Agli inizi di febbraio l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha reso noto di essere al lavoro per rintracciare e rispondere a falsi miti e voci sul virus di Wuhan, sottolineando che l’epidemia del Coronavirus 2019-nCoV è stata accompagnata da una massiccia “infodemia”, ovvero un’abbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile trovare fonti affidabili e distinguere tra fake news e quelle evidence-based.
Questo fenomeno, evidente in particolare sui canali digitali e sui social network, è comunque vero anche sui canali ufficiali di comunicazione scientifica.
Più di 115.000 articoli usciti nel 2020-2021 e indicizzati da PubMed sono collegati al COVID-19. Una quantità colossale di documenti, molti dei quali comparsi in versione preprint, privi cioè di peer review, il consueto percorso di revisione critica preliminare. Questo ha portato a uno scadimento abbastanza generalizzato della qualità della produzione scientifica: studi in genere con pochi pazienti e metodologia d’assalto.
A livello individuale il fenomeno si è tradotto nella difficoltà di far fronte a questa enorme “ondata informativa” (quasi impossibile da filtrare e sintetizzare) e nella conseguente necessità di prendere decisioni in condizioni di incertezza.
Questo si applica ovviamente anche all’utilizzo di integratori alimentari: si parla di vitamina C, vitamina D, acidi grassi polinsaturi omega 3, probiotici e zinco, ma non bastano gli studi in vitro sulla riduzione dell’infiammazione o l’effetto antivirale; occorrono studi clinici, attualmente in corso, e i cui risultati sono attesi con grande interesse. Le revisioni sistematiche dei dati disponibili attualmente in PubMed concordano, infatti, che nel complesso sono necessari ulteriori studi prima che possano essere formulate raccomandazioni basate sull’evidenza circa l’utilizzo di integratori alimentari per contrastare il COVID-19.
Ecco quindi che in questo momento di grande incertezza, dove anche la scienza medica è in difficoltà, abbiamo deciso di non contribuire all’“infodemia” e di non pubblicare articoli o notizie sull’argomento, ma di mantenere un dovuto silenzio in mancanza di dati confermati.