Il Carrubo, scientificamente conosciuto come Ceratonia siliqua L., è una pianta leguminosa che nel sistema tassonomico attuale afferisce alla famiglia delle Fabaceae.
Questa specie è diffusa principalmente lungo le coste del bacino del Mediterraneo, ma è stata altresì introdotta dall’uomo negli Stati Uniti, in Messico, Cile, Argentina, Australia, Sud Africa e India (1), divenendo quindi oggi una specie presente in tutte le zone nel mondo con caratteristiche climatiche simili a quelle mediterranee.
Per i riferimenti alla carruba nel Vangelo, in cui si cita Giovanni Battista che se ne nutrì nel deserto, è conosciuto anche come “albero del pane di San Giovanni”, attribuzione che permane tuttora nelle denominazioni comuni nella cultura inglese e tedesca. Prima ancora, il Carrubo è stato menzionato negli scritti di Teofrasto (371-286 a.C.). Secondo Sprengel, la sua coltivazione era già praticata nell’antichità dagli Ebrei e dagli Egizi, tanto che, come indica questo autore, Mosè sfruttò l’elevato contenuto in zuccheri dei frutti per addolcire le acque amare del mare e dare da bere al suo popolo durante l’esodo; è stato comunque comprovato che la carruba era un frutto che gli Egizi conoscevano e usavano per la mummificazione.
Esistono numerosi riferimenti bibliografici storici in cui viene citato il Carrubo: Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia, Strabone, Catone, Virgilio e Plinio il Giovane, Lucas e Scribonio, Galeno, Palladio, Dioscoride, sino ad Avicenna, in tempi più moderni, ne commentano sia la coltura che gli usi, non solo alimentari ma anche medicinali. Quello che è certo, in epoche più recenti, è che gli ispano-arabi lo utilizzavano e lo coltivavano abitualmente.
Nella storia, questa specie ha rappresentato per molti un emblema in svariati e curiosi scritti: alcuni scrittori romani, per esempio, indicano il Carrubo come simbolo di purezza e forza, prediletto da Giove.
Come in quella cristiana, l’albero del Carrubo è presente anche nella tradizione religiosa musulmana.
Curiosa è la relazione dell’albero del Carrubo con la devozione di San Giorgio, che si ritrova dall’Asia Minore, attraverso la Sicilia, fino alla Catalogna.
È probabile che la prima grande espansione della coltivazione del Carrubo fu opera dei Fenici prima e dei Greci poi, che lo utilizzavano nelle pratiche mediche, come si faceva con altre piante medicinali. Bizantini, Crociati, Normanni, Almogaveri, Genovesi e Veneziani utilizzarono la carruba ed estesero la coltivazione per tutti i loro domini (2).
In molti areali il Carrubo avanzò in epoca post fillosserica, occupando antiche terre a vigneto dove il clima lo permetteva; giacché questa coltivazione è molto sensibile al freddo, anche se ben adattata a suoli poveri essendo una specie anatomicamente e fisiologicamente xerofitica.
Il nome kharrub, entrato in uso anche in Europa nel Medioevo, è di origine araba. In tempi antichi, i semi del Carrubo, considerato che il loro peso, pur variando da uno all’altro, resta più o meno costante nel tempo, venivano impiegati come unità di misura di polveri e altri prodotti di farmacia, e in gioielleria di oro e diamanti, con un valore medio di circa 200 mg. Questa misura di peso ha preso la denominazione di “carato”, da qirat, parola araba da cui deriva anche il termine per indicare agronomicamente il seme del Carrubo.
