La bellezza nel tempo


La bellezza nel tempo

Il trucco viso fino ai più moderni fondotinta

Roberta Villa, Giuseppina Viscardi

Riassunto

Dipingersi il viso e il corpo è una pratica esercitata fin dal tempo dei tempi, in luoghi e culture diverse e lontane tra loro. Per alcune realtà è un vero e proprio rituale di bellezza, mentre in altri luoghi sia uomini che donne dipingono il proprio viso in occasione di particolari riti religiosi o di guerra.
Un’analisi sociologica dell’evento chiamato trucco, proprio derivante dal termine francese trouque, inganno, permetterà di capire alcuni significati simbolici di prodotti e utilizzi, comunemente presenti nei nostri mercati e dei quali non sempre si conosce il significato.
Sembra che già l’uomo di Neanderthal usasse dipingere il proprio viso con pigmenti appositi (come per esempio succhi derivati da bacche, terre argillose, ecc.) a scopi rituali e simbolici, a testimonianza di come già migliaia di anni fa gli uomini conoscessero l’arte della pittura corporea.
Guerra, religione, società e bellezza: le motivazioni che spingono l’uomo a dipingersi il viso sono molte e variano a seconda del periodo cronologico e del luogo di origine. Prima di concentrarci sull’uso noto ai più di prodotti da trucco, è interessante esplorare le culture da noi più lontane, che hanno adottato l’uso del colore viso, con una precisa funzione sociale.
Esploreremo mondi e tempi lontani che ci permetteranno di seguire e ricostruire l’evoluzione della bellezza, attraverso uno dei prodotti più misteriosi e affascinanti di sempre: il fondotinta.

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Antico Egitto: il valore spirituale e religioso

Schermata 2016-06-17 alle 11.51.52La storia del trucco prende il via presso gli Egizi, per i quali il make up aveva innanzitutto una funzione religiosa. Il loro desiderio per la bellezza non era fine a se stesso: si credeva che la bellezza fosse gradita agli dei e che il trucco potesse proteggere dal male. Le diverse miscele o gli olii per il corpo erano preparate dai sacerdoti.
Il popolo di Cleopatra è stato tra i primi a sviluppare un ampio assortimento di prodotti cosmetici e a documentarne l’importanza nella sua cultura. Non è difficile studiare la cosmesi egizia: le numerose testimonianze pittoriche pervenuteci, infatti, sintetizzano in modo più che eloquente il trucco e le pettinature in voga migliaia di anni fa presso quella popolazione così sensibile e attenta alla bellezza e alla cura del corpo (Fig.3).
Sia uomini che donne facevano largo impiego di cosmetici per truccare il viso; anche se determinati aspetti, ovviamente, sono mutati nel corso dei secoli, il make up degli egiziani mantenne sempre intatte alcune peculiari caratteristiche, come l’uso di colori accesi, il contorno definito degli occhi, la pelle perfetta.
Le loro conoscenze delle sostanze naturali erano precise e dettagliate. La cura e l’abbellimento del proprio corpo, intesa come esaltazione della bellezza, era una delle maggiori preoccupazioni per gli Egizi, soprattutto per gli individui di classe più elevata. La cosmesi egizia, così come ci è pervenuta, risulta praticata da esperti conoscitori di materie prime, che venivano scelte in modo appropriato alla funzione. Il corpo era considerato un luogo sacro, la “casa dell’anima immortale”: credevano che la vita e la bellezza potessero continuare nell’aldilà. La seduzione era importante e doveva esser correlata alla cura di sé, ma erano soprattutto il trucco viso e le acconciature a rendere le donne egizie così affascinati.
Schermata 2016-06-17 alle 11.52.16Lo sguardo aveva un valore prettamente spirituale ed andava sottolineato con prodotti specifici. Per porre enfasi agli occhi, la pelle del viso andava preparata in modo impeccabile per risultare una base neutra ed uniforme. Si schiariva quindi l’epidermide con un composto cremoso derivato dalla biacca, disponibile in diversi colori. Alcune donne che avevano la pelle particolarmente scura utilizzavano polvere di alabastro e di carbonato di soda mista a miele.
Il fondotinta venne sempre più considerato un cosmetico e, allo stesso tempo, un repellente per insetti e mosche. Furono sviluppate in seguito due tipologie di prodotto: l’Udju, diffuso nel Basso Egitto e preparato con malachite verde, e il Mesdemet, creato con la galena di Assuan nell’Alto Egitto. Nel tempo questa crema divenne un simbolo di raffinatezza.
Le sostanze cosmetiche più raffinate venivano dal Delta del Nilo ed erano custodite in vasetti molto belli, realizzati in alabastro, ceramica o vetro, talvolta decorati con pezzi di pietre colorate che formavano dei disegni geometrici (Fig.4).

