenzialità analitiche per individuare, caratterizzare e quantificare un nanomateriale in matrici alimentari sono già oggi consistenti. L’approccio ideale deve consentire l’analisi di matrici complesse ed eterogenee, minimizzare la produzione di artefatti derivanti dalla preparazione del campione, e fornire il maggior numero possibile di informazioni mantenendo il minor numero di passaggi operativi. Una strategia di questo tipo può essere realizzata attraverso l’integrazione di più tecniche in grado di produrre dati complementari e reciprocamente confirmatori, organizzate in procedure decisionali che consentano di bilanciare costi e benefici. Lo schema in Figura 1 rappresenta un efficace esempio di tale strategia, finalizzata all’individuazione di un nanomateriale inorganico in matrici alimentari (8).

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La messa a punto di metodiche analitiche e protocolli operativi standardizzati, applicabili quotidianamente e in grado di rispondere alle nuove normative, è un obiettivo su cui le istituzioni nazionali ed europee e i centri di ricerca stanno investendo molte energie. Le calibrazioni inter-laboratorio per la validazione delle metodiche e lo sviluppo di materiali di riferimento sono una parte fondamentale di queste strategie, cui il Laboratorio ECSIN partecipa attivamente nell’ambito di importanti progetti europei come NanoValid, NANoReg e NANoReg (2).

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da L’Integratore Nutrizionale 4 – 2016

Integratori alimentari:

Milano, 23 giugno 2016

Il fatturato del comparto integratori in Italia è di 2,4 miliardi di euro per il canale di vendita delle farmacie, che da solo copre l’85,3% del mercato (dati IMS da aprile 2015 ad aprile 2016). Il fatturato cresce del 6,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La Lombardia è di gran lunga la regione con la maggior quota di mercato: 17,1% rispetto al totale Italia, (pari a 418 milioni di euro), con una crescita del 6,3%.

Integratori Italia (Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari) ha presentato, nello scorso mese di giugno a Milano, un importante passo avanti nella conoscenza del ruolo e delle evidenze scientifiche sull’integrazione alimentare, uno stato dell’arte delle evidenze scientifiche più significative sulle frontiere più promettenti dell’alimentazione e della salute. Un pool di otto tra i maggiori esperti italiani ha realizzato, dopo oltre un anno di lavoro, la prima edizione della Review sull’Integrazione Alimentare che fa chiarezza sia su principi attivi, che sulle diverse esigenze nelle varie fasi della vita. Numerosi e ampi i temi trattati:

– ruolo degli integratori alimentari nei moderni stili di vita

– integratori a base di vitamine e minerali, estratti vegetali e probiotici

– integratori per la salute e la bellezza della donna

– integratori e loro ruolo per la salute cardiovascolare e per contrastare il declino cognitivo

– qualità e sicurezza

La missione di Integratori Italia di AIIPA è quella di Contribuire alla crescita della conoscenza, del corretto utilizzo e della qualità dell’integratore alimentare, per favorire scelte sempre più consapevoli del consumatore e lo sviluppo di questo settore in Italia, ha affermato Alessandro Colombo, Presidente di Integratori Italia, che ha precisato:

“Siamo orgogliosi di aver contribuito a realizzare quest’opera, che certamente non esaurisce un tema così ampio ma che costituisce un passo avanti per fare il punto e contribuire alla conoscenza scientifica sul ruolo degli integratori alimentari nei moderni stili di vita”.

Da diversi anni la ricerca scientifica si è data l’obiettivo di validare il ruolo delle sostanze presenti negli integratori alimentari, nel coadiuvare le funzioni fisiologiche in soggetti sani. Nonostante la difficoltà oggettiva di dimostrare scientificamente un beneficio clinicamente rilevante sul mantenimento dello stato di salute e del benessere, è possibile oggi disporre di un significativo numero di pubblicazioni di alto livello qualitativo che conferma quanto i diversi componenti degli integratori, da vitamine e minerali, a prebiotici e probiotici, ad estratti vegetali sino alle numerose molecole biologicamente attive, derivate dagli organismi animali e vegetali, svolgano effettivamente tale ruolo.

Uno stile di vita sano, costruito su una dieta controllata e varia, un costante esercizio fisico e l’adozione di comportamenti virtuosi per la salute, evitando un eccessivo consumo di alcool e fumo, rappresentano la base irrinunciabile per il mantenimento di questa stessa in ogni fase della vita di persone giovani, adulte o anziane.

Esitono però periodi nei quali il nostro stato di benessere viene messo alla prova, e può essere necessario integrare la propria dieta con elementi concentrati di sostanze che si sono dimostrate utili per affrontare al meglio determinate situazioni. L’uso ormai molto diffuso nel nostro paese di questi alimenti “particolari” che offrono benefici funzionali è diventato una conferma indiretta dei vantaggi che gli integratori offrono per il mantenimento dello stato di benessere dell’individuo.

Una recente ricerca di GfK Eurisko per Integratori Italia sul tema “Il mondo degli integratori alimentari” ha infatti evidenziato non solo che sette Italiani su dieci hanno usato un integratore alimentare, ma anche l’elevato livello di interesse dei consumatori ad avere informazioni sugli integratori: oltre quattro persone su dieci desiderano ricevere consigli e notizie, in particolar modo sui benefici per l’organismo, sui rischi e le controindicazioni, sul corretto utilizzo e sui diversi principi attivi. Su questo fronte, giocano un ruolo fondamentale il medico di medicina generale, che è infatti secondo il 53% degli intervistati interessati a ricevere informazioni sugli integratori, la prima fonte informativa, seguito dai medici specialisti e dal farmacista (citati dal 49% della popolazione); segue, in termini di importanza, il web con il 40% di risposte.

“Per rispondere sempre più e sempre meglio a tali bisogni informativi”, ha concluso Colombo, “abbiamo realizzato questo progetto, che ci auguriamo possa costituire un utile complemento a supporto dell’attività di counselling dei professionisti della salute e un ulteriore stimolo alle accresciute esigenze di informazione da parte di consumatori e media”.

Integratori, moderni stili di vita e alimentazione

“Sebbene l’adozione di uno stile alimentare vario ed equilibrato sia ritenuta sufficiente per garantire i nutrienti necessari, sempre più osservazioni epidemiologiche supportano la necessità di una maggiore attenzione alla copertura del fabbisogno nutrizionale e al sostegno delle funzioni fisiologiche”, ha affermato Franca Marangoni, Responsabile Ricerca Nutrition Foundation of Italy. “Gli integratori possono rappresentare una valida e sicura opportunità per favorire l’assunzione ottimale di una o più sostanze e il sostegno di funzioni fisiologiche, contribuendo anche alla prevenzione di fattori di rischio di malattia. Ad esempio, nel Physicians’ Health Study, uno tra i maggiori studi d’intervento condotti recentemente, su una popolazione di oltre 14000 medici americani di 50 anni o più, seguiti per 11 anni, l’assunzione di un multivitaminico è risultata associata a una riduzione modesta ma significativa, del rischio di tumori, soprattutto tra i soggetti in età più avanzata”.

Per invecchiare bene

Come invecchiare in salute, oggi? Benvenuto Cestaro, Direttore della Scuola di Specialità in Scienza dell’Alimentazione (Università degli Studi di Milano) ha affermato: “Le principali direttrici della ricerca biochimica dell’invecchiamento sono indirizzate nella riduzione dell’infiammazione silente, dei processi perossidativi e nella necessità di mantenere l’efficienza mitocondriale, vero motore della cellula. L’infiammazione silente è il primo mezzo di difesa dell’organismo per inattivare virus, batteri, allergeni ambientali. Si tratta di un processo di bassa intensità ma cronico, che può portare ad un esaurimento del sistema immunitario. Per contrastarlo, è utile una dieta antinfiammatoria, con limitata assunzione di acidi grassi idrogenati, acidi grassi saturi e acidi grassi omega-6 (privilegiando quelli monoinsaturi come l’olio oliva), una ridotta assunzione di zuccheri semplici e un incremento di carboidrati integrali. Utile anche l’integrazione a base di acido linolenico, cardiolipine e/o specifici fosfolipidi precursori delle cardiolipine, che si sta rivelando di estrema utilità a prevenire e riparare i danni mitocondriali”.

Alleati del cervello

A proposito d’invecchiamento e declino cognitivo, Giovanni Scapagnini, Associato di Biochimica Clinica al Dipartimento Scienze per la Salute (Università degli Studi del Molise) ha precisato: “Il cervello è estremamente esposto allo stress ossidativo e di conseguenza invecchia più precocemente; la dieta rappresenta uno tra i fattori più in grado di influenzare il nostro stato di salute e la qualità dell’invecchiamento. Oltre al glucosio, da cui dipendono le funzioni cerebrali, risultano fondamentali per una corretta fisiologia neuronale le vitamine, in particolare del gruppo B, gli omega 3 per la trasmissione dell’impulso nervoso, la memoria e l’apprendimento; i fosfolipidi, alla base della struttura delle membrane cellulari; L-acetil carnitina (LAC), assimilabile anche attraverso il cibo e la supplementazione, per la sua azione neuroprotettiva. Ulteriori sostanze “non nutrienti” che hanno evidenziato capacità di ridurre il danno ossidativo, sostenere il normale tono dell’umore e migliorare le capacità mnemoniche sono le antocianine e le procianidine del mirtillo, le catechine del tè, i flavanoli del cacao, il resveratrolo e la curcumina, le epicatechine del cacao e l’omotaurina, presente in alcune alghe marine”.

Amici del cuore

“Stile di vita corretto e alimentazione equilibrata, con il supporto di un’appropriata supplementazione, sono efficaci anche sul fronte della prevenzione delle malattie, ad esempio di quelle cardiovascolari”, ha sottolineato Andrea Poli, Presidente Nutrition Foundation of Italy. “Le osservazioni epidemiologiche e i grandi studi di intervento hanno documentato l’importanza della gestione del profilo lipidico, principale fattore di rischio per le malattie coronariche. Numerosi integratori alimentari sono dotati di una documentata efficacia su tale parametro: tra questi, particolarmente promettenti sono i fitosteroli, gli integratori a base di riso rosso fermentato, il beta-glucano, la berberina, i grassi polinsaturi della famiglia degli omega 3”.

Per la salute e la bellezza delle donne

“Per quanto riguarda la salute della donna, meno colpita dai problemi cardiovascolari, lo stile di vita oggi però la espone comunque a fattori di rischio importanti, come stress, alimentazione irregolare, scarsa attività fisica e fumo. Molti studi evidenziano una carenza cronica di alcuni elementi come ferro, acido folico, calcio, magnesio e molte vitamine, sia durante il periodo adolescenziale che in età adulta”, ha affermato Vincenzo de Leo, Dipartimento di Medicina Molecolare e dello Sviluppo, Sezione di Ginecologia e Ostetricia (Università degli Studi di Siena). “La ricerca oggi ci sta dando interessanti riscontri da integratori alimentari contenenti specifiche sostanze naturali, come ad esempio la cannella per la dismenorrea, trattamenti a base di vitamina B1 per alleviare i sintomi fisici e psichici della sindrome premestruale, fitoestrogeni di origine vegetale in associazione a calcio, vitamina D, agnocasto, iperico per contrastare i sintomi neurovegetativi della delicata fase della vita legata alla menopausa. Interessanti anche i dati relativi a sostanze come la caffeina, il retinolo, il loto (Nelumbo nucifera), la carnitina per il trattamento della cellulite, problema che inizia solitamente nel periodo dell’adolescenza ed è presente a vari gradi in circa il 90% delle donne”.