Il Carrubo (Fig.1) è una specie alquanto singolare e con un elevato livello di biodiversità intraspecifica (Fig.2). Tra i vari aspetti che la caratterizzano per la sua singolarità, è da rilevare l’espressione della sua sessualità. La specie è definita difatti “trioica”, in quanto in natura esistono allo stesso tempo piante femminili, maschili ed ermafrodite. Le infiorescenze del Carrubo sono dei racemi polimorfi e variabili, non solo in funzione del sesso dei loro fiori, ma anche per il colore e le caratteristiche dell’asse, lunghezza, spessore ecc. (Fig.3). Una caratteristica peculiare di questo albero mediterraneo per eccellenza è rappresentata dalla caulifloria, ovvero l’inserzione diretta delle infiorescenze sulle branche e sul fusto. Il frutto di questa specie, la carruba, a dispetto del nome scientifico che le è stato attribuito, è rappresentato da un baccello monocarpellare indeiscente (mentre la siliqua è un frutto bicarpellare deiscente). È contraddistinto da grosse pareti con un elevato accumulo di zuccheri e tannini che, al principio del suo ciclo, gli conferiscono un aspetto carnoso, differente da una varietà all’altra. Questo legume ha una forma più o meno curva e contorta, che vagamente ricorda un corno, con ingrossamenti marginali nella zona di sutura e asse carpellare pluriloculare, con pareti polpose porose e ricettacolo peculiare per i suoi semi, presenti in numero variabile a seconda della varietà, dello sviluppo, delle condizioni ambientali e dell’efficacia dell’impollinazione. Con la maturazione il frutto inizia a disidratarsi fino al momento della raccolta, assumendo un colore da rossiccio a marrone scuro a seconda della varietà. La maturazione si raggiunge, generalmente, ad agosto-settembre, periodo in cui sulla pianta si sovrappone contemporaneamente la presenza di frutti insieme a infiorescenze del ciclo successivo. A maturazione, in funzione della cultivar, la lunghezza media dei frutti varia da 8 a oltre 30 cm (Fig.4). Al mondo esistono oltre 200 accessioni di rilevanza colturale selezionate dall’uomo nel corso dei secoli, in origine per l’elevata resa in polpa e contenuto zuccherino: negli ultimi anni, invece, si tende alla selezione di cultivar con migliori rese in seme e in particolare in gomma. Nel frutto è possibile distinguere l’esocarpo o buccia, di natura fibrosa e colorata; il mesocarpo o polpa, di consistenza carnosa, ricco in zuccheri (rappresenta circa il 70-95% in peso del frutto intero); e l’endocarpo, di colore chiaro brillante, di natura fibrosa. Quest’ultimo divide l’interno del frutto in segmenti e logge, costituendo gli spazi carpellari dove si situano i semi. I semi hanno una dimensione media da 9 a 10 mm di lunghezza e da 6 a 8 mm di larghezza, sono ellittici, affusolati nella zona del micropilo e appiattiti distalmente; in ogni carruba è presente un numero di carati variabile, generalmente da 6 a 18, ubicati all’interno delle logge del frutto. Il loro colore è rossiccio marrone, occasionalmente quasi nero, hanno una superficie liscia, anche se a volte si rilevano piccole ondulazioni determinate dall’incompleto sviluppo dell’endosperma. Il carato è molto duro e resistente alla compressione. Nei semi, che nelle cultivar tradizionalmente più diffuse rappresentano approssimativamente il 10% in peso dell’intero frutto, è possibile distinguere tre parti:
• l’episperma (30-33% del peso del seme), che copre i semi ed è costituito principalmente da cellulosa, lignina e tannini. In questo, a sua volta, si distinguono due strati, uno esterno detto “testa”, che è colorato e duro, e un altro interno detto “tegmen”, che è più bianco e meno compatto;
• l’endosperma (42-46% del peso del seme) che si trova sotto l’episperma e che costituisce il tessuto di riserva dell’embrione è oggi la parte di maggior interesse economico del seme. Presenta un alto contenuto in galattomannani, combinazione molecolare di unità di mannosio e galattosio in proporzione 1:4 (3);
• il germe (23-25% del peso dei semi), in cui si notano i cotiledoni e l’embrione (Fig.5).
