Dal laboratorio dell’università
alla creazione di uno spin-off
Due chiacchiere con...
Ascoltare una presentazione della Prof.ssa Semenzato durante un convegno è come partire per un viaggio dal quale si tornerà arricchiti; si viene condotti per mano dalla sua determinatezza e indiscutibilmente rapiti dalla sua capacità di accogliere gli stimoli dall'esterno, di osservare oltre a vivere nel reale. Curiosi di conoscere qual è stata la sua carriera accademica fin dai primi esordi e di sapere come è nato UNIRED, spin-off dell’Università degli Studi di Padova, abbiamo fatto quattro chiacchere con Alessandra Semenzato.
R. Mi sono iscritta a Chimica e Tecnologie Farmaceutiche (CTF) con moltissima convinzione, perché fin dal liceo mi ero innamorata della chimica e quindi non ho mai avuto dubbi su cosa volessi fare. Ero inizialmente orientata a iscrivermi alla Facoltà di Chimica, ma nello stesso anno della mia immatricolazione universitaria è stato avviato il Corso di Laurea in CTF, proprio nella mia città. Ho quindi deciso di orientarmi alla chimica applicata anziché alla chimica pura. Mi sono laureata con una tesi in biochimica supervisionata da un professore che mi ha stimolato a proseguire la carriera accademica, avendo visto in me delle doti che io stessa non sapevo di avere. Ammetto che, prima di allora, non ci avevo mai pensato, ma insegnare è tutt’ora la cosa che mi piace di più del mio lavoro universitario, quindi gli sono davvero grata.
Il referente del gruppo di biochimica in cui lavoravo era il Prof. Benassi, da poco rientrato a Padova da Ferrara, dove aveva avviato l’iter per la realizzazione della scuola di specializzazione in cosmetica (oggi Cosmast) e aveva deciso di mettere in piedi insieme al Prof. Bettero un gruppo che si occupasse di cosmetica, in particolare di analitica, in appoggio alla richiesta crescente da parte delle aziende di metodologie, in vista del recepimento in Italia della Direttiva europea del ‘76.
Pochi giorni dopo la laurea il Prof. Benassi mi offrì una borsa di studio che accettai, nonostante la cosmetica fosse per me una disciplina sconosciuta e (lo confesso) lontana dai miei interessi. Catapultata a Ferrara alla scuola di specializzazione in cosmetica, ho scoperto un mondo che da una parte mi affascinava ma dall’altra mi spaventava, perché molto lontano dall’idea della ricerca “ideale” in cui mi ero formata.
Nel giro di pochi anni sono riuscita a entrare come ricercatrice all’Università degli Studi di Padova, dove ancora insegno Chimica dei prodotti cosmetici dal 2006 e dove nel corso degli anni ho scoperto una vera passione per la cosmetica, ampliando i miei interessi dall’analitica alla formulazione e alle tecniche fisiche di caratterizzazione dei materiali, in un processo naturale e continuo.
Se all’inizio la cosmetica non rientrava nel mio immaginario (anche perché avevo molti preconcetti al riguardo), alla fine si è rivelata una strada che mi corrispondeva pienamente, forse proprio in quanto non preordinata.
D’altronde John Lennon disse: “La vita è quello che ti accade mentre sei occupato a fare altri progetti” (N.d.R).
R. Uno dei primi lavori che ho pubblicato riguardava un metodo per valutare la quantità di formaldeide derivante dall’uso dei preservanti; un metodo innovativo che rendeva la procedura molto semplice e rapida. Dopo la pubblicazione, il responsabile del Controllo Qualità di una multinazionale cosmetica mi inviò una lettera (le mail non esistevano ancora!) per ringraziarmi, in cui mi diceva come quel metodo aveva di gran lunga semplificato l’iter dei controlli, liberando tempo prezioso per i suoi collaboratori. Avevo gettato il primo seme. Il mio obiettivo, infatti, è sempre stato quello di fornire alle aziende delle soluzioni ma anche un metodo di lavoro. In molte realtà produttive mancano gli approcci metodologici che invece sono propri del bagaglio di chi lavora all’università. Provo molta soddisfazione quando la collaborazione crea qualcosa di utile che spesso si concretizza anche in nuovi prodotti. È un po’ come il lavoro dello chef… e a me piace cucinare, oltre che mangiare!