Gli Italiani amano i botanicals

Un approfondimento speciale meritano gli integratori a base di erbe, che stanno trovando un largo consenso nella popolazione generale e che sempre più entrano a far parte delle abitudini quotidiane. Patrizia Restani, Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari (Università degli Studi di Milano), ha commentato: “Per inquadrare il mercato degli integratori a base di piante, sono interessanti i risultati del Progetto PlantLIBRA, che ha coinvolto 2400 consumatori in 6 paesi europei, Finlandia, Germania, Italia, Romania, Spagna, UK, e che nel nostro paese ha interessato 4 città: Milano, Venezia, Roma, Catania. Emerge un profilo del consumatore di integratori a base di erbe mediamente colto e con un sano stile di vita; il 71% degli intervistati ha un livello di istruzione medio o alto, il 63% fa attività fisica moderata, il 65% è normopeso, il 48% non fuma. Oltre l’80% dei consumatori ha dichiarato di trarre beneficio dall’uso di integratori a base di erbe, sempre o talvolta. Le piante più amate e richieste dagli Italiani: Aloe, Finocchio, Valeriana, Ginseng, Mirtillo, Passiflora, Melissa, Guaranà, Tarassaco, Carciofo (www.plantlibra.eu)”.

I probiotici al servizio di salute e benessere

Un altro ambito che riveste grande interesse in termini di ricerca e innovazione, nonché di grande richiesta da parte dei consumatori, è quello dei probiotici, definiti da FAO/OMS nel 2001 come “microrganismi vivi e vitali al momento dell’uso, la cui efficacia è legata al consumo di un’adeguata quantità e il cui uso deve portare un beneficio per la salute o il benessere”.

A questo proposito, Lorenzo Morelli, Preside Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali (Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza), ha precisato: “La ricerca di 20 anni ritiene quello dei probiotici un settore in cui investire risorse per l’avanzamento delle conoscenze del rapporto fra salute e batteri, identificando questi ultimi non più nei soli agenti patogeni, bensì come potenziali mezzi per il mantenimento di un buono stato di salute. Tuttavia, pur a fronte dell’imponente quantità di ricerca e sviluppo svolta, allo stato dell’arte l’unico claim ammesso da EFSA è relativo all’azione idrolitica sul lattosio delle colture batteriche usate per produrre lo yogurt”.

Ha quindi proseguito: “Oggi le linee di ricerca ammissibili sui probiotici secondo EFSA sono principalmente focalizzate sulle aree: discomfort gastro-intestinale (adulti affetti da sindrome da colon irritabile, neonati con coliche gassose); difese immunitarie contro agenti patogeni (i probiotici si sono rivelati utili nella riduzione delle infezioni delle vie respiratorie superiori e nell’incidenza delle infezioni da Clostridium difficile) e benefici nella risposta agli allergeni”.

Qualità e sicurezza degli integratori alimentari: Italia capofila d’Europa

Giancarlo Cravotto, Direttore del Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco (Università degli Studi di Torino), ha concluso con un punto fermo che riguarda la sicurezza degli integratori alimentari: “La forza del sistema di sicurezza italiano per alimenti e integratori è diventato un riferimento per molti paesi: la nostra organizzazione è basata su un modello one health dove la visione è unitaria, quindi una sola salute che include tutta la catena alimentare, dal ciclo di vita di vegetali e animali arrivando all’uomo. È un processo pianificato e controllato dai campi alla tavola, attuato sulla base delle direttive e dei Regolamenti UE; la direttiva 2002/46/CE del Parlamento europeo, recepita in Italia con il decreto legislativo n.169 del 21 maggio 2004, l’impegno scientifico e di verifica di EFSA, l’istituzione di riferimento per la valutazione del rischio per la sicurezza di alimenti nell’UE, la legislazione alimentare italiana ed europea, hanno costruito un’architettura di protezione e di garanzie per il consumatore italiano unica; i produttori di integratori alimentari in Italia vantano un elevato standard produttivo ed un efficiente sistema di assicurazione della qualità, che li colloca ai primi posti in Europa. Non dimentichiamo infine che l’Italia è una tra le nazioni tecnologicamente più avanzate per lo sviluppo di protocolli di green extraction selettivi, efficienti e a basso impatto ambientale”.

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da L’Integratore Nutrizionale 3 – 2016

Benessere gastrointestinale

Il termine “salute dell’intestino” è un’espressione sempre più usata nel mondo occidentale (1) e contempla molteplici caratteristiche del tratto gastrointestinale (GI). In termini generali, i cinque principali parametri per definire un intestino in buona salute sono: efficace digestione ed assorbimento dei cibi, assenza di specifiche patologie al tratto GI, presenza di un microbiota normale e stabile, un’efficace sistema immunitario ed uno stato di benessere. L’importanza della salute dell’intestino è sottolineata dalla lunga lista di disturbi che possono interessarlo, quali flatulenza, gonfiore, bruciore di stomaco, nausea, vomito, costipazione, diarrea, intolleranza alimentare, dolori addominali e crampi.

I comportamenti suggeriti al fine di mantenere un corretto stato di salute intestinale comprendono uno stile di vita salutare, una dieta bilanciata e una moderata attività fisica giornaliera. Tuttavia, il rispetto di tali comportamenti può essere piuttosto impegnativo. I nostri ritmi sono sempre più veloci, anche per colpa di telefoni cellulari, e-mail ed internet che, se da un lato ci offrono possibilità nuove, dall’altro rendono difficile consumare un pasto salutare o farsi una passeggiata tranquilla. Queste sfide che il mondo moderno ci propone si traducono in una più alta prevalenza di patologie gastrointestinali funzionali ed organiche nei paesi occidentali.

Le evidenze scientifiche in campo medico non hanno ancora chiarito del tutto come mantenere o ripristinare lo stato di salute del nostro intestino, ma alcune osservazioni di carattere generale suggeriscono che esiste un’ampia varietà di possibili soluzioni utili per supportare il buon funzionamento dell’intestino ed un corretto stato di salute del tratto GI; tra queste per esempio l’impiego di ingredienti naturali che ne possano alleviare i disturbi. Alcuni esempi recenti sono discussi qui di seguito.

Dispepsia funzionale

Con il termine dispepsia viene identificata una serie di sintomi riferibili alla regione gastroduodenale che comunemente affliggono la popolazione adulta. La prevalenza della dispepsia funzionale (FD) varia globalmente tra l’11 e il 29,2% (2).

La FD non è una patologia che mette a repentaglio la vita e non sembra essere associata ad alcun incremento della mortalità. Tuttavia, l’impatto di tale condizione sui diversi soggetti e sulla sanità pubblica è considerevole: il 20% della popolazione europea e del Nord America consulta o il proprio medico di base, o lo specialista ospedaliero per disturbi legati alla dispepsia: più del 50% dei soggetti con dispepsia è sottoposto a trattamento e circa il 30% dei soggetti con FD riferisce di aver perso giorni di scuola o di lavoro a causa dei propri disturbi. I soggetti che non presentano alcuna patologia chiaramente identificabile, sono tenuti in osservazione nel tempo e rassicurati in merito alle loro condizioni. In presenza di sintomi, le terapie sono costituite da inibitori della pompa protonica (PPI), bloccanti H2 o agenti citoprotettivi. Nei soggetti con disturbi della motilità del tratto GI possono essere utilizzati anche farmaci pro-cinetici (per es. metoclopramide, eritromicina) somministrati sotto forma di sospensione liquida. Tuttavia, fino ad oggi non esistono evidenze certe che l’uso di classi specifiche di farmaci per i sintomi particolari (ad esempio reflusso vs dismotilità ) corrisponda ad un’efficace trattamento.

Recentemente, sono stati ottenuti risultati interessanti nel trattamento della FD da parte di una promettente combinazione brevettata di estratti di carciofo e zenzero (AGs). Due studi clinici supportano l’impiego di AGs nella FD e nella promozione di una sana digestione (3,4). In uno studio in doppio cieco randomizzato e controllato verso placebo (3) condotto su 126 soggetti, è stato dimostrato che la somministrazione di AGs prima dei pasti si associava, dopo 14 giorni, ad una riduzione dei sintomi statisticamente significativa rispetto al placebo. È interessante notare che tale efficacia si manteneva fino al 28° giorno dopo l’ultima somministrazione. La differenza percentuale tra il placebo e il gruppo dei trattati si avvicinava al 34%. Questa differenza è ben maggiore del 15% di incremento osservato negli studi precedenti condotti utilizzando prodotti sintetici o naturali. Inoltre, l’86% dei soggetti trattati con AGs riferisce un miglioramento dei sintomi legati alla FD, con una marcata riduzione nel 63% dei soggetti e un miglioramento soprattutto di nausea, sensazione di pienezza, dolore epigastrico e gonfiore.

Un secondo studio clinico cross-over randomizzato, condotto in 11 volontari sani (4), ha mostrato che il consumo di AGs prima di un pasto standard migliora significativamente lo svuotamento gastrico, confermando l’attività pro-cinetica della combinazione dei due estratti selezionati.

Questo è un ottimo esempio di come recuperare estratti vegetali ben noti quali il carciofo e lo zenzero per sviluppare un prodotto nuovo, sulla base di dati clinici che ne dimostrano l’attività (svuotamento gastrico) e l’efficacia (miglioramento della sintomatologia).

Sindrome del colon irritabile (IBS)

L’IBS è una patologia cronica funzionale del tratto GI. I soggetti che ne soffrono riportano dolore addominale e alterazioni delle abitudini dell’alvo, soprattutto con diarrea (IBS-D), stipsi (IBS-C) o entrambi (IBS-M). La diagnosi di IBS si fa solo su base clinica, dato che, ad oggi, non esistono marcatori che permettono di fare una diagnosi inequivocabile. Dati recenti riportano che la prevalenza di IBS è tra il 10 e il 25% (5). La patologia è caratterizzata da disturbi addominali ricorrenti o da dolore associato a due o più dei seguenti sintomi: sollievo dopo la defecazione, cambiamenti nella frequenza di svuotamento dell’alvo (diarrea o stipsi) o alterata consistenza delle feci. L’eziologia non è chiara ma sembra coinvolgere fattori sia psicosociali sia fisiologici. La terapia farmacologica è diretta ad alleviare i sintomi dominanti. Sono utilizzati farmaci anticolinergici per il loro effetto antispastico ma possono essere di beneficio anche i modulatori dei recettori della serotonina. Nei soggetti che presentano diarrea, è consigliata l’assunzione di 2-4 mg di loperamide per via orale prima dei pasti. La dose di loperamide deve essere aggiustata al fine di ottenere una remissione della diarrea senza comparsa di stipsi. In molti soggetti, gli antidepressivi triciclici (TCAs) aiutano a ridurre sintomi della diarrea, dolore addominale e gonfiore.