La polpa è ricca in zuccheri (specialmente saccarosio, in una percentuale compresa tra il 37 e il 53%) e in fibre, povera in proteine (tra 2,5 e 6,25%) e grassi (tra 0,24 e 1,25%); come elementi minerali possiede fosforo, calcio e potassio, e in minor quantità magnesio e sodio.
Il Carrubo è una pianta altamente resistente per svariate ragioni e la coltura di questa specie, in funzione dei moderni fattori produttivi, risulta essere pienamente sostenibile. Una di queste ragioni è rappresentata dal fatto che le piante difficilmente si ammalano, tant’è che non richiedono quasi mai trattamenti antiparassitari. Il complesso colturale di questa specie manifesta una resilienza fuori dal comune e la biodiversità che caratterizza le sue popolazioni contribuisce alla sua diffusione favorendone l’adattabilità: vegeta e produce anche in condizioni marginali, potendo adattarsi a diverse condizioni ambientali. Il Carrubo resiste più di altre specie agli incendi e, nei casi più gravi, a volte, è in grado di rivegetare dalla base del fusto. È un albero xerofitico, di ampia plasticità riguardo la tolleranza ai suoli, anche salini (4), ma richiede condizioni termiche particolari. È un albero molto adattato a regioni aride, dove può considerarsi emblematico. Negli ecosistemi mediterranei, difatti, l’acqua è il maggiore fattore limitante per lo sviluppo delle piante. L’efficienza nell’uso dell’acqua dipende dai tassi di assimilazione e di evapotraspirazione, che sono determinati dal genotipo e dall’ambiente. Questa pianta ha un sistema molto efficiente e capace di regolare bene la traspirazione, e per questo ha basse esigenze idriche e sopporta bene le alte temperature (oltre 45°C in estate), vegetando anche in aree marginali grazie alla struttura coriacea delle foglie, tipica delle sclerofille, che ne permette l’adattamento ad ambienti caratterizzati da lunghi periodi asciutti. Il Carrubo è di fatto una pianta aridoresistente perché adotta una particolare strategia water spending, ovvero continua a traspirare anche quando la domanda evapotraspirativa dell’atmosfera è elevata. Questo è possibile, in primo luogo, per la capacità di assorbire acqua da strati profondi del suolo grazie alla presenza di un apparato radicale che si sviluppa molto in profondità; in secondo luogo, per la presenza di vasi xilematici relativamente larghi (35% >50 μm) (5) che consentono un rapido riapprovvigionamento dell’acqua evapotraspirata dalle foglie. Questa specie ha inoltre la capacità di mantenere il turgore cellulare attraverso un abbassamento del potenziale osmotico (in estate) e un aumento dell’elasticità delle cellule al termine dell’inverno (6). La strategia adottata dal Carrubo, unita ai meccanismi di resistenza alla siccità, consente un efficiente uso dell’acqua. Come avviene nell’area mediterranea, un regime pluviometrico di 500 mm all’anno è sufficiente per una buona produzione di carrube.
Oltre alla funzione principale legata ai frutti e ai prodotti che ne derivano, la coltura del Carrubo rappresenta oggigiorno una valida alternativa agronomica in zone marginali. Grazie alla sua marcata duttilità, determinata da vari meccanismi di aridoresistenza, si presta per prevenire l’erosione dei suoli e la desertificazione, in quanto contribuisce a mantenere una certa copertura vegetale del suolo, con ricadute positive anche dal punto di vista paesaggistico. Questa specie rappresenta quindi un’ottima scelta per la riforestazione di aree marginali degradate del bacino del Mediterraneo, processo del resto già avviato da vari imprenditori agricoli attraverso le misure agroambientali cofinanziate dall’Unione europea.
Sempre più spesso, nei Paesi in cui questa specie è presente, viene impiegata nelle alberature di aree a verde, parchi, strade, come pianta da ombra, assolvendo altresì alla funzione ornamentale che le viene attribuita anche in contesti privati, per i quali è ricercata per il suo pregio multifunzionale, non solo in piena terra ma anche in vaso, rappresentando non di rado il simbolo di eventi di carattere culturale.