Da questo desiderio di relazione con le aziende è nato dunque UNIRED.
R. “UNI” sta per “università” e in origine il nome completo era UNIR&D, con un chiaro richiamo al reparto Research & Development delle aziende. Sfortunatamente la scelta di avere nel nome una lettera come la & commerciale non si è rivelata in linea con le logiche dei motori di ricerca, così quando abbiamo deciso di rivedere la nostra comunicazione digitale abbiamo scelto il nome UNIRED.
R. La prima idea di spin-off mi è venuta nel 2000 quando ho partecipato alla prima edizione di una competizione (Start Cup) proposta dall’Università degli Studi di Padova per la selezione di idee imprenditoriali innovative derivanti dalla ricerca dei propri laboratori. Sono arrivata in finale ma non sono stata finanziata. Meglio così perché i tempi non erano ancora maturi…!
UNIRED invece è nata nel 2012 in seguito alla collaborazione pluriennale con il Dott. Baratto, responsabile scientifico di UNIFARCO. Nella creazione dello spin-off ho coinvolto da subito altri colleghi con competenze molto diverse ma strategiche per il mondo healthcare e abituati a lavorare con le aziende. UNIRED cerca quindi di mettere l’approccio universitario al servizio e ai bisogni dell’azienda, costruendo soluzioni personalizzate. Credo che, come universitari, abbiamo questo “dovere”, ovvero vedere “al di là del nostro naso” al fine di proporre un’idea di ricerca applicata e rispondente a un bisogno ben preciso, per aiutare le aziende nel percorso di innovazione.
Spesso le aziende rinunciano a innovare per paura che approcci metodologici diversi portino via tempo e risorse senza dare un ritorno immediato, mentre l’innovazione è la chiave per capitalizzare e offrire al consumatore qualcosa di nuovo in una prospettiva di breve e medio termine. Il mercato sta diventando sempre più competitivo e le offerte sono sempre più ampie e variegate; è quindi necessario reinventarsi e per farlo è indispensabile un approccio scientifico di fondo.
R. Sì… nel mio percorso professionale ho intrapreso una collaborazione ultraventennale con la Facoltà di Economia, grazie alla quale abbiamo dato vita a un Master in Business and Management nel settore cosmetico conosciuto a livello internazionale, in quanto parte di un progetto denominato EFCM. Vedere che molti degli studenti che si sono formati presso questo Master oggi ricoprono ruoli chiave nel management delle aziende è motivo di orgoglio e conferma l’importanza del dialogo tra il mondo tecnico-scientifico e quello aziendale nel campo della cosmetica.
L’interdisciplinarietà è proprio ciò su cui dovremmo maggiormente puntare nella ricerca e nella didattica, come nei team di lavoro aziendale. Finalmente oggi anche l’università sembra muovere i primi passi in questa direzione, anche se persistono delle resistenze burocratiche e organizzative.
R. Naturalmente sì, sia tra i soci che tra i dipendenti e i collaboratori. Attualmente in UNIRED ci sono 5 dipendenti (un laureato in Economia Aziendale e 4 farmacisti), a cui si aggiungono un consulente psicologo e psicoterapeuta che si occupa di neuromarketing e qualità della vita, e un altro consulente, esperto di polimeri, che si occupa di packaging sostenibile. A queste persone si aggiunge altro personale dell’università come borsisti, assegnisti e laureandi. Quindi in totale siamo tra le 8 e le 10 persone. La differenza tra la mia prima idea di spin-off e UNIRED risiede nel fatto di avere al suo interno una squadra in cui ciascuno ha una sua specifica competenza e predisposizione.
Questa interdisciplinarietà e l’ottimo gioco di squadra sono alla base anche dai nostri podcast, un’idea nata durante il lockdown e con cui andiamo ad analizzare, con un linguaggio semplice e andando dritti al punto (da qui il nome del podcast Dritti al punto), le notizie scientifiche, spaziando dal settore chimico-farmaceutico al mondo dei cosmetici e del personal care, portando l’ascoltatore ad allenare il pensiero critico, utile ad approcciarsi razionalmente nei confronti della vastità di informazioni e delle fake news che riceviamo ogni giorno.
