Ho avuto modo di recente di imbattermi nella pubblicazione di un documento del quale suggerisco un’attenta lettura: Rapporto ASviS 2021 L’Italia e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, che raccoglie i dati di una dettagliata analisi della situazione globale, europea e italiana rispetto allo stato di avanzamento dei Goal e Target dell’Agenda 2030 ma che, soprattutto, raccoglie proposte e riflessioni sul tema, prendendo a riferimento anche altri autorevoli documenti.
Dal confronto con gli altri Paesi europei la situazione italiana appare critica e mostra ampi margini di miglioramento e la necessità di cambiare velocemente passo per raggiungere gli obiettivi del 2030; tuttavia, tra gli indicatori degni di nota, l’Italia si dimostra virtuosa nel maggiore tasso di circolarità della materia (19,5% contro 11,8% della media UE) risultando così al quarto posto, dopo Olanda, Francia e Belgio, per l’obiettivo 12: Consumo e produzione responsabili.
Questo traguardo è coerente con la posizione italiana nella ricerca e sviluppo e nell’innovazione di biomateriali, nella gestione delle biomasse vegetali che ha alimentato e sta generando start up innovative e di eccellenza in diversi settori industriali, dal tessile all’automotive, alle bioplastiche ma anche nel settore dell’alimentazione e della salute come d’altro canto testimoniato dagli articoli pubblicati in questo numero: gli esosomi da residui di lavorazione di mela e le bioplastiche da materiali vegetali.
All’interno dello stesso documento si cita un altro tesoro documentale: The Economics of Biodiversity: the Dasgupta Review2, pubblicato all’inizio del 2021, e commissionato dal Governo britannico all’economista e professore emerito alla Cambridge University, Partha Dasgupta, che lo ha redatto coadiuvato da un’ampia squadra interdisciplinare di autorevoli specialisti. Una tesi che riporta e che merita una riflessione attenta da parte di tutti è: dall’inizio del Novecento il pensiero economico ha fondato le sue radici assumendo una ingannevole e pericolosa utopia, la realizzazione di un mondo svincolato dalla natura, dalla quale l’uomo, attraverso la tecnologia, ne risulta addirittura liberato e non più soggiogato.
In questa visione del mondo, i beni naturali, le risorse del pianeta sono prelevate quale fornitura gratuita e inesauribile senza alcun riconoscimento della nostra intima dipendenza da esse trascurando completamente il “bene natura” affidandosi esclusivamente a indicatori come il PIL, che inevitabilmente ignorano i mutamenti a cui i beni sono sottoposti: «per esempio, nel caso del capitale naturale, non si prendono in considerazione le conseguenze economiche del deterioramento degli ecosistemi, considerato una mera esternalità. La crisi ambientale degli ultimi decenni è stata sistematicamente ignorata in ambito economico: riconoscere la nostra dipendenza dalle risorse naturali e la nostra appartenenza alla natura è invece essenziale per garantire che lo sviluppo economico – a breve e a lungo termine – sia realmente sostenibile.» Lo spostamento dal un modello economico di economia lineare a quello circolare, non è un’opzione ma dovrà essere il più rapido e inclusivo possibile.
Ocimum centraliafricanum, Copper flower, indicatore di giacimenti di rame (5)