Le carrube hanno assolto per lungo tempo il ruolo di fonte nutritiva a basso costo e di alto valore energetico nell’alimentazione delle popolazioni mediterranee, ma negli ultimi decenni l’uso alimentare è progressivamente diminuito al crescere del tenore di vita, determinando una graduale scomparsa degli alberi di Carrubo dal panorama floristico italiano (7). La coltivazione del Carrubo, la produzione, trasformazione e commercializzazione dei baccelli e dei derivati sono attività economiche tipiche dell’area dell’altopiano ibleo, interessando il comparto agricolo e zootecnico, quello commerciale e quello della trasformazione eseguita sia a livello artigianale che industriale. Le province di Ragusa e Siracusa negli ultimi anni raccolgono circa il 95% della superficie nazionale. Nei primi decenni del Novecento le carrube venivano in massima parte utilizzate per l’alimentazione dei bovini e degli equini. Dopo gli anni Trenta, a causa della graduale sostituzione degli animali con i mezzi meccanici per lo svolgimento di diverse operazioni colturali in agricoltura, il prodotto destinato all’alimentazione del bestiame subì una significativa riduzione della domanda e il collocamento delle carrube sul mercato divenne più difficile. Tutto ciò provocò da un lato il crollo dei prezzi e dall’altro una notevole riduzione delle superfici coltivate, e la coltura rischiò l’estinzione (8). In seguito, la nascita di nuove forme di utilizzazione delle carrube (distillazione del prodotto per la produzione di alcol etilico e, in un secondo tempo, l’estrazione dalle carrube di sostanze pectiche e farine neutre, e l’utilizzazione come addensanti nell’industria alimentare) determinò la crescita della domanda e una ripresa del mercato. Negli ultimi decenni si registrarono alterne vicende condizionate, da un lato, dall’elevazione delle imposte sull’alcol etilico e dall’avvento nell’industria chimica di procedimenti di sintesi per l’ottenimento di prodotti in sostituzione di quelli tradizionalmente ricavati dalle carrube; dall’altro, da nuove e distinte possibilità di impiego dei frutti e dei semi, favorendo la nascita di alcune imprese di prima e seconda trasformazione, e una ripresa del mercato delle relative produzioni (9). La composizione chimica della polpa dipende dalla cultivar, dalle condizioni pedoclimatiche e dal grado di maturazione della carruba. Contiene in media il 48-52% di carboidrati, principalmente costituiti da saccarosio (32-38%), glucosio (5-6%) e fruttosio (5-7%); il 18% di cellulosa ed emicellulosa e il 2-3% di ceneri, in cui prevalgono il potassio (1,1%) e il calcio (0,31%). Sono altresì presenti piccole quantità di lipidi (0,2-0,6%), con eguale proporzione di acidi grassi saturi e insaturi (10), e di proteine contenenti gli amminoacidi alanina, fenilalanina, glicina, leucina, prolina, tirosina e valina (1). Costituisce un alimento alquanto nutriente, considerati gli elevati contenuti di zuccheri e di proteine; è fonte di diverse vitamine (A, B1, B2, B3, D) e di minerali come calcio, magnesio e potassio (11). Il saccarosio può essere estratto dalle polpe con particolari tecnologie e si presenta di ottima qualità se ricristallizzato. Il contenuto di saccarosio dei frutti aumenta rapidamente dalla fine del mese di maggio fino a raggiungere il massimo livello a metà agosto. Molto interessante è il contenuto in pectine e tannini: le prime conferiscono proprietà curative e preventive di forme patologiche a carico dell’apparato digerente; i secondi, grazie al loro potere astringente, possono coadiuvare nella terapia antidiarroica. Dalla polpa si possono ottenere diversi prodotti: tra questi uno sfarinato, macinato a una granulometria simile alla semola di mais, e uno frantumato con particelle di dimensioni 6-20 mm; entrambi impiegati nella produzione di mangimi composti per l’alimentazione