In questa complessa situazione clinica, gli estratti di Boswellia serrata costituiscono una buona risorsa per il sollievo dai disturbi del tratto GI. La Boswellia ha un’importante storia etnofarmacologica: nei testi tradizionali di medicina Ayurvedica e Unani, la sua resina gommosa trova spazio come rimedio efficace per la diarrea e la dissenteria. Questo uso potenziale è stato confermato in modelli preclinici (6). Recentemente, uno studio in aperto di tipo osservazionale condotto su soggetti con colite in fase di remissione, ha dimostrato un effetto significativamente benefico di Boswellia serrata Phytosome® su tutti i parametri analizzati, quali il dolore intestinale diffuso, la presenza evidente od occulta di sangue nelle feci, la peristalsi intestinale e i crampi, le feci liquide, il malessere, l’anemia, il coinvolgimento del retto e il numero di globuli bianchi, così come la necessità di effettuare un trattamento farmacologico o di ricevere cure mediche. Questi risultati rappresentano il punto di partenza per disegnare un secondo studio clinico specifico per i soggetti con IBS.

Cosa riserva il futuro?

Tra i disordini funzionali gastrointestinali (FGID) sono compresi svariati disturbi, fra loro diversi, che riguardano differenti porzioni del tratto GI e che coinvolgono l’ipersensibilità viscerale e la motilità intestinale. Pertanto, oltre a FD e IBS, anche altri disturbi possono essere identificati e trattati con ingredienti vegetali. Due entità funzionali sono fondamentali per il raggiungimento e il mantenimento di una buona salute intestinale, il microbiota GI e la barriera GI che consiste nella difesa da parte dell’epitelio (il sistema immunitario legato alle mucose) e nelle funzioni metaboliche (sistema nervoso enterico). La profonda comprensione delle interazioni positive tra molecole di origine vegetale, microbiota e barriera GI potrà portare ad un nuovo sfruttamento delle biodiversità vegetali. Queste ultime considerazioni sono oggetto di studi attuali e porteranno presto a nuovi ed interessanti risultati.

Bibliografia
1 Bischoff SC (2011) “Gut health”: a new objective in medicine? BMC Med 9:24-37
2 Mahadeva S, Goh KL (2006) Epidemiology of functional dyspepsia: a global perspective. World J Gastroenterol 12:2661-2666
3 Giacosa A, Guido D, Grassi M et al (2015) The effect of ginger (Zingiber officinalis) and artichoke (Cynara cardunculus) extract supplementation on functional dyspepsia: a randomized double-blind and placebo-controlled clinical trial. Evid Based Complement Alternat Med 915087
4 Lazzini S, Polinelli W, Riva A, Morazzoni P et al (2016) The effect of ginger (Zingiber officinalis) and artichoke (Cynara cardunculus) extract supplementation on gastric motility: a pilot randomized study in healthy volunteers. Eur Rev Med Pharmacol Sci 20:146-149
5 Canavan C, West J, Card T (2014) The epidemiology of irritable bowel syndrome. Clin Epidemiol 6:71-80
6 Borrelli F, Capasso F, Capasso R et al (2006) Effect of Boswellia serrata on intestinal motility in rodents: inhibition of diarrhoea without constipation. Br J Pharmacol 148:553-560

da L’Integratore Nutrizionale 3 – 2016

Dichiarazione Nutrizionale

Con l’emanazione del Reg.(UE) n.1169/2011 (1), il legislatore persegue l’obiettivo di fornire ai consumatori, compresi quelli che devono seguire un regime alimentare speciale (2), le basi per effettuare delle scelte consapevoli assicurando nel contempo una facile comprensione delle informazioni presentate. In questo contesto si inseriscono le disposizioni normative che disciplinano la dichiarazione nutrizionale che, con la pubblicazione di questo atto normativo, ha subito una revisione sostanziale nelle modalità di presentazione rispetto a quanto previsto dalla normativa previgente. L’argomento si è dimostrato da subito complesso e, per alcuni aspetti, ancora in via di definizione; la Commissione infatti, da un lato mantiene la possibilità di disciplinare certi ambiti mediante la pubblicazione di atti delegati, dall’altro si propone di facilitare e organizzare lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, se stessa e le parti interessate su specifici argomenti oggetto del regolamento e di emanare una serie di linee guida interpretative per poter rispondere ai dubbi degli operatori del settore. La definizione di dichiarazione nutrizionale (o etichettatura nutrizionale) si ritrova nell’allegato I del Reg.(UE) n.1169/2011 (di seguito “regolamento” o “regolamento FIC”) e dalla sua lettura emerge chiaramente come non si debba confondere con quella di “indicazione nutrizionale” rubricata nel Reg.(CE) n.1924/2006.

Entrata in vigore

L’articolo 9 del regolamento inserisce la dichiarazione nutrizionale tra le indicazioni obbligatorie da riportare negli alimenti, salvo alcune eccezioni. Tale disposizione diverrà applicabile a decorrere dal 13 dicembre 2016; gli alimenti immessi sul mercato o etichettati prima di tale data, e che non soddisfano i requisiti previsti dall’articolo 9, paragrafo 1, lettera l (obbligo della dichiarazione nutrizionale), possono essere commercializzati fino all’esaurimento delle scorte. Nei casi in cui la dichiarazione nutrizionale venga fornita su base volontaria deve rispondere ai requisiti previsti dagli articoli da 30 a 35 del regolamento.

Campo di applicazione ed esclusioni

A norma dell’articolo 29 del regolamento, le disposizioni normative inerenti la dichiarazione nutrizionale non vengono applicate agli alimenti che sono disciplinati dalla Dir.2002/46/CE relativa agli integratori alimentari e dalla Dir.2009/46/CE relativa alle acque naturali. Inoltre si applicano fatto salvo il Reg.(UE) n.609/2013 relativo agli alimenti destinati ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia, agli alimenti a fini medici speciali e ai sostituti dell’intera razione alimentare giornaliera per il controllo del peso; ciò significa che, laddove norme verticali (specifiche) intervengano a disciplinare queste categorie di alimenti, esse prevarranno sulle disposizioni (orizzontali) previste dal regolamento FIC. Inoltre, per evitare oneri eccessivi agli operatori del settore alimentare il legislatore ha ritenuto opportuno esonerare alcune categorie di alimenti dall’obbligo di riportare la dichiarazione nutrizionale obbligatoria, laddove in particolare si tratti di prodotti non trasformati, prodotti per i quali le informazioni nutrizionali non siano un fattore determinante per la decisione di acquisto dei consumatori e infine prodotti la cui confezione è troppo piccola, a meno che tale obbligo non sia previsto da altre norme specifiche. Gli alimenti ai quali non si applica l’obbligo della dichiarazione nutrizionale sono elencati nell’allegato V del regolamento. Nelle Questions & Answers (Q&A) pubblicate a giugno 2014 (3) la Commissione ha meglio precisato, con esempi, le categorie di alimenti che possono oppure non possono essere esentate da questo obbligo. Infine, il vigente quadro normativo mantiene inalterata la necessità di riportare una dichiarazione nutrizionale qualora in etichetta sia presente un claim nutrizionale ai sensi del Reg.(CE) n.1924/2006.

Modalità di presentazione

Il regolamento fissa anche in modo ben preciso le modalità con cui devono essere presentati i dati nella dichiarazione nutrizionale. Innanzitutto è obbligatorio riportare le seguenti indicazioni: il valore energetico (energia) da esprimere in kJ e in kcal, le quantità di grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale.

Tali informazioni possono essere integrate, se del caso, con l’indicazione delle quantità di uno o più dei seguenti elementi: acidi grassi monoinsaturi, acidi grassi polinsaturi, polioli, amido, fibre, i sali minerali e le vitamine elencati all’allegato XIII (parte A punto 1) e presenti in quantità significativa. Di norma, per decidere cosa costituisce una quantità significativa dovrebbero essere presi in considerazione i seguenti valori: il 15% dei valori nutritivi di riferimento specificati al punto 1 dell’allegato per 100 g o
100 ml nel caso di prodotti diversi dalle bevande; il 7,5% di detti valori nel caso delle bevande, oppure il 15% dei valori di riferimento specificati per porzione se l’imballaggio contiene una sola porzione.

Nei casi in cui il contenuto di sale sia dovuto esclusivamente al sodio naturalmente presente nell’alimento, come ad esempio nel latte, è possibile riportare tale dicitura immediatamente accanto alla dichiarazione nutrizionale.

I dati devono figurare nello stesso campo visivo, in un formato chiaro e seguendo l’ordine di elencazione dei nutrienti stabilito nell’allegato XV del regolamento. Eventuali nutrienti non contemplati nell’allegato devono essere dichiarati nelle immediate vicinanze della tabella, ma non possono essere inclusi nella dichiarazione, che pertanto si presenta con un formato “chiuso”, ossia non modificabile rispetto a quanto indicato nel regolamento.

In caso lo spazio a disposizione non sia sufficiente per inserire il formato tabulare è possibile riportare la dichiarazione in formato lineare. I dati vanno espressi per 100 g o per 100 ml utilizzando le unità di misura indicate nell’allegato XV. Qualora siano presenti vitamine e minerali devono essere espressi anche quali percentuali dei rispettivi valori nutritivi di riferimento (VNR) fissati nell’allegato XIII A. In aggiunta, è possibile riportare i dati relativi agli altri nutrienti esprimendoli in percentuale rispetto alle assunzioni di riferimento (AR) fissate nell’allegato XIII B, in questo caso però, nelle immediate vicinanze della dichiarazione dovrà figurare la dicitura “assunzioni di riferimento di un adulto medio (8400 kJ/2000 kcal)”. Se per un determinato nutriente, ad esempio le fibre, il consumo di riferimento non è elencato nell’allegato, non sarà possibile riportare il rispettivo valore percentuale.

Si può quindi notare che, a differenza di quanto previsto dalla normativa previgente, le RDA (Recommended Daily Allowances) sono state sostituite dai VNR, inoltre non è più possibile fare riferimento in etichetta ai valori giornalieri di riferimento o GDA (Guideline Daily Amounts) poiché, secondo un parere espresso nel documento Q&A della Commissione (4), a questi ultimi verrebbe attribui- to un significato che, a differenza delle AR, sottintende un consiglio nutrizionale esprimendo un valore riferito al consumo giornaliero. In ogni caso, qualora si utilizzino gli acronimi VNR e AR è necessario prevedere l’inserimento di una frase che ne spieghi il significato al consumatore.

Quando l’etichettatura di un alimento preimballato contiene la dichiarazione nutrizionale obbligatoria, è consentito ripetere alcune informazioni, nel campo visivo principale, in modo tale da permettere ai consumatori di vedere facilmente le informazioni nutrizionali salienti al momento dell’acquisto degli alimenti. Tuttavia al fine di non confondere il consumatore è possibile ripetere o il solo valore energetico, oppure il valore energetico accompagnato dalla quantità di grassi, acidi grassi saturi, zuccheri e sale.

I dati possono essere espressi anche per porzione e/o per unità di consumo, purché essa sia facilmente riconoscibile dal consumatore e a condizione che sia indicato il numero di porzioni o unità contenute nell’imballaggio.