R. Il cosmetico è un prodotto per la persona; non nasce per rispondere solo alle esigenze della sua pelle o per evocare emozioni. Puntare sull’innovazione e sulla tecnologia significa dare risposte scientifiche ai bisogni della salute e del benessere della persona. Per fare questo ci vogliono però degli strumenti nuovi. Il successo del cosmetico è la risultante delle sue caratteristiche fisiche e applicative, ed è solo attraverso una vera conoscenza di come le materie prime si mettono in relazione tra di loro che si possono migliorare le performance dei prodotti. Oggi con gli studi di neuromarketing si possono misurare i benefici che essi sono in grado di apportare e quindi comprendere meglio come far diventare i nostri prodotti un vero successo di mercato.
R. Innanzitutto è importante prendere consapevolezza del fatto che la sostenibilità è un processo complesso che riguarda molte fasi della realizzazione di un prodotto.
Per questo la prima cosa che proponiamo è un ciclo di formazione aziendale che coinvolga tutti i reparti, dalla Ricerca e Sviluppo al Marketing, per allineare l’azienda ed evitare così di cadere nel noto fenomeno del greenwashing. Si capisce facilmente, quindi, come la sostenibilità sia un percorso di lungo periodo che include diversi obiettivi, realizzabili con tempistiche diverse.
Ad esempio, la sostituzione del packaging con materiali biodegradabili e compostabili richiede tempi di sviluppo lunghi e investimenti ingenti, mentre quando si parla di ingredienti e biodegradabilità della formulazione gli obiettivi sono più a breve termine. Un grande spazio della nostra ricerca è anche dedicato allo studio di nuovi principi attivi da materiali di scarto, che si inseriscono molto bene nel concetto di economia circolare, in quanto affronta il problema dello smaltimento dei rifiuti.
R. Il problema più grosso è quello delle impurezze perché ci sono delle criticità da governare.
Ma ci sono anche materiali di scarto che non presentano grosse criticità: c’è scarto e scarto. Più si va verso lo scarto di lavorazione e più ci saranno problemi, ma tutto è risolvibile. Anche in questo caso ci vuole tempo e sperimentazione.
Oltre alla rivalutazione dei materiali di scarto, la nostra ricerca si concentra anche sulla rivalutazione di prodotti del territorio a filiera corta che possono rappresentare una fonte di biodiversità ma sono poco appetibili per il settore alimentare, ad esempio la mela cotogna.
La sfida principale per le aziende che realizzano prodotti healthcare rimane quella di coniugare la sostenibilità con le performance del prodotto, non solo per gli attivi funzionali ma anche per le materie prime che strutturano il veicolo. Questo richiede l’utilizzo di tecniche di caratterizzazione fisica che possano supportare la sostituzione razionale di materie sintetiche come modificatori reologici e texturizzanti con materie prime naturali compatibili con l’eco-design del prodotto, in grado di mantenerne le proprietà applicative.
R. Secondo me le aziende non dovrebbero mai adattarsi e sedimentarsi su determinati procedimenti aziendali, perché non è detto che ciò che è sempre andato bene continuerà ad andare bene; gli scenari possono cambiare da un momento all’altro e il COVID-19 ne è la dimostrazione.
Una delle citazioni a me più care è la seguente: “Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità” (Alex Carrel). Concordo pienamente con questa affermazione e cerco di applicarla sia nel lavoro che nella mia vita personale. Essere buoni osservatori della realtà senza innamorarsi dei propri ragionamenti ci rende molto più aperti alla possibilità di cogliere le novità e, tradotto sul piano pratico per un’azienda, a ricordarci che i consumatori sono prima di tutto persone e non semplicemente dei target.
Quello che invece consiglierei di fare è creare delle figure di raccordo tra i vari reparti: un dialogo tra R&D e produzione e tra R&D e marketing rende i processi più fluidi. Questo dialogo porta allo sviluppo di team che sono realmente interdisciplinari, che riescono meglio a governare le complessità e in cui le competenze di ciascuno possono emergere ed essere valorizzate.
Riportare l’attenzione sulle persone, inoltre, è uno dei fattori che contribuisce a realizzare un’azienda sostenibile.
COSMETIC TECHNOLOGY
Alessandra Semenzato
tel 049 776766
alessandra.semenzato@unired.it
www.unired.it
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