animale. Dalla tostatura e successiva micronizzazione della polpa è possibile produrre una farina particolare, destinata al consumo umano o animale, in funzione degli standard di produzione, che trova largo impiego nelle produzioni dolciarie o nei mangimi, notevolmente apprezzata per il gusto gradevole e l’elevato contenuto di zuccheri. In ambito alimentare, le sue caratteristiche di base ne fanno un surrogato della polvere di cacao, con il vantaggio di avere un contenuto di grassi molto basso, un’assenza quasi totale di teobromina (3,7-dimetilxantina, alcaloide naturale) e un elevato contenuto in zuccheri invertiti. Questa farina di polpa di carruba è ampiamente impiegata sia nella produzione di alimenti dietetici sia nel settore dei dolciumi; può essere utilizzata da sola o in combinazione con il cacao, in quanto non ne modifica né il gusto né il colore. Le popolazioni della Sicilia un tempo preparavano i mustazzoli o mostaccioli (biscotti morbidi), pasta, dolci, mostarda e marmellata di polpa macinata. Con il frutto intero torrefatto, in diversi Paesi europei si ottiene un gustoso surrogato del caffè e del cioccolato. In Turchia dalla polpa si ricavano liquori e nei Paesi arabi paste, sorbetti e sciroppo.
Il principale interesse della coltivazione del Carrubo oggi è rivolto alla produzione della farina di semi, Locust Bean Gum (LBG) o Carob Bean Gum (CBG), che trova ampia applicazione come additivo tecnologico in diverse preparazioni alimentari, facendo così riscoprire e rivalutare questo frutto spesso dimenticato, che invece racchiude un’enorme ricchezza e potenzialità di utilizzo, e che meriterebbe maggiore riconoscimento come coltura da impiantare. Attualmente sono numerosi, infatti, i prodotti alimentari di larghissima diffusione che contengono farina di semi di carruba, da sola o in combinazione con altri ingredienti. Come già ricordato, i semi di carruba sono costituiti dall’episperma (30-33% in peso), dall’endosperma o gomma (42-46%) e dal germe (23-25%) (12). Il tegumento è costituito da lignina e cellulosa, e contiene anche pigmenti e sostanze antiossidanti, mentre l’endosperma è caratterizzato da un elevato contenuto di galattomannani, una classe di polisaccaridi che possiede la proprietà di legare l’acqua formando soluzioni viscose e stabili già a basse concentrazioni (≤1%), in un ampio intervallo di pH e temperatura. L’embrione è ricco di proteine (50-56%), di carboidrati (18-20%), di lipidi (6-8%) e fibre (18-22%), costituendo pertanto un alimento idoneo per l’alimentazione umana e animale. La notevole variabilità della composizione del seme, oltre che alla cultivar, è dovuta anche al metodo di lavorazione adottato per separare le varie parti che lo compongono. Il seme di carruba è particolarmente duro; il tegumento, formato da tre strati incrociati, infatti, è impermeabile e non si lascia scalfire facilmente. La parte più importante del seme è quindi l’endosperma, composto dalla combinazione di mannoni e galattoni idrosolubili. Tale sostanza fornisce pseudo soluzioni di altissima viscosità e ha la proprietà di assorbire acqua fino a 40 volte il suo peso secco. Sul mercato è presente anche come farina di semi di carruba (LBG) allo stato secco. Caratteristica tipica dell’LBG, inclusa nella lista positiva degli additivi autorizzati nell’Unione europea (codice E 410), è l’elevata stabilità a caldo che ne fa un additivo insostituibile per molte applicazioni nell’industria alimentare. La sua dose giornaliera accettabile (DGA) è senza limite perché i risultati di studi biochimici, tossicologici e nutrizionali hanno dimostrato che è esente da rischi per la salute umana quando il suo impiego è condotto secondo buona tecnica. La sua principale funzione d’uso è quella di migliorare le proprietà addensanti dei prodotti alimentari, incrementandone la consistenza e