Ad oggi non esiste un riferimento armonizzato e condiviso che indichi per ciascuna categoria di alimenti l’esatta quantità che costituisce la porzione. In genere l’unità di consumo deve essere facilmente riconoscibile dal consumatore e si definisce come un’unità che può essere consumata individualmente; pertanto un’unità di consumo non corrisponde necessariamente ad una porzione. Per una tavoletta di cioccolata, ad esempio, l’unità di consumo potrebbe essere un quadrato, mentre una porzione ne può comprendere più di uno (4).

Il valore energetico e le quantità di sostanze nutritive di cui all’articolo 30, paragrafi da 1 a 5, si riferiscono all’alimento così com’è venduto. Se del caso, tali informazioni possono riguardare l’alimento dopo la preparazione, a condizione che le modalità di preparazione siano descritte in modo sufficientemente particolareggiato e le informazioni riguardino l’alimento pronto per il consumo. Tuttavia, qualora in etichetta siano riportate delle indicazioni nutrizionali e sulla salute, è bene notare che, ai sensi del Reg. (CE) n.1924/2006 (articolo 5 punto 3), esse si riferiscono agli alimenti pronti per essere consumati secondo le istruzioni del fabbricante.

Nei casi in cui il valore energetico o la quantità di sostanze nutritive di un prodotto sia trascurabile, le informazioni relative a questi elementi possono essere sostituite da una dicitura del tipo: “può contenere quantità trascurabili di …” riportata immediatamente accanto alla dichiarazione nutrizionale.

Il regolamento prevede poi disposizioni specifiche per le bevande alcoliche e gli alimenti non preimballati.

Tuttavia ci sono anche degli altri casi che, pur non esplicitamente citati nel regolamento, andrebbero tenuti in considerazione. Ad esempio, gli integratori alimentari rivolti a chi pratica attività sportiva, nei quali la dichiarazione nutrizionale potrebbe esercitare un ruolo utile per orientare correttamente la scelta dei consumatori, dal momento che per la loro composizione questi prodotti non hanno un apporto energetico e nutritivo ininfluente nella dieta (5); oppure gli alimenti destinati ad un’alimentazione particolare tra cui si annoverano, tra gli altri, i prodotti destinati ai bambini nella prima infanzia e gli alimenti a fini medici speciali. Nel primo caso, ad esempio, nella stesura della dichiarazione nutrizionale andranno tenuti in considerazione i valori di riferimento rubricati nelle norme specifiche mentre, nel secondo, andrà vagliata la destinazione d’uso del prodotto. Sovente infatti il medico, per poter prescrivere adeguatamente l’alimento, necessita di avere a disposizione dati quali il contenuto di sodio o di proteine equivalenti che pertanto, sulla base di preventive valutazioni caso per caso, potranno essere riportati al di fuori della dichiarazione nutrizionale, a condizione che le informazioni fornite siano veritiere, dimostrabili e non inducano in errore il consumatore.

Calcolo

I valori dichiarati sono valori medi stabiliti, a seconda dei casi, sulla base:

– dell’analisi dell’alimento effettuata dal fabbricante,

– del calcolo effettuato a partire dai valori medi noti o effettivi relativi agli ingredienti utilizzati; oppure

– del calcolo effettuato a partire da dati generalmente stabiliti ed accettati.

A tale scopo può tornare utile la consultazione delle schede tecniche delle materie prime, di banche dati riconosciute (quali ad esempio: INRAN, CIQUAL, USDA) o l’impiego di software dedicati. La norma prevede che i valori indicati nella dichiarazione nutrizionale siano i “valori medi” così come definiti nell’allegato I del regolamento, ossia: i valori che rappresentano meglio la quantità di una sostanza nutritiva contenuta in un alimento dato e che tiene conto delle tolleranze dovute alle variazioni stagionali, alle abitudini di consumo e agli altri fattori che possono influenzare il valore effettivo.

I dati dichiarati scaturiscono quindi da una serie di valutazioni che ciascun operatore deve compiere e di cui è responsabile. Procedere ad un periodico monitoraggio dei valori nutrizionali sulla base del quale definire una propria banca dati aziendale potrebbe quindi essere utile per valutare l’incidenza delle fluttuazioni dovute anche alla stagionalità degli ingredienti utilizzati.

La norma prevede che il valore energetico sia determinato utilizzando i coefficienti di conversione elencati nell’allegato XIV. Tra le voci rilevanti ai fini del calcolo dell’energia, ne troviamo alcune la cui dichiarazione è facoltativa o non prevista quali ad esempio le fibre, i polioli, il salatrim, l’alcol (etanolo) e gli acidi organici che, qualora presenti nella formulazione, devono essere comunque considerati al fine del calcolo. In questo contesto si inseriscono anche le definizioni riportate nell’allegato I leggendo le quali appare evidente come, ad esempio, qualsiasi composto azotato (amminoacidi, polivinilpirrolidone, ecc.) concorrerà al computo delle proteine totali così come qualsiasi fonte di sodio, una volta moltiplicata per il fattore 2,5, verrà tradotta in sale. È quindi molto importante sia una valutazione accurata delle metodiche analitiche da impiegare in funzione della composizione teorica del prodotto, sia un’interpretazione critica dei risultati in quanto, ad esempio, l’adozione di una metodica analitica non appropriata potrebbe portare ad annoverare gli acidi grassi a corta catena tra i carboidrati che vengono determinati per differenza e non tra i grassi. Generalmente ci si deve rivolgere a laboratori accreditati che adottino metodi validati ed ufficialmente riconosciuti. Anche in questo caso è possibile fare riferimento alle linee guida della Commissione, dove disponibili, come ad esempio quelle pubblicate nel dicembre 2012 relative ai metodi di analisi delle fibre come orientamento per le autorità di controllo e gli OSA (6). Indipendentemente dal metodo adottato per compilare la dichiarazione nutrizionale, gli Operatori del Settore Alimentare (OSA) devono agire in buona fede per assicurare quanto più possibile l’esattezza dei dati; inoltre è opportuno che conservino la documentazione che ha portato ad effettuare determinate scelte dal momento che, in caso di controlli, l’autorità potrebbe richiedere ai fabbricanti di giustificare il motivo di eventuali discrepanze tra dato analitico e dato dichiarato e di fornire precisazioni a riguardo.

Tolleranze

A causa di variazioni naturali e/o legate alla produzione e allo stoccaggio degli alimenti, il contenuto delle sostanze nutritive può subire delle variazioni rispetto a quanto indicato in etichetta ma queste variazioni non devono essere tali da indurre in errore il consumatore. Per tale ragione nel dicembre 2012 la Commissione ha emanato una linea guida (7) che, pur non avendo valore giuridico, è volta a fornire alle autorità di controllo degli stati membri e agli operatori del settore alimentare orientamenti in materia di tolleranze applicabili ai fini dell’etichettatura nutrizionale.

Per tolleranze si intendono le differenze accettabili tra i valori nutritivi dichiarati nell’etichetta e quelli constatati nei controlli ufficiali. Il valore misurato deve collocarsi entro le tolleranze applicabili al valore dichiarato durante l’intero periodo di conservabilità.

D’altro canto i valori dichiarati devono avvicinarsi ai valori medi stabiliti per più partite di alimenti e non devono collocarsi agli estremi di una determinata fascia di tolleranza. Il contenuto delle linee guida è continuamente riveduto e aggiornato per tenere conto dell’esperienza acquisita dalle autorità competenti o delle nuove conoscenze. La linea guida distingue tra:

– tolleranze applicabili alla dichiarazione nutrizionale per alimenti diversi dagli integratori alimentari

– tolleranze applicabili alle vitamine e ai minerali presenti negli integratori alimentari

– tolleranze per il controllo della conformità delle quantità di sostanze nutritive e di altre sostanze con le quantità stabilite dal Reg.(CE) n.1924/2006 e per il controllo delle quantità di vitamine e minerali aggiunti agli alimenti conformemente al regolamento (CE) n.1925/2006.

Inoltre, in Italia, è possibile fare riferimento alla Circolare 30 ottobre 2002, n.7 che fissa i limiti di accettabilità dei tenori nutrizionali dichiarati in etichetta per i prodotti disciplinati dal D.Lgs. 27 gennaio 1992, n.111 (ex prodotti dietetici) (8). Per tutte le sostanze per le quali non è definita una tolleranza, generalmente si applica il limite analitico del metodo utilizzato.

Arrotondamenti

La Commissione ha pubblicato anche delle linee guida sugli arrotondamenti dei valori nutrizionali, in quanto questi rappresentano dei fattori in grado di influenzare la fissazione delle tolleranze. Obiettivo della Commissione è quello di evitare un livello di precisione dei dati non veritiero e di definire cosa si può considerare come una “quantità trascurabile”. Gli arrotondamenti si applicano solo in un momento successivo alla determinazione del calcolo dei nutrienti.

Requisiti linguistici e dimensioni dei caratteri

La dichiarazione nutrizionale va riportata nella lingua o nelle lingue ufficiali del paese in cui viene commercializzato il prodotto. Qualora l’alimento venga commercializzato in più paesi, le informazioni andranno tradotte in tutte le lingue. Per i prodotti destinati alla vendita in più paesi non è possibile riportare la dichiarazione nutrizionale, sia nel formato previsto dal regolamento, sia in un formato diverso, come ad esempio quello previsto per gli Stati Uniti o per il Canada. Inoltre, come per tutte le indicazioni obbligatorie, anche alla dichiarazione nutrizionale si applicano le disposizioni previste dall’articolo 13 del regolamento volte ad assicurare chiara leggibilità. Tali dimensioni devono essere rispettate anche per le informazioni nutrizionali ripetute su base volontaria.

Espressioni grafiche supplementari

Il regolamento apre la strada alla possibilità di utilizzare delle forme di espressione e presentazione supplementari, purché siano rispettati i requisiti previsti dall’articolo 35. Il più comune di questi è rappresentato dal Traffic Light inglese. In merito a queste modalità di presentazione aggiuntive, la Commissione presenterà una relazione entro il 13 dicembre 2017 e potrà adottare degli atti di esecuzione per disciplinare e armonizzare la materia.

Quadro sanzionatorio

In assenza di uno specifico quadro sanzionatorio per le violazioni alle disposizioni previste dal regolamento, è necessario procedere effettuando delle valutazioni caso per caso. Per quanto riguarda le sanzioni amministrative relative all’etichettatura, è bene tenere in considerazione che fintanto che la normativa nazionale, il D.Lgs. n.109/92 (9), non verrà modificata o abrogata, rimane in vigore per quelle parti che non trovano riscontro nel regolamento come per l’appunto il regime sanzionatorio. Il Ministero dello Sviluppo Economico, con una propria circolare, ha provveduto ad effettuare una concordanza tra le disposizioni del regolamento e quelle del succitato decreto legislativo (10); risultano quindi sanzionabili tutte le previsioni riportate nel regolamento che erano già previste nel decreto legislativo, qualora non sia mutato il relativo precetto in ogni suo aspetto oggettivo e soggettivo. Tuttavia, un’informazione nutrizionale non corretta potrebbe ricadere nell’ambito di applicazione di molteplici norme (11). Ad esempio, laddove il fatto non costituisca più grave reato, potrebbe essere oggetto delle disposizioni normative sancite dal codice del consumo, per quanto riguarda le pratiche commerciali sleali, e dal codice di autodisciplina pubblicitaria. L’AGCM (Autorità Garante per la Concorrenza sul Mercato) ad esempio, potrebbe risultare competente in materia, qualora le informazioni nutrizionali dichiarate fossero a sostegno di un’indicazione nutrizionale ai sensi del Reg. (CE) 1924/2006.