I canoni greci della bellezza

Nel mondo classico, i Greci esaltavano molto la bellezza, tanto che esistevano delle multe per le donne che osavano presentarsi in pubblico con un aspetto trascurato. Nella Grecia pre-classica la percezione della bellezza era molto vaga poiché non esisteva ancora una comprensione consapevole di questo concetto. Per filosofi e poeti, con l’importante eccezione della poetessa Saffo, il tema della bellezza non sembra rilevante.
Nella Grecia classica il concetto di bellezza assunse toni più delineati: attraverso gli inni la bellezza si rivela nell’armonia del cosmo, attraverso la scultura viene raffigurata nelle appropriate misure e nella simmetria delle parti che la compongono. A partire dal III secolo, importato dall’Egitto e dall’Asia Minore, il maquillage trova posto nella cultura greca. Una pelle bella, liscia e profumata era la base imprescindibile per essere davvero attraenti e quindi anche il punto da cui partire per cominciare a prendersi cura di sé.
Riguardo al viso, difficilmente le signore greche andavano a dormire la sera senza aver prima steso su di esso un generoso strato di maschera preparata con ingredienti naturali, che poi la mattina veniva asportata con del latte, mentre al corpo erano riservati rituali piuttosto lunghi e sofisticati.
L’olio d’oliva, dalle note proprietà emollienti, nutritive ed elasticizzanti, costituiva l’ingrediente d’elezione per confezionare cosmetici (1).
Se in un primo tempo le donne truccavano molto poco la pelle, in seguito consacravano parte delle loro mattine ad abbellirsi. Il cosmetico più diffuso nell’antica Grecia era indubbiamente la biacca (carbonato basico di piombo) e gesso, che dava alla pelle un colore bianco. L’obiettivo era mantenere l’incarnato pallido a qualsiasi costo; il colore bianco era simbolo di purezza e virtù per le donne al punto da dover sembrare quasi trasparenti; a causa dell’uso costante e prolungato della biacca, si avvelenavano fino a morire. Per dare colore si usava invece il rosso del minio (ossido di piombo), oppure quello che si otteneva dalla pianta Anchusa tinctoria (hennè), o dal phukos (un’alga marina), o ancora dalle more essiccate.

Il benessere e il piacere nell’Antica Roma

Dopo la conquista della Grecia (146 a.c.), anche i Romani impararono a curare il loro aspetto fisico ed assunsero i canoni estetici e le usanze dal popolo vinto.
Le raffinate abitudini greche e orientali influenzarono fortemente i costumi dei Romani durante l’Impero ed i dipinti dell’epoca ci danno notizia dei trucchi usati dalle donne per essere più belle.
Vennero addirittura pubblicati dei manuali di bellezza, come il De medicamine faciei feminae di Ovidio, in cui si consiglia l’uso della biacca di Rodi per nascondere le imperfezioni della pelle; di Ficus o Purpurissum per dare colore a viso e labbra; di Fuligo per scurire ciglia e sopracciglia e dar risalto agli occhi. La saggia Metrodora, autrice di un trattato di medicina, elargiva consigli naturali per rendere il volto luminoso: “amido, vecce nere, fior di farina di frumento col bianco di un uovo, sciroppo di orzo insieme al miele”. A Roma non si conosceva l’uso del sapone, ma qualche signora come Poppea, della famiglia imperiale, si concedeva bagni nel latte di asina per schiarire il colore della pelle e renderla più morbida ed elastica.  Per ottenere una carnagione perfettamente candida usavano applicare come fondotinta una creta speciale o, in alternativa, la nivea cerussa, pericolosa perché a base di carbonato di piombo.
Un particolare interessante è che i loro cosmetici avevano come principi attivi testicoli di toro o feci di coccodrillo, api affogate nel miele, uova di formiche pestate, grasso di cigno e di pecora, midollo di cervo e di capriolo, lumache essiccate mescolate con della farina di fave, burro, lupini, ceci e così via.
Nell’antica Roma di epoca imperiale tutto il necessario cosmetico veniva preparato fresco da schiave specializzate, le cosiddette cosmetae.