la sofficità, per questo trova vasto impiego nel settore delle tecnologie alimentari, da sola o in combinazione con altri ingredienti. Altre importanti funzioni riguardano la prevenzione della formazione dei cristalli di ghiaccio negli alimenti congelati e surgelati, la stabilizzazione delle fasi liquide immiscibili (emulsioni), delle fasi liquido-gas (schiume) e delle fasi liquido solide (dispersioni). Inoltre, ha la capacità di abbassare l’attività dell’acqua, contribuendo alla prevenzione dello sviluppo della carica microbica e dell’insorgenza di indesiderate trasformazioni a carico dei costituenti alimentari, come la degradazione dell’amido. Le applicazioni della farina di seme di carruba sono varie. Tra le principali si annoverano i gelati, con impieghi nell’ordine dello 0,1-0,3%, a cui conferisce una struttura uniforme e vellutata, evitando la formazione di cristalli di ghiaccio. L’LBG non altera le proprietà organolettiche al momento del consumo, e rende lenta e cremosa la fusione. L’E410 è poi impiegato in salse, condimenti, maionese e prodotti in scatola. L’LBG, da sola o in combinazione con altri additivi, ha ottime proprietà stabilizzanti e addensanti in tutti i prodotti emulsionati, specialmente quando tali emulsioni sono sottoposte a trattamenti termici e meccanici, come richiesto dalle moderne tecnologie di conservazione. La struttura conferita a questi prodotti risulta notevolmente più leggera e palatabile rispetto a quella ottenuta con l’utilizzo di soli amidi e farine. La resistenza di questa farina ai trattamenti termici (sterilizzazione) la rende ormai indispensabile anche per prodotti a base di carne in scatola, in combinazione con agar-agar o carragenine. Nei prodotti surgelati l’LBG esercita un’azione protettrice sulla struttura del prodotto finito migliorandone la stabilità agli shock termici (congelamento e scongelamento) e contribuisce a dare al prodotto finito un aspetto più gradevole. Nei formaggi e in altri prodotti derivati dal latte, l’utilizzo di addensanti, quali l’LBG, per la preparazione di alcuni tipi di prodotti freschi è pratica comune in alcuni Paesi europei (Germania, Inghilterra e Stati Uniti): l’utilizzo dell’LBG conferisce caratteristiche di cremosità e spalmabilità notevolmente migliori. Inoltre, è possibile eseguire su questi prodotti dei trattamenti termici, senza incorrere in sgradevoli coagulazioni o cambiamenti della struttura del formaggio. Negli yogurt, oltre che addensare il prodotto, l’LBG funziona da stabilizzante, evitando la separazione di siero. In molti dessert a struttura gelatinizzata come i budini, l’aggiunta dell’LBG permette di evitare fenomeni di sineresi. Per le sue spiccate proprietà leganti e stabilizzanti delle emulsioni grasso-acqua, in alcuni Paesi europei l’LBG viene utilizzata per la produzione di insaccati quali salsicce, wurstel, ecc. Permette di ottenere una pasta più omogenea, con maggiore stabilità e con una struttura più morbida. Inoltre, il suo effetto lubrificante facilita le operazioni di estrusione e insaccamento. Nei semilavorati di frutta, destinati all’industria lattiero casearia e in pasticceria, l’LBG permette di mantenere la stabilità durante i processi di trasformazione cui sono sottoposti. L’LBG trova impiego anche nel settore dell’alimentazione animale, in quanto è utilizzata in combinazione con altri gelatinizzanti (carragenine) per la preparazione di alcuni tipi di pet-food (cibi pronti in scatola per cani e gatti). L’LBG è utilizzata inoltre nell’industria tessile e cartaria come addensante per la stampa. Nell’industria farmaceutica trova impiego come legante e disintegrante per compresse e pillole, come addensante per pomate e ungenti, e come emolliente per colliri. Altri usi si registrano nell’industria di esplosivi, nella concia delle pelli e nella formulazione di detergenti (13).