Uso di nanomateriali in nutraceutica

Nanotecnologie e integratori alimentari

L’uso di nanotecnologie nel campo degli integratori alimentari, ivi compresi i nanomateriali, è iniziato qualche tempo fa, soprattutto negli Stati Uniti d’America, grazie a normative e procedure di autorizzazione meno restrittive rispetto all’Unione Europea.

Nel 1994, negli USA è stata introdotta una normativa sui New Dietary Ingredient, che ha tolto alla FDA la possibilità di impedire la commercializzazione di integratori alimentari, riducendo di molto il numero di casi in cui l’Impresa è obbligata a produrre una notifica che includa informazioni sulla sicurezza dello specifico nuovo ingrediente. Le aziende, pertanto, possono immettere sul mercato il prodotto nutraceutico senza l’autorizzazione da parte della FDA, assumendosi la responsabilità della sicurezza del prodotto stesso. Secondo l’approccio statunitense, i nanomateriali sono considerati al pari delle altre sostanze e vengono valutati nello stesso modo. Al contrario, a livello europeo si applica un approccio precauzionale da parte del legislatore, e l’utilizzo di nanotecnologie negli alimenti è oggetto di particolare attenzione.

Per quanto riguarda l’Unione Europea, l’utilizzo inconsapevole di ingredienti alimentari autorizzati rispondenti alla definizione di nanomateriale secondo la Raccomandazione della Commissione Europea, così come l’applicazione volontaria di ingredienti in nanoforma al fine di aumentare biodisponibilità ed efficacia di principi attivi, ha reso necessaria l’adozione di norme atte a tutelare la salute del consumatore. Recentemente (novembre 2015) è stato pubblicato nella gazzetta ufficiale dell’Unione Europea il Regolamento (UE) 2283/2015 (1), che sostituisce il Regolamento (CE) 258/97 (2) sui nuovi alimenti e corregge il Regolamento (UE) 1169/2011 (3) abolendo il Regolamento (CE) 1852/2001 (4).

L’approvazione del nuovo regolamento Novel Foods è stata accolta con enfasi dai mezzi di informazione, sia per l’interesse dei consumatori verso “nuovi” alimenti, fra cui insetti, alghe, ma anche nanomateriali, sia per i possibili impatti per tutte quelle aziende intenzionate a sviluppare innovazione, utilizzando nanomateriali per lo sviluppo di nuovi ingredienti e formulazioni (5).

Prima di analizzare il quadro normativo sull’utilizzo di nanomateriali negli integratori alimentari, e di valutare gli impatti sulle aziende dell’entrata in vigore del Regolamento (UE) 2283/2015 lo scorso 31 dicembre 2015, è bene descrivere brevemente il quadro attuale delle normative riguardanti gli integratori alimentari.

Quadro normativo degli integratori alimentari

Gli integratori alimentari sono considerati a tutti gli effetti alimenti, e quindi tutte le normative generiche, nazionali ed europee, che fanno riferimento agli alimenti si applicano anche agli integratori alimentari.

La normativa di base che direttamente riguarda gli integratori alimentari include le seguenti norme:

i la Direttiva Europea 2002/46/CE, per il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative agli integratori alimentari, che è poi stata recepita a livello nazionale con il Decreto legislativo 21 maggio 2004, n.169;

ii il Decreto legislativo 169/2004, aggiornato con il DM 9 luglio 2012, che regolamenta a livello nazionale l’impiego negli integratori alimentari di sostanze e preparati vegetali (cosiddetti botanicals);

iii il Regolamento CE 1170/2009, che modifica la direttiva 2002/46/CE, e stabilisce una lista comunitaria di vitamine e minerali (e loro condizioni d’uso) che possono essere aggiunti agli alimenti, inclusi gli integratori alimentari.

Il DL 169/2004 stabilisce le procedure di autorizzazione per la messa in commercio di integratori alimentari, e permette l’utilizzo delle sole sostanze incluse nella lista positiva definita dal Regolamento (UE) 1170/2009, e dei botanicals elencati nel DM 9 luglio 2012. Nessuna di queste normative tratta esplicitamente i nanomateriali o la forma con cui un ingrediente è utilizzato, vincolando l’utilizzo di nanomateriali negli integratori a disposizioni e valutazioni delle autorità competenti nazionali. Il regolamento (UE) 1169/2011 relativo alle modalità di etichettatura di alimenti (inclusi gli ingredienti degli integratori alimentari) è importante per la commercializzazione di integratori alimentari innovativi basati su nanotecnologie. Nel Regolamento (UE) 1169/2011 sono esplicitamente previsti i nanomateriali, e ne è inclusa una definizione, benché diversa da quella della Raccomandazione della Commissione (6).

Regolamento 

Novel Foods

Il Ministero della Salute riporta che una sostanza, per poter essere usata in un integratore alimentare, deve aver fatto registrare in ambito UE un pregresso – cioè prima del 1997 – consumo significativo come prova di sicurezza. Se questo non è il caso, prima di poter usare l’ingrediente nell’integratore alimentare si deve ottenere l’autorizzazione dello stesso come nuovo alimento, secondo la normativa europea. Un nuovo alimento è, in generale, un alimento non consumato in modo significativo nell’Unione Europea prima del 15 maggio 1997, data di entrata in vigore del Regolamento (CE) 258/97. Anche alimenti prodotti con tecnologie non utilizzate prima del 1997, e che ne alterino in modo significativo metabolismo, valore nutritivo, e/o tenore di sostanze indesiderabili, sono da considerare nuovi alimenti.

Alla luce di questa predisposizione si evince l’importanza del Regolamento Novel Foods per aziende proiettate verso l’innovazione di ingredienti e formulazioni. La procedura di revisione di tale Regolamento è iniziata nel dicembre 2013, a seguito della proposta della Commissione di chiarire la definizione di nuovo alimento, con riferimento alle nuove tecnologie (sviluppate dal 1997 ad oggi) e ad una procedura di autorizzazione semplificata. Ad oggi la procedura di autorizzazione è regolata a livello di Stato Membro, e non è necessariamente valida a livello dell’Unione. Nell’80% dei casi, infatti, EFSA è costretta ad intervenire per definire la sicurezza di nuovi alimenti nelle contese fra Stati Membri. Infine, il processo di autorizzazione attualmente può durare anche anni (in media 3 anni), e costare fino a 1 milione di euro, a seconda del tipo e della qualità delle informazioni scientifiche richieste (7).

Il Regolamento (UE) 2283/2015, che entrerà definitivamente in vigore il 1 gennaio 2018, ovvia a questi problemi modificando la definizione di nuovo alimento, aggiornando la lista di alimenti considerati nuovi alimenti, e includendo in modo esplicito i nanomateriali ingegnerizzati. La procedura di autorizzazione viene centralizzata a livello di Unione Europea, riducendo i tempi necessari attorno a 18 mesi. Il Regolamento semplifica anche la procedura di autorizzazione alla commercializzazione di prodotti alimentari tradizionali da Paesi terzi. La valutazione della sicurezza di nuovi alimenti che possono, secondo la Commissione, porre problemi di salute, viene affidata ad EFSA. Viene stabilita una lista dell’Unione, che include nuovi alimenti autorizzati, con un periodo di embargo di 5 anni, durante il quale nuovi dati scientifici utilizzati per la richiesta di autorizzazione da parte di un richiedente non possono essere citati da altri applicanti.

Il Regolamento Novel Foods considera esplicitamente i nanomateriali ingegnerizzati; inoltre, nel consideranda 8 viene indicato che cibo sottoforma di micelle o liposomi potrebbe essere considerato Novel Food. Vitamine, minerali, e altre sostanze, se considerate nanomateriali ingegnerizzati secondo il nuovo regolamento, vanno considerate Novel Food, e la loro sicurezza va rivalutata secondo il Regolamento e la rispettiva normativa (consideranda 12).

Cosa è considerato nanomateriale ingegnerizzato? Nel Regolamento Novel Food la definizione è trasferita dal Regolamento (UE) 1169/2011, e recita: qualunque materiale prodotto intenzionalmente caratterizzato da una o più dimensioni dell’ordine di 100 nm o inferiori, o che è composto di parti funzionali distinte, interne o in superficie, molte delle quali presentano una o più dimensioni dell’ordine di 100 nm o inferiori, compresi strutture, agglomerati o aggregati che possono avere dimensioni superiori all’ordine di 100 nm, ma che presentano proprietà caratteristiche della scala nanometrica.

Le proprietà caratteristiche della scala nanometrica comprendono:

i le proprietà connesse all’elevata superficie specifica dei materiali considerati; e/o

ii le specifiche proprietà fisico-chimiche che differiscono da quelle dello stesso materiale non in forma nano.

Se valutiamo questa definizione alla luce dell’applicabilità ai fini regolatori, prendendo in considerazione la Raccomandazione della Commissione del 18 ottobre 2011 sulla definizione di nanomateriale (8), ed il lavoro condotto dal JRC per la prevista revisione della Raccomandazione, possono essere individuati alcuni aspetti critici:

1. Qualunque materiale: il termine “materiale” ha un significato più ampio rispetto al termine “particella” contenuto nella Raccomandazione. La definizione si applica quindi ad una varietà maggiore di nanomateriali, includendo anche particelle soft, come possono essere micelle e liposomi. Inoltre, come riportato nel testo che è composto di parti funzionali distinte, interne o in superficie, si considerano anche materiali nanostrutturati, quindi con dimensioni esterne maggiori di 100 nm. Tra l’altro, non è chiaro cosa si intenda per “parte funzionale distinta”.

2. Prodotto intenzionalmente: l’interpretazione del termine “intenzionalmente” non è univoca. Al momento, per intenzionalmente si intende che sia stato intenzionalmente prodotto in forma nanometrica, quindi di fatto escludendo i cosiddetti nanomateriali non intenzionali quali ad esempio minerali in uso da molti anni, e “scoperti” essere nanomateriali solo recentemente (9). Un’altra interpretazione del termine viene dall’atto delegato SANCO/11478/2014 (10), nel quale si indica che “intenzionalmente” fa riferimento ad uno specifico scopo, e non alla nanoforma. Interpretando la definizione di nuovo alimento nel Regolamento, sembra che dal 1 gennaio 2018 sarà necessario considerare vitamine, minerali e altre sostanze, anche se prodotte in forma nano non intenzionalmente, come nanomateriali, e quindi Novel Food.

3. Che presentano proprietà caratteristiche della scala nanometrica: questa parte della definizione si riferisce ad aggregati, agglomerati, e strutture, anche con dimensioni maggiori a 100 nm, ma con proprietà fisico-chimiche assimilabili alla forma nano. Tuttavia è di difficile applicazione: non si definisce quali siano queste specifiche proprietà, e inoltre si fa riferimento a generiche proprietà diverse da quelle del materiale in forma non-nano. Anche assumendo che si potrebbe valutare come criterio per definire questa differenza nelle proprietà chimico-fisiche delle “modifiche significative nel metabolismo, valore nutritivo, e tenore di sostanze indesiderabili”, non è definito cosa sia da considerare “significativo” in questo contesto.