Il Medioevo ed il Feudalesimo: la totale scomparsa del colore e la sua lenta rinascita

Con l’avvento del Medioevo si perse l’uso della cura del corpo e del make up. Solo in occasioni speciali uomini e donne ingaggiavano addirittura pittori professionisti, che dipingevano i loro volti con colori ad olio o a tempera.
In questo periodo fu scritto il Primo Trattato di Cosmetica della Storia, De Ornatu Mulierum (“Sui Cosmetici delle Donne”, Opera di Trotula de Ruggiero), nel quale si insegnava alle donne come preservare e migliorare la propria bellezza e come curare le malattie della pelle mediante una serie di precetti, consigli e rimedi naturali. Veniva anche suggerito come nascondere le rughe, rimuovere i gonfiori da occhi e viso, schiarire la pelle e nascondere le macchie. Nell’opera la cosmetica non risultava avere un aspetto frivolo; al contrario doveva essere in accordo con la filosofia della natura, come esempio di corpo in salute e in armonia con l’universo.
La pelle del viso e i capelli erano considerati i punti di forza femminili ed erano quindi le parti del corpo alle quali ci si dedicava di più. Ovviamente la Chiesa condannava queste pratiche estetiche e, già durante i primi secoli del Cristianesimo, consigliava alle giovani donne di non adornarsi per evitare la dannazione eterna.
Gli ingredienti base del trucco viso erano un velenoso intruglio di polvere di piombo, aceto e miele che conferiva all’incarnato un colore bianco opaco, simile a quello della biacca, che con il passare del tempo, lo corrodeva e lo deturpava.
Con il Feudalesimo, si persero definitivamente le tendenze che avevano affinato i Romani nella cura del corpo e nel concetto di bellezza e ci si avvicinò ai canoni estetici normanni con carnagione chiara, capelli biondi e occhi azzurri, uniti a portamento elegante, abiti di prestigio, acconciature laboriose, trucco sofisticato e gioielli di manifattura eccezionale. Ancora una volta, le donne ricorrevano a misure estreme per raggiungere lo “stato mortale” utilizzando ingredienti come il piombo e l’arsenico.
L’estetica femminile perse i suoi tratti forti per passare a sembianze il più naturali possibile, soprattutto a causa dei numerosi divieti imposti dal potere ecclesiastico riguardo la seduzione femminile, additando come prostituta chi utilizzava del trucco che superasse la cipria o il rossetto, ovviamente di colore chiaro.

Il Rinascimento e i canoni estetici classici

Dopo l’oscuro Medioevo arriva una luce nel mondo del make up, grazie all’epoca della grandezza e delle arti: il Rinascimento. A seguito della scoperta dell’America si generò una maggiore apertura verso il trucco e l’abbigliamento che sfocerà nel periodo storico successivo in cui la parola chiave sarà “esagerazione”. Si arrivò ad uno sviluppo del make up tale da avere la prima vendita di trousse con le varie formulazioni per il trucco di tutto il viso.
Ritornò il gusto per il classico e per la bellezza intesa come perfezione ed armonia, tramite la ricerca di un incarnato perfetto e dell’esaltazione delle forme, seguendo il radicale cambiamento dei canoni di bellezza femminile. Da donna sobria, magra, con seno piccolo e fianchi stretti, si passerà ad ammirare una donna in carne con forme prosperose, seni abbondanti e fianchi larghi. Questa tipologia di dama era la tipica dimostrazione della ricchezza e dell’opulenza della propria classe di appartenenza, che doveva differenziarsi il più possibile da quella povera, anche attraverso il fisico a prova della differente tipologia di alimentazione.
Andò perduta anche la concezione di donna acqua e sapone tanto che, per rimarcare la propria nobiltà, la nuova immagine della donna rinascimentale esaltava persino le vene blu del corpo con una matita di lapislazzulo. Le guance e le labbra erano rosse in contrasto con la bianca carnagione uniforme, grazie all’utilizzo di biacca e polvere di gesso. Il trucco aveva anche uno scopo “pratico”: nascondere la propria sporcizia. Il paradosso di quest’epoca prevedeva un totale abbandono della pulizia per paura di prendere il colera dall’acqua contaminata, che veniva sostituita con l’uso, e l’abuso, di profumo e il consumo di fard rosso era diventato così eccessivo da portare all’attuazione di un’imposta su questo prodotto.
Schermata 2016-06-17 alle 11.52.44Un’epoca di contrasti tra l’essere e l’apparire, o meglio il voler apparire. Poiché il corpo femminile doveva avere tre attributi bianchi (la carnagione, i denti e le mani), si applicava sul viso in quantità abbondante la cerussa, un derivato del piombo, per neutralizzare le rughe; per neutralizzarne la tossicità si trascorreva la notte con una maschera a base di scaloppine crude di vitello imbevute nel latte.  Anche Caterina Sforza consigliava, tra le sue ricette di bellezza raccolte negli Experimenta, un metodo per schiarire la carnagione: “latte di balia che allatta un maschio in cui si sarà disciolta una rondine con tutte le piume, un poco di trementina, canfora, due uova fresche e miele”(1).
È con il Rinascimento che ritornano in auge i canoni estetici classici. Le donne riprendono a truccarsi gli occhi contornandoli con il bistro (fuliggine), utilizzato anche per il trucco delle sopracciglia (Fig.5).