Il processo di produzione della farina di seme, oltre che il prezioso addensante ricavato dall’endosperma, restituisce un sottoprodotto composto dall’episperma e dal germe. Tale miscela, costituita da piccolissime scaglie è, ad oggi largamente apprezzata in ambito mangimistico per il suo contenuto proteico, che si attesta al 25-30% in peso, ma soprattutto per il suo profilo amminoacidico che annovera ben il 50% del totale degli amminoacidi liberi tra gli amminoacidi essenziali, con fenilalanina, triptofano e valina tra i più rappresentativi, mentre tra i non essenziali risultano particolarmente abbondanti l’acido glutammico, cistina e glicina.
Grazie a un processo di arricchimento ottenuto mediante un sistema di separazione meccanico, da tale sottoprodotto vengono valorizzate da un lato le proteine, sul mercato dei preparati proteici, e dall’altro le fibre, impiegate nel settore alimentare per le proprietà antiossidanti. La polpa residua dal processo di estrazione dei semi, che rappresenta circa il 90% della massa di carrube intere lavorata, è stata oggetto di numerose ricerche che hanno evidenziato interessanti scoperte inerenti alla bioattività dei suoi costituenti. Per quanto riguarda la salute umana, le sue frazioni sono associate alla prevenzione e al trattamento di un’ampia varietà di malattie, tra cui il diabete, l’iperlipidemia, la sindrome dell’intestino irritabile e il cancro del colon. Fibre, polifenoli, tannini e ciclitoli sono stati legati dal mondo scientifico agli effetti dei derivati del Carrubo in varie aree terapeutiche: antitumorali, antidiabete, antidiarroica e antiperlipidemia. Queste scoperte hanno reso la carruba un ingrediente di interesse per lo sviluppo di alimenti funzionali e integratori a base vegetale. Grazie a vari studi hanno destato un particolare interesse gli effetti benefici delle fibre dalla polpa di Carrubo sul metabolismo e sull’assorbimento dei lipidi (14). Il Ministero della Salute ha inserito il frutto del Carrubo nell’Allegato 1 del Decreto del 9 luglio 2012, e successive modificazioni, che disciplina l’impiego negli integratori alimentari di sostanze e preparati vegetali, riconoscendogli effetti fisiologici positivi sull’organismo quali la regolarità del tratto intestinale, l’azione emolliente e lenitiva del sistema digerente, la modulazione/limitazione dell’assorbimento dei nutrienti e la facilitazione del senso di sazietà. Tali effetti contribuiscono al mantenimento dell’equilibrio del microbiota intestinale e limitano il rischio di disbiosi, aiutando a prevenire infiammazioni croniche del tratto intestinale. Le fibre alimentari insolubili della carruba rappresentano oltre il 30% della polpa e sono costituite da cellulosa, emicellulosa, lignina e polifenoli insolubili. L’elevata percentuale di polifenoli presenti nella fibra di carruba la differenzia da altre fonti di fibre alimentari. Le sostanze polifenoliche rilevano oggi un certo interesse in ambito farmaceutico, in quanto sono in gran parte rappresentate da tannini, alcuni dei quali trovano oggi impiego nel trattamento di patologie degenerative dovute all’eccesso di radicali liberi e nella prevenzione di alcune patologie neoplastiche. È stato anche dimostrato che grazie al contenuto in tannini, una soluzione al 2% di carruba è in grado di bloccare l’emoagglutinazione e l’adesione di Escherichia coli su un isolato di cellule epiteliali intestinali, e tale meccanismo potrebbe spiegare l’efficacia della frazione proposta nei trattamenti pediatrici. È comunque ormai generalmente diffusa l’opinione che i tannini estratti dalle farine possono trovare utilizzo nella formulazione di prodotti salutistici (14). Una parte dei polifenoli è poi rappresentata da catechine (acido gallico, epicatechina gallato, epigallocatechina gallato), per le quali è stata provata l’induzione di una marcata riduzione della proliferazione cellulare in modo dose-dipendente su colture