La mancanza di una soglia percentuale atta ad identificare una sostanza come nanomateriale rende difficile l’applicabilità della definizione. Sostanze per uso industriale non sono quasi mai omogenee dal punto di vista della distribuzione dimensionale, ma spesso si identifica una frazione con dimensioni inferiori a 100 nm. La mancanza di un valore soglia comporta di fatto che anche la presenza di una minima frazione di sostanza in forma nanometrica, o una minima parte del materiale nanostrutturata, contribuisca a far classificare la sostanza come nanomateriale ingegnerizzato.

Questa ambiguità nella definizione comporterà un crescente numero di richieste di verifica alle autorità competenti degli Stati Membri ed alla Commissione (procedura prevista dall’articolo 4 del Regolamento 2283/2015) al fine di valutare se l’alimento può considerarsi nanomateriale, e quindi Novel Food. La Commissione inoltre potrà decidere attraverso un atto delegato, per sua iniziativa o su richiesta di uno Stato Membro, cosa è da considerare Novel Food.

Parallelamente alla classificazione di una sostanza come nanomateriale c’è la valutazione della sicurezza dell’alimento da parte dell’EFSA. Il Regolamento prevede che EFSA consideri, nell’analisi di rischio di un nanomateriale, che i metodi utilizzati per testare la sicurezza della sostanza siano “allo stato dell’arte”, senza indicare effettivamente quale sia il significato di questa espressione. Inoltre, è sottolineato nel Regolamento che per i nanomateriali (e solo per i nanomateriali), la scelta dei test deve essere giustificata, riportando eventuali adattamenti e modifiche considerate. Lo sviluppo di test adatti e validati per testare nanomateriali è in corso in diversi progetti di ricerca e iniziative internazionali.

Tuttavia il processo di validazione è lungo, e l’accettazione da parte dei decisori di un determinato test dipende molto dalla sua robustezza e affidabilità. Quindi al momento, cosa sia allo “stato dell’arte” è poco chiaro, e la scelta dei test da parte delle aziende può essere contestata, rendendo il processo di autorizzazione più lungo. Le piccole-medie imprese non hanno esperienza sufficiente per affrontare questo tipo di ricerca, e si dovranno appoggiare a laboratori ed istituzioni con esperienza nel campo della sicurezza di nanomateriali.

In mancanza di risorse economiche c’è il rischio che le aziende evitino l’innovazione basata sulle nanotecnologie, impedendo il trasferimento dei benefici ai consumatori.

In conclusione, se da un lato il Regolamento 2238/2015 mette un po’ di ordine nella normativa sui nanomateriali negli alimenti, dall’altro le ambiguità insite in alcune disposizioni del provvedimento possono ostacolare lo sviluppo innovativo basato sulle nanotecnologie. Il tempo a disposizione per la definitiva entrata in vigore del Regolamento, e la revisione della Raccomandazione della Commissione sulla definizione di nanomateriale, possono servire a produrre linee guida chiare e dettagliate.

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Alimenti a fini medici speciali (AFMS)

Il 2 febbraio 2016 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Reg. delegato (UE) n.2016/128 della Commissione che detta prescrizioni specifiche in materia di composizione e di informazione per gli Alimenti destinati a Fini Medici Speciali (AFMS) e fa confluire le disposizioni della Dir.99/21/CE nel campo di applicazione del Reg. (UE) n.609/2013 (1).

Definizione

Secondo la definizione normativa data dal Reg. 609/2013, un AFMS è un prodotto alimentare espressamente elaborato o formulato e destinato alla gestione dietetica di pazienti, compresi i lattanti, da utilizzare sotto controllo medico; destinato all’alimentazione completa o parziale di pazienti con capacità limitata, disturbata o alterata di assumere, digerire, assorbire, metabolizzare o eliminare alimenti comuni o determinate sostanze nutrienti in essi contenute o metaboliti, oppure con altre esigenze nutrizionali determinate da condizioni cliniche e la cui gestione dietetica non può essere effettuata esclusivamente con la modifica della normale dieta.

Per essere proposto ed inquadrato come AFMS un prodotto deve quindi rispondere a tutti i punti della definizione, deve avere necessariamente un ruolo nutritivo e non devono essere presenti alternative disponibili, ivi compresi gli integratori alimentari che, nell’ottica della definizione, si configurano come uno strumento in grado di modificare la normale dieta. Eventuali eccezioni a quanto sopra esposto possono sussistere purché poggino su solide motivazioni (2).

Classificazione

La norma classifica gli AFMS in:

1 alimenti completi dal punto di vista nutrizionale con una formulazione standard delle sostanze nutritive che, se utilizzati secondo le istruzioni del fabbricante, possono rappresentare l’unica fonte di nutrimento per le persone cui sono destinati;

2 alimenti completi dal punto di vista nutrizionale con una formulazione delle sostanze nutritive adattata ad una specifica malattia, un disturbo o uno stato patologico che, se utilizzati secondo le istruzioni del fabbricante, possono rappresentare l’unica fonte di nutrimento per le persone cui sono destinati;

3 alimenti incompleti dal punto di vista nutrizionale con una formulazione delle sostanze nutritive standard o adattata ad una specifica malattia, un disturbo o uno stato patologico, che non sono idonei ad essere utilizzati come unica fonte di nutrimento.

I prodotti nutrizionalmente completi di cui ai punti 1 e 2 possono essere impiegati non solo come unica fonte nutrizionale, ma anche come parte della razione alimentare giornaliera secondo le istruzioni fornite in etichetta e le indicazioni del medico che vengono valutate caso per caso.

Per inquadrare meglio quali possano essere nella pratica esempi di queste tipologie di alimenti è possibile fare riferimento alle linee guida del Ministero della Salute in cui è riportato un elenco che, seppur non esaustivo, comprende le principali tipologie di AFMS descrivendone in modo schematico le peculiarità (3).

Secondo tale classificazione tra gli AFMS nutrizionalmente completi sono annoverate:

– le formule speciali per lattanti, comprese le formule per nati pretermine o di basso peso alla nascita,

– le diete enterali,

– le Very Low Caloric Diets (VLCDs)

Mentre tra i nutrizionalmente incompleti sono compresi:

– i fortificanti del latte per nati pretermine o di basso peso alla nascita,

– gli alimenti speciali per lattanti e bambini fino a 3 anni o di età superiore,

– i moduli per diete enterali,

– i supporti nutrizionali da utilizzare in caso di malnutrizione,

– le soluzioni reidratanti orali (SRO),

– i prodotti aproteici/ipoproteici,

– i prodotti per il trattamento della disfagia,

– i sali iposodici ed asodici.

Sali iposodici e asodici

La categoria dei sali iposodici ed asodici merita un approfondimento dal momento che, in virtù delle loro peculiari caratteristiche, è stata inserita tra gli AFMS proprio in occasione dell’ultimo aggiornamento delle succitate linee guida. Ciò si è reso necessario poiché, a seguito della prossima abrogazione della Dir. 2009/39/CE, sarebbe venuto meno un campo specifico di collocazione per questi prodotti. Le imprese possono presentare sin d’ora tali prodotti come AFMS trasmettendo, per quelli già in commercio, un nuovo modello di etichetta conforme alle disposizioni previste per questa categoria di prodotti (4).

Composizione

La composizione degli AFMS nei contenuti di “sostanze nutritive” e di “sostanze di altro tipo” deve risultare mirata a facilitare lo specifico trattamento dietetico per il quale l’alimento viene proposto, nell’ottica di prevenire o correggere la malnutrizione per mantenere o recuperare uno stato nutrizionale normale, ottimizzare lo stato metabolico e ridurre i tempi di convalescenza. Deve risultare idonea a soddisfare le esigenze nutrizionali delle persone cui gli AFMS sono destinati ed adatta a tali persone, conformemente ai dati scientifici generalmente accettati rispondenti a principi attendibili di scienza dell’alimentazione.

In particolare le sostanze impiegate devono rientrare tra quelle autorizzate, essere in una forma biodisponibile per l’uso nell’organismo umano e in concentrazioni di impiego tali da non mettere in pericolo la salute del consumatore.

È possibile utilizzare dei nuovi ingredienti alimentari (novel ingredients) purché contemplati nel Reg. (CE) n.258/97 (che verrà abrogato dal Reg. (UE) n.2015/2283 a decorrere dal 1 gennaio 2018) purché dette sostanze rispettino le condizioni previste da tale regolamento per l’immissione sul mercato (5).

Per quanto riguarda invece la scelta degli additivi e delle rispettive concentrazioni impiegabili è necessario far riferimento al Reg. (CE) n.1333/2008 e successive modifiche ed in particolare al Reg. (UE) n.1129/2011 prendendo come riferimento la specifica categoria di alimento che si sta andando a sviluppare.

AFMS sviluppati per soddisfare le esigenze nutrizionali dei lattanti

Una delle novità apportate dal Reg. 128/2016 è l’introduzione di disposizioni normative specifiche che riguardano gli AFMS sviluppati per soddisfare le esigenze nutrizionali dei lattanti.

Il legislatore, muovendo dall’osservazione che negli ultimi anni è stato immesso sul mercato un numero crescente di questi prodotti, ha disposto il rispetto di una serie di requisiti volti a tutelare questa categoria vulnerabile di soggetti.

È quindi opportuno che la composizione nutrizionale di tali prodotti, si basi su quella delle formule per lattanti e delle formule di proseguimento, per tener conto delle specificità delle loro esigenze nutrizionali. Tuttavia, considerando che le formule per lattanti e le formule di proseguimento sono destinate a lattanti in buona salute, il legislatore ha previsto delle deroghe, quando ciò si renda necessario, per l’uso degli AFMS.

Sempre in un’ottica di maggior tutela il legislatore ha fissato anche delle limitazioni in termini di contaminanti e in particolare di pesticidi.

Il regolamento prevede l’introduzione di restrizioni supplementari per l’etichettatura, la presentazione, la pubblicità e le prassi promozionali e commerciali che, anche in questo caso, sono simili a quelle applicabili alle formule per lattanti e alle formule di proseguimento per lattanti in buona salute (ora disciplinate dal Reg. (UE) n.127/2015), con adeguamenti che tengono conto dell’uso previsto del prodotto, senza che tuttavia ciò pregiudichi la necessità di fornire informazioni sugli alimenti ai pazienti e agli operatori sanitari per garantirne l’utilizzo appropriato (6).

Etichettatura

L’etichettatura degli AFMS deve tener conto sia delle disposizioni previste dal Reg. (UE) n.1169/2011 comuni a tutti gli alimenti, sia di quelle specifiche per la categoria di prodotto.