1700–1800: il Periodo Vittoriano

Nel 1700–1800, con l’avvento della società borghese, il nuovo spirito pratico conduce all’abbandono del make up, che rimane solo per classi sociali specifiche.
Infatti nell’epoca Vittoriana, il trucco del viso cominciò ad essere associato a prostitute ed attrici.
Le donne ricorrevano a misure estreme per apparire con una pelle diafana utilizzando, ancora una volta, ingredienti come il piombo e l’arsenico. Neppure il sole era ben visto: la pelle per essere giovane e sana doveva essere protetta da velette ed ombrellini.
La pelle abbronzata era prerogativa di chi lavorava tutto il giorno all’aria aperta, quindi di umile estrazione sociale. Ingredienti naturali come fiocchi d’avena, miele, tuorli d’uovo, e rose costituivano i prodotti di bellezza. Le sopracciglia erano ridisegnate ed era utilizzato il riso in polvere su viso e décolleté.
L’ascesa al trono della regina Vittoria segnò quindi il declino dell’uso dei cosmetici.
Schermata 2016-06-17 alle 11.52.56L’epoca vittoriana fu un periodo dominato da un rigido codice morale, da valori religiosi, da modestia e sobrietà sessuale. Sebbene il make up fosse considerato qualcosa che solo le donne di dubbia moralità avrebbero utilizzato, la cosmesi progredì e divenne parte integrante dell’universo femminile, con tonalità delicate che si addicessero all’aspetto di una donna fragile, delicata e sobria (2).
Il pallore, da preservare a tutti i costi con cappelli e ombrellini parasole, era ancora sinonimo di eleganza e nobiltà: le signore usavano cospargere la pelle di ossido di zinco, ma arrivavano persino a dipingere sul volto sottilissime linee blu per rendere l’effetto delle vene che traspaiono sotto un incarnato etereo.
La cosmetologia conobbe un notevole perfezionamento nella seconda metà dell’800, soprattutto grazie all’evoluzione della chimica: vennero prodotti per la prima volta su scala industriale ombretti con polveri di piombo e solfuro di antimonio e rossetti con solfuro di mercurio, tutti materiali che in seguito si rivelarono altamente tossici (Fig.6).