cellulari tumorali epatiche (11). Acidi fenolici, gallotannini e flavonoidi si trovano nella carruba in forma libera, legati o in forme coniugate solubili. Questo frutto è una delle fonti più ricche di acido gallico, così come di flavonoidi ulteriormente classificati in antocianine, flavonoli, flavanoli, flavoni, flavanoni e isoflavonoidi. Tra questi, sono particolarmente abbondanti i flavonoli come la quercitina, la miricetina, il campferolo e i loro derivati glucosidici: secondo vari studi alcuni di essi hanno manifestato un’interessante attività antiproliferativa e apoptotica contro le cellule tumorali e attività citotossica in generale (14). Il ciclitolo maggiormente presente nella carruba è rappresentato dal D-pinitolo in una quantità variabile da 1 a 8,5 g su 100 g, dipendente da fattori genetici e ambientali con quantitativi maggiori in accessioni selvatiche rispetto a piante appartenenti a varietà coltivate. Si ritiene che tale molecola sia responsabile degli effetti antidiabetici poiché regola il livello di zucchero nel sangue nei pazienti con diabete mellito di tipo 2, aumentando la sensibilità all’insulina. Lo sciroppo di carruba è considerato una ricca fonte di D-pinitolo; dato che ne bastano 10 g, rispetto alla dose standard (10 mg di D-pinitolo/kg di peso corporeo), per abbassare il livello di zucchero nel sangue nel diabete. Per la sua estrazione sono state messe a punto alcune procedure, facendo anche uso di tecniche cosiddette green e solvent-free a ultrasuoni e di fluidi supercritici (14). Come da più parti rilevato, il contenuto di talune molecole varia in funzione dei fattori genetici, colturali e ambientali, per cui la ricerca scientifica prima e lo sviluppo industriale dopo devono essere volti alla valorizzazione dei sottoprodotti industriali, quantomeno per scopi nutraceutici, puntando alla valorizzazione della biodiversità della specie che si manifesta a carico dei tessuti di tutti gli organi della pianta (15) (Fig.6).
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Massimiliano Brugaletta è un agronomo libero professionista, ha ottenuto il titolo di dottore di ricerca in scienze e tecnologie tropicali e subtropicali presso l’Università degli Studi di Catania. Presidente dell’Associazione CAREX, impegnata nella tutela e valorizzazione del Carrubo, nonché vicepresidente del Distretto della Frutta Secca di Sicilia riconosciuto dalla Regione Siciliana, si occupa altresì di progettazione per lo sviluppo rurale a servizio di enti pubblici e privati con particolare predilezione per le azioni di sostegno alla conservazione delle risorse genetiche in agricoltura ed alla preservazione della biodiversità, di specie fruttifere.
Coautore di vari articoli scientifici inerenti al Carrubo, presta, con particolare passione, la sua esperienza e la sua preparazione per numerose attività che riguardano questa specie.
La coltura del Carrubo (Ceratonia siliqua L.) nei Paesi del bacino del Mediterraneo ha origini antichissime. Le caratteristiche del frutto di questa specie, in primo luogo quelle nutrizionali, hanno contribuito alla sua diffusione in aree lontane da quelle di origine e ne hanno permesso nei secoli lo sviluppo di impieghi non soltanto per scopi alimentari, ma anche per una serie di funzioni di carattere ambientale, paesaggistico e culturale. La valorizzazione industriale che sfrutta oggi le proprietà della farina ottenuta dall’endosperma ha determinato il riconoscimento, a livello globale, delle sue proprietà nel campo alimentare, farmaceutico e cosmetico. La multifunzionalità che contraddistingue questa specie, così singolare nei suoi aspetti biologici e così variegata nella sua espressione genica, si allinea alla variabilità applicativa dei sottoprodotti del processo produttivo principale grazie agli ultimi contributi scientifici in ambito nutraceutico.
Ocimum centraliafricanum, Copper flower, indicatore di giacimenti di rame (5)