In particolare deve contenere gli elementi utili a fornire ai pazienti e agli operatori sanitari tutte le informazioni necessarie per un uso appropriato del prodotto e tali informazioni non devono essere fuorvianti, né attribuire, né sottintendere proprietà di prevenire, trattare o guarire una malattia umana. Dall’etichetta deve emergere chiaramente in che modo il prodotto contribuisce al trattamento dietetico della malattia, del disturbo o della condizione medica cui è destinato e, in quest’ottica, il fine medico non deve essere inteso come claim sulla salute ai sensi del Reg. (CE) n.1924/2006. Infatti, ferme restando le indicazioni utili a descrivere il ruolo del prodotto nello specifico trattamento dietetico per i suoi criteri di composizione, i claim nutrizionali e sulla salute non possono essere utilizzati poiché i consumatori di tali prodotti non rientrano tra la popolazione in buona salute e, per lo stesso motivo, le quantità di sostanze nutritive non devono essere espresse in percentuale delle assunzioni di riferimento. D’altro canto, poiché la dichiarazione nutrizionale rappresenta un elemento essenziale al fine di garantire un utilizzo appropriato degli AFMS, va sempre riportata in etichetta indipendentemente dalle deroghe previste dal Reg. (UE) n.1169/2011 e può essere integrata da tutti quegli elementi che sono utili per caratterizzare il prodotto senza però la possibilità di ripetere queste informazioni in più punti dell’etichetta. Il valore energetico e le quantità delle sostanze nutritive vanno riferite all’alimento come venduto e, se del caso, all’alimento pronto all’uso dopo una preparazione conforme alle istruzioni del fabbricante.

Immissione in commercio

Gli AFMS possono essere immessi sul mercato soltanto a condizione che:

– siano conformi ai requisiti fissati dal regolamento e pertanto rientrino nel campo di applicazione del medesimo,

– soddisfino tutte le prescrizioni del diritto dell’Unione applicabili ai prodotti alimentari,

– se immessi sul mercato al dettaglio siano esclusivamente nella forma di alimenti preimballati,

– siano notificati all’autorità competente dello Stato Membro che in Italia è rappresentata dal Ministero della Salute.

Notifica

La notifica degli AFMS è disciplinata ai sensi dell’articolo 9 del Reg. 128/2016 e ha lo scopo di consentire un efficace monitoraggio di questi alimenti negli Stati Membri. Ad oggi nel territorio nazionale italiano tale procedura prevede l’invio al Ministero della Salute di un apposito modulo, scaricabile dal portale ministeriale, a cui l’operatore del settore alimentare (OSA) responsabile del prodotto deve allegare un modello dell’etichetta conforme a quella utilizzata per la commercializzazione e il razionale scientifico a supporto. Il razionale in particolare deve essere basato su solide basi scientifiche in grado di giustificare il ruolo dell’alimento come effettivo strumento di dietary management e dalle informazioni in esso contenute dovrebbe emergere che vi sia un beneficio dimostrabile sul decorso e sui sintomi, correlato e conseguente al ruolo nutrizionale prefissato per l’alimento. In caso di esito positivo la procedura di notifica si conclude con l’inserimento del prodotto nel rispettivo registro ministeriale. Con la nota dell’11 maggio 2015 il Ministero della Salute ha dato evidenza dell’abolizione della comunicazione formale di fine procedura. Tale comunicazione serviva infatti ad attestare l’accettazione del prodotto da parte ministeriale per parificarlo a quelli già contemplati dal registro ai fini dell’erogabilità, nelle more del
suo inserimento nel registro medesimo al primo aggiornamento utile, considerata la cadenza tri-quadrimestrale degli aggiornamenti annuali. Dal momento che si è pervenuti all’aggiornamento mensile del registro tale comunicazione è stata abolita (7).

Erogabilità 

Con nota del 2 agosto 2005 era stata data facoltà alle imprese interessate di apporre sull’involucro esterno degli alimenti senza glutine e degli AFMS inclusi nel registro un logo comprendente la dizione “Prodotto erogabile” al fine di una più agevole individuazione da parte dei consumatori dei prodotti erogabili a carico del Sistena Sanitario Nazionale. Tuttavia, dal momento che nel registro sono inseriti tutti gli AFMS notificati, indipendentemente dalla loro erogabilità (come disciplinato dal D.M. 8 giugno 2001), il Ministero ha precisato che, per non indurre in errore circa i prodotti effettivamente erogabili è data facoltà alle imprese interessate di apporre il succitato logo solo nelle confezioni degli AFMS adatti al trattamento dietetico della fibrosi cistica e delle malattie metaboliche congenite (MMC) (4).

Processo di revisione 

Gli AFMS sono quindi una categoria di alimenti altamente eterogenea, la cui composizione può variare sostanzialmente a seconda, tra l’altro, della specifica malattia, del disturbo o stato patologico per la cui gestione dietetica il prodotto è proposto, o a seconda dell’età dei pazienti, del luogo in cui ricevono l’assistenza sanitaria e dell’uso previsto del prodotto. Assume quindi un ruolo cruciale la corretta classificazione di tali prodotti alla luce della definizione che ne dà la normativa, aspetto ad oggi molto dibattuto soprattutto in relazione al discrimine con l’area degli integratori alimentari. La contestazione ricorrente da più parti è che molti prodotti presentati come AFMS, con particolare riferimento a quelli incompleti, non hanno i requisiti per essere considerati tali e dovrebbero pertanto essere trattati come integratori (4). Ai sensi dell’articolo 3 del Reg. n. 609/2013, che concerne le decisioni di interpretazione, la Commissione potrà decidere se un determinato prodotto alimentare rientra nell’ambito di applicazione della norma e a quale categoria di prodotti alimentari da essa disciplinati appartiene, ossia se un prodotto notificato come AFMS in uno stato membro rientri effettivamente in tale categoria; per aiutarsi nel suo compito può, se del caso, avvalersi della consultazione dell’EFSA che, dal canto suo, ha già predisposto delle linee guida che gli OSA possono utilizzare per predisporre un dossier idoneo ad accertare se ed in che misura il prodotto sottoposto a valutazione scientifica possiede i requisiti richiesti agli AFMS, considerando la definizione normativa e il loro ruolo conseguente (8). Inoltre, con la nota n.0045383-P-04/12/2015, il Ministero della Salute ha evidenziato come sulla base dell’esperienza maturata e degli elementi interpretativi resi disponibili, ad oggi si ravvisi l’esigenza di revisionare alcuni prodotti attualmente inclusi come AFMS nel registro nazionale per valutare se, per requisiti e finalità, siano da riclassificare.

A questo processo di revisione sono soggetti in particolare quei prodotti caratterizzati dalla presenza di sostanze (in alcuni casi anche una sola sostanza) il cui profilo di attività pare scarsamente deponente per un effettivo ruolo di dietary management. Potrà pertanto essere richiesto alle imprese interessate di produrre una documentazione sulla rispondenza alla normativa di un prodotto già classificato come AFMS, comprensiva degli elementi indicati nella linea guida dell’EFSA per consentirne un adeguato riesame. Gli OSA pertanto sono invitati a provvedere sin d’ora ad una revisione autonoma dei requisiti dei prodotti commercializzati che potrebbero essere ricollocati all’interno della categoria degli integratori alimentari.

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Da alimenti destinati ad un’alimentazione particolare (PARNUTS) ad alimenti destinati a categorie specifiche (FSG)

Il quadro normativo vigente

Gli alimenti destinati ad un’alimentazione particolare (anche noti come PARNUTS o ADAP) sono attualmente disciplinati dalla direttiva 2009/39/CE che rappresenta la norma quadro a livello europeo e che è stata recepita nell’ordinamento nazionale con il D. Lgs. n.111/92. Essi si distinguono in “prodotti dietetici” ed in “alimenti per la prima infanzia”(1).

Gli alimenti per la prima infanzia si distinguono a loro volta in:

1 formule per lattanti e formule di proseguimento: disciplinate dalla Dir. 2006/141/CE, attuata con decreto del 9 aprile 2009 n.82 e

2 alimenti a base di cereali e baby foods: disciplinati dalla direttiva 96/5/CE, attuata con D.P.R. 128/1999 (questa direttiva e le sue modifiche successive sono codificate con la Dir. 2006/125/CE).

I prodotti dietetici sono invece quegli alimenti che per la loro particolare composizione o per il particolare processo di fabbricazione, si distinguono nettamente dai prodotti alimentari di consumo corrente, sono adatti all’obiettivo nutrizionale indicato e sono commercializzati in modo da indicare che sono conformi a tale obiettivo (2).

Tra le tipologie di prodotti dietetici rientrano:

gli alimenti destinati a diete ipocaloriche volte alla riduzione del peso: disciplinati dalla Dir. 96/8/CE, attuata con il D.M. n.519/1998;

1 gli alimenti dietetici a fini medici speciali: disciplinati dalla Dir. 1999/21/CE, attuata con il D.P.R. n.57/2002;

2 gli alimenti senza glutine: disciplinati dal Reg. (CE) n.41/2009;

3 gli alimenti adattati a un intenso sforzo muscolare, soprattutto per gli sportivi.

In generale i prodotti dietetici comprendono quindi varie tipologie di alimenti, la cui caratteristica comune è quella di essere stati ideati e formulati per far fronte a delle specifiche esigenze nutrizionali di individui con turbe del processo di assorbimento intestinale, del metabolismo o comunque in condizioni fisiologiche particolari. Sul piano normativo il termine “dietetico” si riferisce alla capacità di un prodotto di venire incontro a particolari esigenze nutrizionali senza avere alcuna attinenza con la qualità dell’alimento e con il suo valore energetico, d’altra parte a nessun alimento di uso corrente può essere attribuita la caratteristica di dietetico, né con l’etichettatura né con la pubblicità.

Oltre a quelli citati, possono essere considerati prodotti dietetici tutti quegli alimenti destinati selettivamente ad un gruppo di consumatori, sulla base della particolarità della loro composizione. Ne consegue che, ad esempio, i prodotti a ridotto valore energetico o senza zuccheri aggiunti non possono considerarsi come prodotti dietetici, perché per le loro caratteristiche possono essere consumati da tutta la popolazione ai fini di una corretta alimentazione nell’ambito di uno stile di vita complessivamente sano (3).

Data l’ampiezza della definizione, i prodotti disciplinati dalla Dir. 2009/39/CE possono differire in maniera significativa da uno Stato membro all’altro dell’Unione Europea (UE); pertanto alimenti simili potrebbero essere contemporanea-mente commercializzati in diversi Stati membri come prodotti alimentari destinati alla popolazione generale o a taluni sottogruppi della popolazione quali gestanti, donne in post-menopausa, anziani, bambini nell’età della crescita, adolescenti, persone con differenti livelli di attività ecc.

Si viene quindi a creare una situazione che può compromettere il funzionamento del mercato interno, generando incertezza giuridica per le autorità competenti, per gli operatori del settore alimentare (in particolare le piccole e medie imprese) e per i consumatori, senza che si possano escludere rischi di abusi e di distorsione della concorrenza. Si è reso quindi necessario avviare un processo di revisione normativa volto ad eliminare le differenze di interpretazione per evitare ogni possibile confusione, nell’interesse della certezza del diritto e della coerenza degli atti giuridici dell’UE (4).

Alimenti per gruppi specifici (FSG: Food for Specific Group)

Il Parlamento e il Consiglio dell’Unione Europea hanno quindi emanato il Reg. (UE) n.609 del 12 giugno 2013 destinato a sostituire l’attuale sovrabbondanza di norme che rendono il quadro normativo complesso e frammentato, abrogando le disposizioni normative non necessarie e contraddittorie e sostituendole con delle norme che ben si inseriscono nel quadro legislativo europeo e che sono volte a favorire il libero scambio delle merci e ad assicurare una migliore protezione del consumatore.