Il 1900, il secolo delle grandi innovazioni

Nei primi anni del 1900 si sono verificate le vere e grandi trasformazioni sociali in ambito di bellezza.
“Ridete e non piangete, altrimenti la bellezza vi abbandonerà presto”. Questo è il motto che raccomandava Colette che aprì a Parigi il suo notissimo Salon De Beauté.
Il make up, come lo conosciamo oggi, nacque in concomitanza con lo svolgersi della prima guerra mondiale. In questo periodo grazie alla ricerca di personaggi come Helena Rubinstein (1903), Coty (1904), Harriet Hubbard (1907), Max Factor (1909), L’Oréal (1909) ed Elizabeth Arden (1910), il trucco viene finalmente utilizzato non solo per correggere eventuali difetti, ma per puro piacere personale. Nei primi anni ’20 si assiste ad una svolta epocale per le donne: mademoiselle Chanel lancia la moda dell’abbronzatura, vincendo per prima il tabù ormai millenario della carnagione diafana per le signore aristocratiche o alto-borghesi. Si inizia a diffondere l’idea che un colorito naturale, forse perché socialmente opposto a quello cadaverico dato dalla tisi, il male del secolo, fosse simbolo di salute, vivacità e sensualità. Già nel 1913, del resto, era stato finalmente vietato l’uso cosmetico della biacca di piombo.
Così sono nati i fondotinta colorati come li conosciamo oggi. Il primo passo verso il fondotinta moderno lo ha compiuto il marchio Shiseido, che nel 1906 ha lanciato l’innovativa polvere per viso color carne. Fino a quel momento, infatti, esistevano solo polveri bianche. La formula Shiseido, a base di oli, permetteva di aderire meglio alla pelle e di mantenere così il suo effetto uniformante e levigante più a lungo. Negli anni trenta il trucco era utilizzato dalle donne di tutte le classi sociali. Si svilupparono ulteriormente le grandi case cosmetiche come Max Factor, Elizabeth Arden, Revlon, Lancôme. Lo stile di trucco è sintetizzato dalla bocca colorata a forma di cuore all’interno dei contorni naturali, che andavano neutralizzati dal fondotinta.
Schermata 2016-06-17 alle 11.53.09È di questo decennio l’invenzione che cambiò il mondo cosmetico del trucco viso: nacque il primo fondotinta inizialmente formulato solo per l’industria del cinema e che avrebbe sostituito nel tempo le polveri viso. Max Factor fu l’inventore, nel 1914, di un cerone in crema ultra sottile e flessibile sulla pelle, sviluppato in ben 12 sfumature di colore per adattarsi al meglio ad ogni tipo di incarnato.
Fu un vero successo. Nel 1932 la grande svolta: con l’avvento del colore in ambito cinematografico, il make up si dovette adeguare: dalla texture in crema si passò alla forma solida da applicare con una spugna umida. Il finish è matt e trasparente, ma riesce a coprire in maniera naturale le imperfezioni della pelle. È nato il famoso Pan-Cake così chiamato per la sua somiglianza ad una piccola torta contenuta in una scatoletta metallica (3). Diventò il make up delle dive ma in breve tempo fu così famoso che, da prodotto esclusivo per gli Studios, venne immesso sul mercato cosicchè tutte le donne poterono acquistarlo (Fig.7).

Anni ’50-’60: dall’esplosione del colore alle nuove icone di bellezza

Negli anni ‘50 il make up subì una profonda rivoluzione, con una vera e propria esplosione del colore, stimolata anche dall’ottimismo post bellico.
La donna è tornata tra le mura di casa anche nella comunicazione di massa, diventando l’apologia della moglie e della madre perfetta. Perfezione, appunto: non solo della condotta, ma anche della pelle. L’imperativo categorico è l’uniformità dell’incarnato, bianco d’inverno e dorato d’estate. È di quegli anni il boom nel settore bellezza riscosso da Avon che inaugura la vendita porta-a-porta di cosmetici.
Gli anni ’60 furono dominati dall’incredibile evoluzione del cinema, che ricominciava a sfornare modelli e icone da copiare come l’esile e bella Audrey Hepburn.
Schermata 2016-06-17 alle 11.53.24Nella moda, giovanissime modelle diventarono simbolo di quest’era, Jane Shrimpton (detta Shrimp, gamberetto) e Lesley Hornby, alias Twiggy (legnetto). Il look adolescenziale diventò tendenza.
Nel frattempo le esigenze delle donne mutarono in conseguenza dei cambiamenti del loro stile di vita e, quando la forza lavoro iniziò a essere composta anche dall’universo femminile, queste manifestarono la necessità di prodotti veloci da stendere e semplici da applicare. Si usavano fondotinta leggeri, per uniformare e dorare la pelle, e fard in gel per non ostruire i pori. L’epidermide non doveva essere coperta e le lentiggini diventarono un simbolo di libertà che rispecchiava il momento storico: il ritrovo pacifista di Woodstock e la Factory di Andy Warhol. Il trucco era una bandiera (2).
Fu anche il momento in cui giovani visagisti diventarono i più affermati make up artists.
Uno su tutto Serge Lutens (Fig.8).