Le disposizioni per le categorie di prodotti ad oggi classificati come ADAP saranno destinate a confluire nel campo di applicazione del Reg. (UE) n.609/2013 e nel Reg. (UE) n.1169/2011 con un articolato processo normativo attraverso atti delegati e atti di esecuzione della Commissione Europea.

Inoltre il nuovo quadro normativo armonizzato, che è in via di definizione, tiene conto dell’attuale situazione sul mercato e delle norme esistenti (ad esempio: le Dir. 2006/125/CE e 2006/141/CE e il Reg. (CE) n.953/2009); non da meno, in questo processo di riordino, il legislatore ha tenuto in considerazione che, ad oggi, altri atti giuridici dell’Unione, già adottati, appaiono più adeguati a un mercato dei prodotti alimentari innovativo ed in evoluzione, di quanto lo sia la direttiva 2009/39/CE. Particolarmente pertinenti e importanti sono a tale riguardo la Dir. 2002/46/CE che stabilisce una disciplina specifica sugli integratori alimentari, il Reg. (CE) n.1924/2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari (così detto regolamento claims) e il Reg. (CE) n.1925/2006 sull’aggiunta di vitamine e minerali e di talune altre sostanze agli alimenti. In particolare l’applicazione del regolamento claims rende conflittuale il concetto di prodotto dietetico, introdotto quasi quaranta anni fa in assenza di altre norme tecniche specifiche collaterali dal momento che, allo stato attuale, per tutti gli alimenti possono essere rivendicati aspetti particolari della composizione nutrizionale secondo i criteri previsti da detto regolamento: verrà quindi abolito il concetto di “prodotto dietetico” (5,6).

Campo di applicazione

Il regolamento fissa disposizioni in materia di alimenti destinati a categorie vulnerabili di popolazione, ossia destinati a quelle persone che necessitano di particolare protezione.

I gruppi vulnerabili di popolazione sono stati chiaramente identificati dal legislatore e si distinguono in:

– gruppi nutrizionalmente vulnerabili, i cui soggetti necessitano di alimenti nutrizionalmente adattati e in

– gruppi vulnerabili ai costituenti degli alimenti, i cui soggetti necessitano di precise informazioni sui costituenti degli alimenti.

Gli alimenti si divideranno quindi in:

– alimenti nutrizionalmente adattati alle esigenze di un gruppo limitato di soggetti a cui sono destinati in modo selettivo e in

– alimenti che contengono costituenti non tollerati e che sono adatti a tutti, tranne ai soggetti intolleranti ad un determinato costituente.

Quando non si tratta di soggetti nutrizionalmente vulnerabili, l’informazione relativa alla destinazione selettiva dell’alimento può essere conseguita ad esempio mediante l’attribuzione di uno specifico claim nutrizionale e/o sulla salute, e pertanto tali alimenti rientrano nel campo di applicazione del Reg. (CE) n.1924/2006.

Nello specifico, il regolamento 609/2012 definisce le prescrizioni in materia di composizione e di informazione per le seguenti categorie di prodotti alimentari:

1 formule per lattanti e formule di proseguimento

2 alimenti a base di cereali e altri alimenti per la prima infanzia

3 alimenti a fini medici speciali

4 sostituti dell’intera razione del pasto.

Fissa inoltre un elenco dell’Unione di sostanze che possono essere aggiunte ad una o più delle categorie di prodotti alimentari sopra elencati, consolidando le tre liste ad oggi in vigore, e fissa le norme applicabili per il suo aggiornamento. Detta inoltre delle prescrizioni generali in materia di composizione e di informazione e delle prescrizioni aggiuntive per le formule per lattanti e di proseguimento.

Ai sensi del regolamento, i prodotti alimentari possono essere immessi sul mercato soltanto in forma di alimenti preimballati e a condizione che siano conformi alle specifiche in esso contenute.

Alla Commissione è delegata la responsabilità di decidere mediante atti di esecuzione

1 se un determinato prodotto rientri nell’ambito di applicazione del regolamento,

2 a quale categoria specifica di prodotti alimentari, tra quelle sopra elencate, appartenga.

Inoltre, sempre alla Commissione è lasciata l’autorità di dettare prescrizioni specifiche in materia di:

composizione; utilizzo di pesticidi e residui di pesticidi negli alimenti; etichettatura, presentazione e pubblicità; notifica dell’immissione sul mercato; prassi promozionali e commerciali relative alle formule per lattanti; informazioni da fornire in merito all’alimentazione dei lattanti e dei bambini al fine di assicurare un’adeguata informazione sulle appropriate prassi di alimentazione; alimenti a fini medici speciali creati per soddisfare le esigenze nutrizionali dei lattanti.

Non rientrano nel campo di applicazione del regolamento: gli alimenti senza glutine e senza lattosio; gli alimenti per diabetici, i sostituti di un pasto per il controllo del peso; i latti di crescita e gli alimenti per sportivi (7).

Alimenti senza glutine 

Le disposizioni del Reg. (CE) n.41/2009 sugli alimenti senza glutine verranno trasferite nell’ambito di un quadro giuridico più adeguato, quale quello rappresentato dal Reg. (UE) n.1169/2011, in particolare nell’articolo 36 del capo V che disciplina le informazioni volontarie sugli alimenti.

Nel caso specifico degli alimenti senza glutine è stato emanato il regolamento di esecuzione n.828/2014 che detta prescrizioni riguardanti l’informazione dei consumatori sull’assenza di glutine o sulla sua presenza in misura ridotta negli alimenti (8). Alla luce del nuovo scenario normativo tali alimenti saranno quindi inquadrati come alimenti comuni nella cui etichetta comparirà la dicitura “senza glutine”, mentre la specificità della formulazione per i soggetti celiaci potrà essere evidenziata facendo seguire la dicitura “senza glutine” o eventualmente “con contenuto di glutine molto basso” dalla dizione: “specificamente formulato per persone intolleranti al glutine” o “specificamente formulato per celiaci” qualora siano soddisfatte le condizioni di cui al succitato regolamento. Rimane invece vietato fornire informazioni sull’assenza di glutine o sulla sua presenza in misura ridotta negli alimenti per lattanti e negli alimenti di proseguimento quali definiti nella direttiva 2006/141/CE.

Nella stessa ottica gli alimenti naturalmente privi di glutine, ma non formulati specificamente per i celiaci, potranno già riportare le succitate diciture ai sensi dell’articolo 7 del Reg. (UE) n.1169/2012 che disciplina le pratiche leali di informazione (9).

Alimenti senza lattosio

Anche le disposizioni relative all’assenza o al ridotto contenuto di lattosio saranno destinate a confluire nel Reg. (UE) n.1169/2011 in quanto informazioni volontarie. Il Ministero della Salute ha dettato chiarimenti in materia con la Circolare n.0027673-P del 07/07/2015 (9).

Alimenti per diabetici

Una relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, del 26 giugno 2008, sugli alimenti destinati alle persone che soffrono di metabolismo glucidico perturbato (diabete), ha concluso che mancano riscontri scientifici per definire criteri specifici di composizione di tali alimenti. I soggetti affetti da diabete dovrebbero essere in grado di soddisfare le loro esigenze alimentari, scegliendo una dieta appropriata che impiega alimenti destinati alla popolazione generale. Alla luce di ciò la categoria degli alimenti per diabetici viene quindi definitivamente abolita e il Ministero della Salute ha inoltre disposto che, per gli alimenti, non sono più ammissibili indicazioni del tipo “prodotto per diabetici”; inoltre le imprese interessate sono invitate a modificare il nome di fantasia dei prodotti qualora questo richiami il diabete (9).

Sostituti del pasto per il controllo del peso

La Dir. 96/8/CE disciplina sia i sostituti totali del pasto, che rientreranno nel campo di applicazione del Reg. (UE) n.609/2012, sia i sostituti di un pasto, intesi a sostituire in parte la razione alimentare giornaliera, che confluiranno invece nel campo di applicazione del Reg. (CE) n.1924/2006. È emerso infatti che alimenti destinati alla popolazione generale possono presentare delle indicazioni sulla salute simili a quelle per il controllo del peso, è quindi opportuno che tali diciture siano disciplinate esclusivamente ai sensi del regolamento claims, nel rispetto delle prescrizioni e alle condizioni ivi contenute.

Latti di crescita

Nel mercato dell’Unione si registra un numero crescente di bevande a base di latte e prodotti analoghi promossi come prodotti particolarmente adatti ai bambini nella prima infanzia (da 1 a 3 anni). Tali prodotti, che possono essere ottenuti da proteine di origine animale o vegetale quali latte vaccino, latte di capra, soia o riso, sono spesso commercializzati come ‘’latte di crescita’’ o ‘’latte per la prima infanzia’’, o con una terminologia simile. Sebbene siano attualmente disciplinati da diversi atti giuridici dell’Unione, quali i regolamenti (CE) n.178/2002, (CE) n.1924/2006 e (CE) n.1925/2006 e la direttiva 2009/39/CE, questi prodotti non sono contemplati dalle misure specifiche in vigore applicabili agli alimenti destinati ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia. Esistono opinioni diverse sul fatto che tali prodotti rispondano alle esigenze nutrizionali specifiche della popolazione a cui sono destinati; pertanto la Commissione, previa consultazione dell’Autorità, è tenuta a presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull’eventuale necessità di disposizioni specifiche in relazione alle prescrizioni in materia di composizione, etichettatura e, se del caso, altri tipi di prescrizioni riguardanti questi prodotti.

Alimenti adattati a un intenso sforzo muscolare, soprattutto per sportivi

La Commissione ha ritenuto che non fosse necessario redigere regole specifiche in merito ai prodotti per sportivi che potrebbero quindi essere ricollocati nel campo di applicazione di altri atti normativi. Tuttavia, il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno richiesto alla Commissione, previa consultazione dell’Autorità, di presentare anche in questo caso una relazione sull’eventuale necessità di stabilire norme specifiche in tema di composizione e/o di etichettatura per questa tipologia di prodotti. Tale relazione sarà corredata, se necessario, di un’adeguata proposta legislativa. Qualora secondo la Commissione non fosse necessaria una legislazione ad hoc per tali alimenti, essi saranno soggetti alla legislazione generale.

Periodo transitorio

Il Reg. (UE) n.609/2012 diventerà applicabile a partire dal 20 luglio 2016 e abrogherà, tra le altre, la Dir. 2009/39/CE. Nella fase transitoria in atto, per i prodotti destinati ad una alimentazione particolare, resta fermo quanto previsto dal D. Lgs. n.111/1999 e conseguentemente la procedura di notifica dell’articolo 7 per l’immissione in commercio di: formule per lattanti, alimenti a fini medici speciali, latti di crescita per bambini da 1 a 3 anni; prodotti per sportivi; alimenti senza glutine formulati per i soggetti intolleranti al glutine; latte e derivati delattosati (10). Detta procedura resta ferma anche per gli altri prodotti attualmente commercializzati come “dietetici”; questi ultimi richiederanno comunque una revisione e un riposizionamento nel nuovo quadro normativo e alcuni, ove ne ricorressero le condizioni, potrebbero già da ora essere oggetto di riclassificazione (1).

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