Anni ’70: femminismo ed emancipazione

Arriva quindi il decennio dell’emancipazione. Le donne rifiutano definitivamente il rossetto e si avvicinano ad un aspetto naturale: il trucco degli occhi ed il mascara scompaiono quasi completamente, l’eyeliner bianco o blu pallido diviene popolare, come i colori perlescenti; compaiono le prime ciglia finte e le labbra sono colorate con tinte perlescenti e pallide. Per la secchezza del viso nascono sistemi emollienti e per le vacanze al mare i primi oli solari.
Gli ingredienti usati per questi primi cosmetici dell’era moderna sono vegetali: glicerina, lanolina, cera d’api, ma a breve tempo, la crescente industria del petrolio fornisce a basso costo derivati minerali: olio di vaselina, vaselina filante, paraffina.
Schermata 2016-06-17 alle 11.53.35Negli anni ’70 una nuova esigenza fa capolino: non più solo un prodotto pratico e veloce, al fondotinta si richiede anche una lunga tenuta in quanto il tempo che le donne passano fuori casa, per lavoro e svago, aumenta sempre più e il loro make up deve reggere questi nuovi ritmi. Shiseido non si fa cogliere impreparata e sviluppa un nuovo prodotto idrorepellente, capace di resistere a sudore e traspirazione cutanea.
Si diffonde la moda dei cosmetici orientali composti con sostanze naturali, in virtù di un ritorno alla terra di derivazione hippy; ma di notte ci si copre di glitter per andare allo Studio 54 di New York frequentato tra gli altri da Warhol e Bianca Jagger (1). I grandi stilisti si lanciano nel mercato dei cosmetici: da Chanel a Yves Saint Laurent si firmano make up dalle ampie gamme cromatiche, dai colori sfacciati e sensuali (Fig.9).

Anni ’80: l’edonismo consumistico

Negli anni ’80 il trucco pesante, accentuato, gli occhi scuri e drammatici, truccati con l’aiuto di molti strati di eyeliner e ombretti brillanti nelle tonalità blu, verde e viola.
Schermata 2016-06-17 alle 11.54.03Sono stati gli anni in cui i nuovi must erano la qualità del prodotto e la capacità di assicurare un risultato impeccabile a lungo nel tempo. Individuando nel sebo la principale causa per cui il fondotinta “non tiene”, dal Giappone arrivarono nuovi prodotti progettati con attività sebo-assorbente, in grado di liberare una volta per tutte le donne da problemi di lucidità, di fondotinta che vira sulla pelle e non tiene. Questa caratteristica si ottenne utilizzando polveri sferiche cave, in grado di assorbire l’eccesso di sebo e trattenerlo al loro interno.
Diventò di moda il colorito abbronzato, che ricorda le vacanze e quindi il benessere economico, così si sviluppò l’uso di terre e blush. Il fondotinta doveva creare una base omogenea opaca che non modificasse il colore della pelle e che trasformasse il viso in una tela su cui poi sbizzarrirsi con colori accesi.
Nei paesi asiatici rimase la convinzione che la pelle chiara fosse simbolo di maggiore benessere.
Furono gli anni delle Top Model, da Linda Evangelista (soprannominata Il Camaleonte), Cindy Crawford (The Body), Carole Alt (The Face), Claudia Schiffer (la Nuova BB), e la strepitosa Naomi Campbell (La Pantera), la cui bellezza venne esaltata da make up artists che diventarono sempre più famosi e influenti (Fig.10).

Anni ’90: il consumo democratico

La crisi economica, l’incertezza per il futuro e lo spettro dell’AIDS fecero crollare l’idea di prosperità che ha contraddistinto il decennio precedente. Si sentì la necessità di ritornare all’essenziale e la parola d’ordine divenne “togliere”: nella moda i colori non erano più così accesi, i tacchi si abbassarono, sparirono paillettes e gioielli appariscenti.
Il nuovo imperativo fu il minimalismo.
Schermata 2016-06-17 alle 11.54.23Anche il potere di una bellezza prorompente venne messo in discussione (l’icona del periodo fu la modella Kate Moss che ostentava un look quasi emaciato grazie anche alla sua magrezza esasperata); vi fu un ritorno del natural look: viso non più truccato con fondotinta coprenti, fard dai colori accesi e metallizzati. Il fondotinta divenne opaco, le guance color pesca e labbra arancio chiare.
La pelle appariva più pulita e vestita con fondotinta leggeri, quasi evanescenti, ed opachi che incarnavano perfettamente il concetto di “trucco che cura la pelle”. Sono di questi anni i primi lanci di prodotti di make up che vantano specifiche funzioni cosmetiche, grazie all’inserimento in formula di principi funzionali mirati ed estremamente performanti, primo fra tutti l’Acido Jaluronico.
In parallelo si sviluppava il filone del trucco no transfer, per soddisfare l’esigenza delle donne emancipate e indipendenti, che desiravano avere la certezza di un look impeccabile e prolungato per tutto il giorno. Inoltre si impose sul mercato il make up per le pelli scure ed ispaniche: tale tipologia di donne era stata sino ad ora molto poco considerata, ma fu la modella Iman (di origini sudanesi) a colmare questa lacuna immettendo sul mercato una linea di fondotinta pensata proprio per questo settore di consumatrici ancora di nicchia (Fig.11).

Il secondo millennio: natura e tecnologia

Con il nuovo millennio il make up diventa sempre più naturale non solo nell’effetto finale ma anche nell’utilizzo delle materie prime. Per i prodotti viso, fondotinta innanzitutto ma anche cipria, fard ed ombretti, un grande successo viene raggiunto dal trucco minerale formulato, per quanto riguarda la fase colore, esclusivamente con ossidi di ferro e polveri di origine naturale (per esempio la mica non di sintesi) per garantire la massima compatibilità con la pelle.
Un altro trend che ha caratterizzato il primo decennio degli anni duemila è rappresentato dalle formule mousse. Questi prodotti, in genere anidri e formulati con siliconi volatili e polveri sferiche, hanno focalizzato l’attenzione della consumatrice non solo sull’effetto finale ma anche sulla sensorialità durante il prelievo e l’applicazione sul viso. La stesura è semplice e veloce e lascia un sottilissimo film di prodotto dal finish matt-poudrè.
A partire dal secondo decennio, il trend dei prodotti viso viene dettato dalla Corea: arrivano in occidente le prime BB Cream che riprendono e rafforzano il concetto di un fondotinta curativo concepito come una crema cosmetica. Questo filone si è sviluppato con nuovi prodotti con una evoluzione alfabetica. Una curiosità: la prima BB Cream è stata formulata in Germania, apprezzata e sviluppata ulteriormente dai coreani in versione cosmetica e solo a seguire ne è nata la versione pigmentata per il mercato occidentale.
I fondotinta di ultima generazione hanno ancora una volta modificato le abitudini delle donne. Il trucco del viso esige nuove gestualità e nuove formulazioni. L’ispirazione cosmetica del trucco è sempre più influenzata dal mondo dello skin care: le nuove formule sembrano essere concepite come variante pigmentata di una raffinata crema di bellezza.
Ma anche le texture cambiano, facendosi sempre più fluide sino ad arrivare alle formule bifasiche in cui i pigmenti vanno rimiscelati e riportati in sospensione prima dell’utilizzo. Naturalmente anche il packaging si deve adeguare alla nuova forma fisica del prodotto: flaconi con pompetta contagocce o altre tipologie di dropper che garantiscono la giusta erogazione. La stesura è davvero facile, sia con il solo utilizzo delle dita che con un pennello specifico. La resa è estremamente naturale quasi non ci fosse nulla sul viso, ma in effetti l’incarnato appare più omogeneo e luminoso.
L’ultima frontiera del trucco viso vede ancora una volta una rivoluzione completa: mai come ora un fondotinta è nato dalla perfetta simbiosi tra una formula nuova ed esclusiva ed un packaging che ne esalta le caratteristiche con grande efficacia. È nato il concetto cushion foundation che ha già avuto interessanti sviluppi: dal bronzer al prodotto per labbra.

Conclusioni

In un’era dettata da contaminazioni tra mondi e luoghi che forniscono le più incredibili esperienze sensoriali ed emotive, il fondotinta diventa un prodotto con il quale dialogare con un pubblico sempre più in evoluzione, colto e preparato, attento e curioso, fino a superare la barriera del gender e diventare un complice della bellezza trasversale. Una nuova sfida, per nuovi grandi successi.